ARTICOLO 42
“La proprietà è
pubblica e privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a
privati.
La proprietà privata
è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di
godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata
può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per
motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce
le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti
dello Stato sulle eredità”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il primo comma dell’articolo 42 della Costituzione italiana
sancisce che la proprietà può essere sia privata che pubblica. Per “proprietà
pubblica” si deve intendere non solo ciò che è direttamente nelle potestas di
organi o enti dello stato. Si devono annoverare anche quei beni, materiali e
immateriali, che sono patrimonio comune della collettività. Sono i cosiddetti
beni comuni. In passato il bene comune principale di una piccola comunità dedita
alla pastorizia era il pascolo. Ancor oggi i campi ove pascolano le greggi
nelle zone montane sono proprietà dell’intero villaggio. Sulle Alpi vasti
appezzamenti erbosi e boschi sono bene comune dell’intera collettività. Alla
luce di questo il termine proprietà deve essere inteso come sinonimo di
“diritto all’utilizzo”. Tutti hanno diritto ad utilizzare i beni comuni, quindi
ne sono proprietari, ma allo stesso tempo hanno di il dovere di preservarli e
di non danneggiarli per il rispetto che devono all’intera comunità. Oggi i
“beni comuni” hanno i più svariati aspetti. “Bene comune” è un parco cittadino.
Bene comune è l’acqua pubblica. Bene Comune è l’aria che respiriamo, che è
inquinata dai gas industriali e urbani, e ciò non dovrebbe essere. Bene comune
sono gli asili e i centri di aggregazione. Stefano Rodotà, illustre giurista,
ha posto nei suoi scritti l’accento sull’importanza di questi beni non solo
come risorsa delle famiglie per vivere meglio, ma anche come strumento di
aggregazione e crescita sociale. Le sue battaglie per la difesa del beni
collettivi sono uno dei suoi lasciti spirituali più importanti. Oggi che è
morto, la sua battaglia per una società plurale, in cui vi siano beni proprietà
di tutti e di nessuno, deve essere fatta nostra e portata avanti. Stefano
Rodotà era consapevole che la proprietà non può essere solo limitata ai diritti
comuni. Nel suo libro “Il terribile diritto” parla della proprietà privata. La
proprietà che è negazione dell’utilizzo altrui. Un terreno è mio se costruisco
muri e palizzate che impediscono l’ingresso agli altri. La proprietà è il luogo
in cui chi possiede quel bene è signore incontrastato, come dicevano con enfasi
i brocardi medievali. Per Rodotà la proprietà privata è terribile, proprio
perché esclude, mette alla porta l’altro. Non bisogna nascondere che la
proprietà privata, pur terribile, è necessaria. Nella stragrande maggioranza
delle civiltà umane la proprietà ha avuto un ruolo centrale. Il proprietario
terriero ha coltivato il suoi campi e li ha resi fertili. L’industriale ha
trasformato i suoi beni in lavoro e guadagno per sé e l’intera collettività. Lo
stato ha utilizzato i beni di sua proprietà per migliorare la vita e lo status
economico dei suoi cittadini. Ha utilizzato i suoi beni per difendere,
proteggere e curare gli interessi dell’intera nazione. La proprietà privata è
una risorsa. La proprietà privata è anche la casa in cui una famiglia ha
diritto a porvi il suo focolare. Troppo spesso questo diritto è negato. È
difficile accedere a finanziamenti che facilitino l’acquisto di un bene
primario come la prima casa. L’edilizia pubblica, popolare, quella che dovrebbe
costruire dimore per i meno ricchi, è scarsamente presente nel nostro paese. Le
cosiddette “case popolari”, le case costruite con finanziamenti pubblici o
cooperativi e che dovrebbero essere date ai meno abbienti, sono poche. Spesso
ha una casa popolare chi non ne ha diritto. Nel Sud addirittura i mafiosi e i
delinquenti occupano case che dovrebbero essere affidate a famiglie morigerate.
