ARTICOLO 33
“L’arte e la scienza
sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta
le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli
ordini e gradi.
Enti e privati hanno
il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo
Stato.
La legge, nel fissare
i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve
assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame
di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione
di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di
alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti
autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”
"Racconto a mano libera" continua a pubblicare gli articoli della costituzione italiana, per celebrare i settanta anni dalla promulgazione della nostra legge fondamentale, avvenuta nel 1948.
L’incipit dell’articolo 33 della Costituzione è folgorante:
l’arte e la scienza sono libere. Non c’è dubbio che un’affermazione di tal
fatta si ricollega all’articolo 21 della stessa nostra legge fondamentale in
cui si afferma la libertà di pensiero e di parola. Quello che appare chiaro è
che non è affatto una pleonastica ripetizione. Mentre l’articolo 21 afferma il
diritto di chiunque ad elaborare ed esporre un pensiero, norma importantissima,
l’articolo 33 dice un’altra cosa. Dice che l’arte e la scienza hanno bisogno
dell’indipendenza del ricercatore e dell’artista per compiersi. Senza libertà
non c’è ricerca. Lo Stato non può e non deve porre paletti, se non quelli
legati alle leggi penali, all’esplicazione del genio umano attraverso l’opera d’arte
o scientifica. Nessuno deve ingerire sull’altrui estro. Non vi possono essere
imposizioni di stato. L’artista non deve essere sottoposto ad alcuna norma
censoria. Perfino le norme di buon costume devono essere sospese nella
valutazione di un componimento artistico. Negli anni ’50 del secolo scorso
autori come Pier Paolo Pasolini furono processati per vilipendio alla morale e
al buon costume pubblico. Le loro opere furono denunciate alle pubbliche
autorità, perché considerate pornografiche. Questo non deve avvenire. Come
hanno esplicitato le sentenze di assoluzione verso Pasolini, l’arte deve essere
libera di esprimere la propria energia creativa senza alcuna limitazione e
censura. È l’autore che deve esprimere la propria etica e la propria morale nel
suo componimento, che può essere non conforme a quella pubblica. Poi sarà la
critica letteraria e il pubblico a decretare se censurare, con stroncature
oppure rifiutandosi di comprare i libri o di vedere le opere, l’operato dell’artista.
Anche l’insegnamento deve essere libero. Il docente deve essere libero di avere
una propria metodologia didattica e un proprio modo di approcciarsi ai
discenti. La libertà di pensiero sarebbe offesa se non fosse accompagnata dalla
libertà di insegnare liberamente. Alla libertà di insegnamento, quale benevolo
Giano Bifronte, si accompagna il diritto allo studio. Chi impara il diritto di
avere gli strumenti necessari ad apprendere. Tutti hanno il diritto di accedere
alla cultura. Tutti devono poter andare a scuola, imparare. La scuola deve
essere un diritto di tutti. Ecco perché lo stato garantisce l’esistenza di enti
di istruzione. Si fa carico di creare scuole statali per tutti gli ordini e i
gradi. Si fa carico di dare la possibilità di affrontare qualsiasi percorso di
formazione professionale e abilitante in scuole pubbliche e di stato. È un
principio fondamentale. Da una parte c’è libertà di istituire scuole private,
dall’altra c’è la certezza che l’istruzione per tutti è un impegno per cui la
Repubblica si obbliga a istituire istituzioni di carattere pubblico, composte
da personale docente impiegato dallo stato a questa meritoria opera. Non ci può
essere libertà di scienza e cultura senza una forte presenza dello stato nell’impegno
educativo. Le scuole private, pur essendo animate da saldi e degni principi,
non possono avere quell’afflato di indipendenza e di laicità culturale propria
di un ente statale. Nelle istituzioni pubbliche tutti hanno il diritto di
portare il loro contributo alla formazione. L’insegnate cattolico ha il dovere
di portare la sua esperienza di fede al pari dell’insegnante laico che deve
raccontare i suoi percorsi culturali. La libertà si lega a doppio filo con il
pluralismo. Le scuole private sono spesso confessionali. La religione
cattolica, i cui meriti riguardo alla formazione delle giovani menti italiane
nei secoli va riconosciuto, ha ispirato centinaia di istituti scolastici nel
nostro paese. Chi va a scuola in enti religiosi sa che avrà una visione del
mondo fondata sui valori cristiani. È giusto che sia così. Chi si forma in una
scuola pubblica invece deve aspettarsi un coro polifonico, fatto di idee e di
valori diversi, spetta allo sforzo, non impossibile, di ognuno di noi,
insegnante o discente, trovare la giusta armonia per far fruttare al meglio
quel crogiolo di idee che è la scuola pubblica. Trovare un comune denominatore
fra cultura laica, cattolica, liberale, socialista è possibile. La nostra Costituzione
è esempio di virtuoso compromesso fra le diverse anime del paese. Bisogna avere
la volontà di ricercare una comprensione e una tolleranza reciproca al fine di
accrescere la cultura nazionale, non attraverso il conflitto, ma attraverso il
dialogo. Le scuole private sono libere, ma non finanziate dallo stato. È la
costituzione stessa a stabilire questo principio. Le scuole private non possono
appoggiarsi sulla spesa pubblica. L’impegno della Repubblica è quello di
rendere l’istruzione pubblica più efficiente. Nei decenni si è discusso se dare
o meno contributi statali alle famiglie che decidono di iscrivere i propri
figli a scuole private. Si è pensato: non finanziare le scuole private non deve
inficiare il diritto all’istruzione dei bambini e dei ragazzi che scelgono di
andare in istituti privati. Insomma si discute se sia possibile non finanziare
la scuola privata, ma lenire i costi familiari legati all’insegnamento privato.
