sabato 17 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 42

ARTICOLO 42

“La proprietà è pubblica e privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Il primo comma dell’articolo 42 della Costituzione italiana sancisce che la proprietà può essere sia privata che pubblica. Per “proprietà pubblica” si deve intendere non solo ciò che è direttamente nelle potestas di organi o enti dello stato. Si devono annoverare anche quei beni, materiali e immateriali, che sono patrimonio comune della collettività. Sono i cosiddetti beni comuni. In passato il bene comune principale di una piccola comunità dedita alla pastorizia era il pascolo. Ancor oggi i campi ove pascolano le greggi nelle zone montane sono proprietà dell’intero villaggio. Sulle Alpi vasti appezzamenti erbosi e boschi sono bene comune dell’intera collettività. Alla luce di questo il termine proprietà deve essere inteso come sinonimo di “diritto all’utilizzo”. Tutti hanno diritto ad utilizzare i beni comuni, quindi ne sono proprietari, ma allo stesso tempo hanno di il dovere di preservarli e di non danneggiarli per il rispetto che devono all’intera comunità. Oggi i “beni comuni” hanno i più svariati aspetti. “Bene comune” è un parco cittadino. Bene comune è l’acqua pubblica. Bene Comune è l’aria che respiriamo, che è inquinata dai gas industriali e urbani, e ciò non dovrebbe essere. Bene comune sono gli asili e i centri di aggregazione. Stefano Rodotà, illustre giurista, ha posto nei suoi scritti l’accento sull’importanza di questi beni non solo come risorsa delle famiglie per vivere meglio, ma anche come strumento di aggregazione e crescita sociale. Le sue battaglie per la difesa del beni collettivi sono uno dei suoi lasciti spirituali più importanti. Oggi che è morto, la sua battaglia per una società plurale, in cui vi siano beni proprietà di tutti e di nessuno, deve essere fatta nostra e portata avanti. Stefano Rodotà era consapevole che la proprietà non può essere solo limitata ai diritti comuni. Nel suo libro “Il terribile diritto” parla della proprietà privata. La proprietà che è negazione dell’utilizzo altrui. Un terreno è mio se costruisco muri e palizzate che impediscono l’ingresso agli altri. La proprietà è il luogo in cui chi possiede quel bene è signore incontrastato, come dicevano con enfasi i brocardi medievali. Per Rodotà la proprietà privata è terribile, proprio perché esclude, mette alla porta l’altro. Non bisogna nascondere che la proprietà privata, pur terribile, è necessaria. Nella stragrande maggioranza delle civiltà umane la proprietà ha avuto un ruolo centrale. Il proprietario terriero ha coltivato il suoi campi e li ha resi fertili. L’industriale ha trasformato i suoi beni in lavoro e guadagno per sé e l’intera collettività. Lo stato ha utilizzato i beni di sua proprietà per migliorare la vita e lo status economico dei suoi cittadini. Ha utilizzato i suoi beni per difendere, proteggere e curare gli interessi dell’intera nazione. La proprietà privata è una risorsa. La proprietà privata è anche la casa in cui una famiglia ha diritto a porvi il suo focolare. Troppo spesso questo diritto è negato. È difficile accedere a finanziamenti che facilitino l’acquisto di un bene primario come la prima casa. L’edilizia pubblica, popolare, quella che dovrebbe costruire dimore per i meno ricchi, è scarsamente presente nel nostro paese. Le cosiddette “case popolari”, le case costruite con finanziamenti pubblici o cooperativi e che dovrebbero essere date ai meno abbienti, sono poche. Spesso ha una casa popolare chi non ne ha diritto. Nel Sud addirittura i mafiosi e i delinquenti occupano case che dovrebbero essere affidate a famiglie morigerate. La politica, o meglio singoli politici, furfantemente, si appropriano di beni che dovrebbero essere dei più poveri. Insomma il termine proprietà si lega a una serie variegatissima di diritti giuridici su cose reali. Il diritto allo sfruttamento è uno dei principi legati alla proprietà. Il diritto ad utilizzare il bene fino a consumerlo. Faccio l’esempio del diritto del legittimo possessore-proprietario ad accendere una candela fino a