La politica, o meglio singoli politici, furfantemente, si appropriano di beni
che dovrebbero essere dei più poveri. Insomma il termine proprietà si lega a
una serie variegatissima di diritti giuridici su cose reali. Il diritto allo
sfruttamento è uno dei principi legati alla proprietà. Il diritto ad utilizzare
il bene fino a consumerlo. Faccio l’esempio del diritto del legittimo
possessore-proprietario ad accendere una candela fino a sciogliere interamente
la cera di cui è composta. La proprietà è determinata dalla legge. È la legge
che definisce i negozi giuridici, gli atti unilaterali e tutte le altre modalità
d’acquisto dei beni materiali e immateriali. Su questo la costituzione è
chiara. Questo principio è proprio di ogni ordinamento statuale. Per evitare
che vi siano conflitti legati agli interessi proprietari è lo stato che decide
come si acquista un titolo di proprietà e/o possesso. È lo stato che garantisce
che questo titolo sia effettivo. È lo stato che utilizza la forza, la polizia e
tutte le forze dell’ordine, affinché nessuno possa usurpare il diritto di
proprietà altrui. La proprietà privata può essere espropriata. L’esproprio è un
atto dello stato. È un atto che solo la Repubblica, i suoi enti, possono
compiere. Può avvenire solo per motivi di pubblica e stringente utilità. Chi ne
subisce la perdita economica e la perdita del bene deve essere adeguatamente
risarcito.Lo stato, per garantire il bene pubblico, può prendere possesso di
terreni, fabbriche o edifici privati. Può costruire strade di pubblico utilizzo
su luoghi di proprietà privata. Può espropriare interi poli industriali o
singole fabbriche se questo è utile agli interessi nazionali. Fabbriche e
proprietà pubbliche sono uno dei settori più importanti del tessuto industriale
italiano. L’Istituto di Riconversione Industriale (IRI) è l’ente pubblico che
gestisce la stragrande maggioranza delle industrie di proprietà pubblica. È nato
per far fronte alle crisi industriali, è diventato un colosso industriale. Ecco
è la lampante dimostrazione di come lo stato possa entrare nell’economia, non solo
regolandola ma anche come protagonista. La proprietà non è un valore
intoccabile. Deve essere finalizzata al bene pubblico. Ecco perché può essere
limitata ed espropriata. Le successioni testamentarie sono regolamentate dallo
stato. Per trovare un raccordo fra l’umanissimo bisogno di conservare i titoli
giuridici e le proprietà dei defunti da parte dei loro prossimi parenti e l’esigenza
statuale di garantire che ogni bene sia finalizzato all’utilità sociale. Per questo
motivo è stata istituita la tassa di successione. Un modo per garantire che lo
sforzo e l’impegno del defunto, profuso in tutta la sua vita, diventi una
ricchezza collettiva. Un modo per affermare che il patrimonio personale deve
diventare ricchezza della nazione, collettiva. L’ultimo comma dell’articolo 42,
che regolamenta il diritto di successione, è la volontà del Costituente di
conciliare gli interessi degli eredi e quelli della collettività. Lo Stato, è
bene ricordarlo, è sempre l’erede ultimo di ciascuno di noi. Se non abbiamo
eredi legittimi, se non abbiamo designato i nostri eredi attraverso testamento,
è lo stato che fa proprio il nostro patrimonio. Proprio in virtù del principio
che la proprietà è un bene sociale. Deve essere finalizzata all’utilità
pubblica. Nessuna fonte di cespiti deve essere sprecata. È lo stato che si
prende cura di beni e ricchezze se non c’è un soggetto privato che lo possa
fare. La proprietà privata è un bene prezioso. È un diritto del legittimo
proprietario. Chiunque ha il diritto di godere delle proprie ricchezze, frutto
del duro lavoro e dell’impegno profuso da se stesso o dai propri cari, ma
questo diritto deve conciliarsi con l’interesse nazionale. Non deve essere a
danno del bene comune. Non deve portare nocumento alla collettività, anzi ne
deve accrescere la ricchezza morale, materiale e spirituale. La proprietà
privata deve avere un fine sociale. Cioè deve produrre uno specifico ed evidente
beneficio all’intera collettività. Lo può fare nei più svariati modi. Il
proprietario può contribuire a migliorare il benessere pubblico mettendo a buon
frutto i suoi beni. Questo è il principio cardine sia dell’articolo 41 che dell’articolo
42: l’iniziativa e la proprietà privata devono essere garantite e protette,
quali diritti inviolabili dell’uomo, ma allo stesso tempo devono essere
utilizzate per produrre benefici all’intera collettività.
Scritto da Pellecchia Ginfranco
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