Ad un’analisi ragionata non può sfuggire che così comunque si finanzia una
scuola privata. I ragazzi hanno diritto ad un insegnamento non costoso, ma
possono ottenerlo iscrivendosi a una scuola pubblica. D’altro canto si obbietta
che imporre a chi non ha le risorse necessarie l’iscrizione solo in scuole
statali è un limite alla libertà e al diritto all’istruzione. Le risposte sono
plurime. La dottrina è divisa. È difficile stabilire cosa sia giusto o cosa sia
sbagliato. Forza Italia e Lega da sempre hanno scelto di privilegiare la scuola
privata, dando una lettura ampia del concetto di libertà di insegnamento,
dirottando i finanziamenti pubblici a scuole private. La sinistra invece ha
provato a rilanciare il comparto pubblico, con risultati che, per usare un
eufemismo, risultano altalenanti. Difficile trovare una risposta. Quello che è necessario
ricordare è che la scuola privata ha il dovere di formare i ragazzi utilizzando
un trattamento scolastico equipollente alle scuole pubbliche. Gli scolari delle
scuole private devono avere le garanzie democratiche che hanno quelli degli
istituti statali. Devono avere un percorso scolastico adeguato e conforme alle
norme generali sull’istruzione. Tutti gli istituti, statali o privati, devono
seguire tassativamente il programma di studi ministeriale per le scuole di ogni
ordine e grado. Il fine è di garantire una conformità nell’istruzione a livello
nazionale. La repubblica vuole che i ragazzi abbiano, in ogni angolo del paese,
una formazione adeguata. Per garantire la conformità dell’istruzione e la sua
adeguatezza la costituzione impone che a conclusione di ogni ciclo scolastico
ci sia un esame che attesti la preparazione del singolo alunno. Per accedere
alle professioni è necessario un esame abilitante. La Costituzione impone che
vi siano strumenti idonei per valutare l’andamento scolastico del singolo
alunno, che siano l’esplicazione di come questi ha messo a buon frutto gli anni
scolastici. Le alte scuole di cultura, le università e accademie hanno il
diritto all’autonomia. Le alte scuole hanno potere di autogoverno e di
autonomia. Lo sancisce l’ultimo comma dell’articolo 33. Le università hanno
diritto di darsi uno statuto, che regolamenti la loro vita istituzionale. Hanno
diritto di avere una dirigenza nominata dai membri accademici. Hanno diritto ad
avere una politica scolastica autonoma rispetto alle ingerenze politiche.
Insomma la libertà di insegnamento, così detta la costituzione, deve manifestarsi
anche con l’autonomia delle università. Queste devono essere libere di fare
ricerca, di fare cultura, di dialogare con la realtà sociale in cui si trovano.
Le Università devono essere e sono il volano per accrescere il tessuto sociale
che è presente nel territorio. Le Università devono e sono strumenti per far
crescere l’economia e la ricchezza economica e culturale del paese. Pensiamo
alle numerose interazioni fra industria e facoltà scientifiche, che hanno
prodotto innovazione e cultura. Se da una parte il degrado culturale presente
in molte regioni del nostro paese, soprattutto a Sud, fa piombare nel
pessimismo. Dall’altro esperienze positive quali ad esempio quella del
Politecnico di Bari che ha fatto dell’interscambio tecnologico con il settore
industriale locale il suo modello di insegnamento, offre qualche speranza per
il futuro. Rimane il fatto che nel nostro paese chi ha un percorso scolastico
fruttuoso è messo da parte. Questo per la carenza strutturale nel settore dell’innovazione.
Un paese che non investe in ricerca non ha bisogno di ricercatori. Questa per
la crisi economica che attanaglia il paese e che invece di spronare all’innovazione
tende a proteggere chi detiene privilegi ed ad escludere chi invece pur avendo
qualità, non ha “santi in paradiso”. La costituzione è chiara bisogna puntare
sulla ricerca e sullo studio per migliorare il paese. Qualcosa lo si è fatto
nei decenni. Alcune realtà locali, alcuni poli industriali e di ricerca, in
Italia sono all’avanguardia nel mondo. Pisa e la sua università sono i luoghi
dove è nato internet. A Pisa è partito il primo bit informatico che ha
raggiunto l’America via cavo telefonico nei lontani anni ’80 del secolo scorso.
Questo bisogna ricordarlo. Ma allo stesso tempo bisogna ricordare i tanti
laureati sottopagati o inoccupati, i tanti che vanno all’estero per vivere e
lavorare. Finché l’Italia non saprà utilizzare al meglio le sue mirabili
risorse umane la crisi non solo economica, ma anche culturale e morale ci
soffocherà.
Testo di Giovanni Falagario
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