sciogliere interamente la cera di cui è composta. La proprietà è determinata dalla legge. È la legge che definisce i negozi giuridici, gli atti unilaterali e tutte le altre modalità d’acquisto dei beni materiali e immateriali. Su questo la costituzione è chiara. Questo principio è proprio di ogni ordinamento statuale. Per evitare che vi siano conflitti legati agli interessi proprietari è lo stato che decide come si acquista un titolo di proprietà e/o possesso. È lo stato che garantisce che questo titolo sia effettivo. È lo stato che utilizza la forza, la polizia e tutte le forze dell’ordine, affinché nessuno possa usurpare il diritto di proprietà altrui. La proprietà privata può essere espropriata. L’esproprio è un atto dello stato. È un atto che solo la Repubblica, i suoi enti, possono compiere. Può avvenire solo per motivi di pubblica e stringente utilità. Chi ne subisce la perdita economica e la perdita del bene deve essere adeguatamente risarcito.Lo stato, per garantire il bene pubblico, può prendere possesso di terreni, fabbriche o edifici privati. Può costruire strade di pubblico utilizzo su luoghi di proprietà privata. Può espropriare interi poli industriali o singole fabbriche se questo è utile agli interessi nazionali. Fabbriche e proprietà pubbliche sono uno dei settori più importanti del tessuto industriale italiano. L’Istituto di Riconversione Industriale (IRI) è l’ente pubblico che gestisce la stragrande maggioranza delle industrie di proprietà pubblica. È nato per far fronte alle crisi industriali, è diventato un colosso industriale. Ecco è la lampante dimostrazione di come lo stato possa entrare nell’economia, non solo regolandola ma anche come protagonista. La proprietà non è un valore intoccabile. Deve essere finalizzata al bene pubblico. Ecco perché può essere limitata ed espropriata. Le successioni testamentarie sono regolamentate dallo stato. Per trovare un raccordo fra l’umanissimo bisogno di conservare i titoli giuridici e le proprietà dei defunti da parte dei loro prossimi parenti e l’esigenza statuale di garantire che ogni bene sia finalizzato all’utilità sociale. Per questo motivo è stata istituita la tassa di successione. Un modo per garantire che lo sforzo e l’impegno del defunto, profuso in tutta la sua vita, diventi una ricchezza collettiva. Un modo per affermare che il patrimonio personale deve diventare ricchezza della nazione, collettiva. L’ultimo comma dell’articolo 42, che regolamenta il diritto di successione, è la volontà del Costituente di conciliare gli interessi degli eredi e quelli della collettività. Lo Stato, è bene ricordarlo, è sempre l’erede ultimo di ciascuno di noi. Se non abbiamo eredi legittimi, se non abbiamo designato i nostri eredi attraverso testamento, è lo stato che fa proprio il nostro patrimonio. Proprio in virtù del principio che la proprietà è un bene sociale. Deve essere finalizzata all’utilità pubblica. Nessuna fonte di cespiti deve essere sprecata. È lo stato che si prende cura di beni e ricchezze se non c’è un soggetto privato che lo possa fare. La proprietà privata è un bene prezioso. È un diritto del legittimo proprietario. Chiunque ha il diritto di godere delle proprie ricchezze, frutto del duro lavoro e dell’impegno profuso da se stesso o dai propri cari, ma questo diritto deve conciliarsi con l’interesse nazionale. Non deve essere a danno del bene comune. Non deve portare nocumento alla collettività, anzi ne deve accrescere la ricchezza morale, materiale e spirituale. La proprietà privata deve avere un fine sociale. Cioè deve produrre uno specifico ed evidente beneficio all’intera collettività. Lo può fare nei più svariati modi. Il proprietario può contribuire a migliorare il benessere pubblico mettendo a buon frutto i suoi beni. Questo è il principio cardine sia dell’articolo 41 che dell’articolo 42: l’iniziativa e la proprietà privata devono essere garantite e protette, quali diritti inviolabili dell’uomo, ma allo stesso tempo devono essere utilizzate per produrre benefici all’intera collettività.


Scritto da Pellecchia Ginfranco

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