ARTICOLO 30
“È dovere e diritto
dei genitori mantenere e istruire i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di
incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai
figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile
con i membri della famiglia legittima”
Continua la pubblicazione da parte di "Racconto a Mano libera" degli articoli della costituzione italiani in occasione dei settanta anni della sua entrata in vigore.
L’articolo 30richiama alla responsabilità i genitori. È loro
dovere istruire e mantenere la prole. Un principio fondamentale, un obbligo
morale che ha il suo fondamento nella stessa natura umana che si fonda sull’ineluttabile
istinto di accudire i piccoli per preservare la continuazione della specie. Ma
l’aver cura dei bambini non è solo una legge naturale. È il fondamento della
nostra civiltà. Non si può pensare a uno stato, a una comunità, a una società
senza l’esistenza di strumenti per far crescere e formare i più piccoli. L’articolo
30 mette in luce che educare i bambini non è solo un dovere, ma anche un
diritto dei genitori. L’amore, che un bimbo fa scaturire nel cuore di colui e di
colei che gli danno la vita, rende inevitabile considerare il rapporto
genitoriale un piacere infinito. La gioia che produce lo sguardo di un
lattante, i suoi sorrisi enigmatici sono un bene prezioso che i parenti
custodiscono nei loro ricordi per tutta la vita. Insomma il legame filiale è uno
dei più forti sentimenti che il genere umano vive. L’articolo 30 però è chiaro.
Il suo intento non è quello di riconoscere i privilegi genitoriali. Il suo
obbiettivo è quello di tutelare i diritti dei figli. Il diritto prima di tutto
alla vita deve essere difeso. Un bambino ha diritto a nascere. Non deve essere
abbandonato a se stesso, come purtroppo la cronaca ci racconta, un lattante non
deve essere abbandonato in mezzo alla strada, in un cassonetto, rischiando e
trovando la morte ancor prima di aver vissuto la vita. È giusto che non solo lo
stato, ma l’intera comunità si sforzi per trovare gli strumenti adatti a
prendersi cura di una donna incinta che vive in maniera angosciosa l’idea di
diventare mamma. Bisogna che le donne in gravidanza che si trovano in contesti
sociali di degrado siano accudite al fine di evitare che decidano di partorire
clandestinamente, con gravissimo rischio per la vita propria e del nascituro, e
poi abbandonino il lattante. È comprensibile che una donna, in estrema ambasce,
possa decidere di non riconoscere il proprio figlio, ma questa deve affidarlo
alle istituzioni non deve lasciarlo sul ciglio di una strada. L’abbandono del
nascituro è una scelta tragica, dolorosa, estrema che merita la comprensione e
il supporto morale del personale medico e paramedico che si occupano del parto.
La nascita deve comunque avvenire all’interno
di un ospedale, ove il parto avvenga con tutti gli strumenti medico chirurgici
necessari. È giusto che vi sia personale
qualificato pronto a supportare la puerpera in un momento drammatico della sua
vita, magari una persona sensibile può determinare in maniera positiva la
scelta della mamma, che comunque segnerà per sempre la sua vita e quella del
suo bambino. Nel caso in cui la genitrice decida comunque di non prendersi cura
dell’infante è lo stato, in base alla legge, a doversi far carico della vita
nascente, a farla crescere e a garantirli istruzione ed educazione, su questo l’articolo
30 comma due è chiarissimo. Nei casi in cui la famiglia non può, per le più
svariate ragioni, avere cura dei più piccoli lo stato deve porre in atto
strumenti di difesa sociale volti all’inserimento in altre famiglie dei bambini
abbandonati o il loro collocamento in strutture d’accoglienza dell’infanzia.
Nessun bambino deve essere lasciato solo. La Repubblica deve prima di tutto
pensare all’affidamento. La legge sull’adozione dei bambini dà strumenti per
poter affidare a famiglie generose ed accoglienti il bimbo abbandonato. La
legge sull’adozione è uno strumento di grande solidarietà umana che deve essere
migliorato e modificato ancora al fine di garantire la felicita dell’adottato e
il superamento degli ostacoli burocratici che l’adottante o gli adottanti
devono affrontare. Il terzo comma dell’articolo costituzionale, che stiamo
commentando, è importantissimo. Compie un atto di giustizia. Equipara i figli
nati fuori dal matrimonio agli altri, la potestà genitoriale, il dovere di
prendersi cura della prole, deve essere esercitato dal genitore anche nei
riguardi di un bimbo non nato nell’ambito matrimoniale. I figli di nessuno,
come venivano definiti in passato i figli nati da una coppia non coniugata, non
hanno diritti inferiori rispetto ai legittimi. Questo deve essere chiaro. La
legge del 10 dicembre 2012, numero 219, ha definitivamente equiparato lo status
dei figli nati nel matrimonio a quelli naturali. Questi ultimi sono considerati
facenti parte integrante dalla famiglia del genitore, mentre prima di questa
legge il legame parentale non si estendeva ai parenti del generante. Insomma la
norma in questione è un superamento definitivo della distinzione fra figlio
legittimo e figlio naturale, oggi possiamo dire che questa dicotomia è superata
nei fatti dalla una cultura sociale e giuridica matura e sensibile alle
esigenze del minore e in generale a quelle dei figli. Insomma il figlio
naturale potrà riconoscersi pienamente parente del fratello della madre e del padre,sarà
pienamente inserito nel contesto familiare, anche dal punto di vista dell’asse
ereditario. Insomma la legge 219 finalmente porta a compimento il dettame
costituzionale che impone allo stato di rendere i figli eguali. L’ultimo comma
dell’articolo 30 della costituzione può apparire in contrasto con i precedenti.
Mentre i lemmi precedenti erano improntati al riconoscimento giuridico del
rapporto parentale e filiale, quest’ultimo, sorprendentemente, mette in conto
la possibilità che la legge possa vietare il riconoscimento di un figlio.
Perché? La risposta è nel dolore, nella sofferenza, che potrebbe causare il
riconoscimento di un rapporto genitoriale, soprattutto e principalmente per i
figli. Sono i casi dolorosi di incesto, di violenza sessuale, insomma di
gravidanze causate da un perverso rapporto fra coloro che hanno procreato. E’
bene che l’anagrafe e la legge celi questi rapporti. Non deve essere noto che
un padre abbia fatto violenza sulla figlia generando vita. Questo ovviamente
non per tutelare il violentatore, che deve essere punito dalla legge, ma per
tutelare la vittima e il frutto dell’atto scellerato che comunque ha diritto a
una vita degna e serena come qualsiasi
altro essere umano. A dimostrazione di come la Repubblica abbia a riguardo l’esclusiva
tutela dell’innocente ci sono le norme del diritto civile e penale che derogano
all’irriconoscibilità del bimbo nei casi in cui l’incesto è frutto di un errore
dovuto alla mancanza di conoscenza. Si fa il caso di due fratelli, che hanno
procreato senza Sapere del loro rapporto parentale, in questo caso la legge
deroga al principio di irriconoscibilità. Si fa il caso in cui la donna sia
stata oggetto di violenza sessuale, la mamma in questo caso può riconoscere il
proprio bambino. Insomma la legge, supportata dall’alto dettato costituzionale,
regolamenta i casi in cui il nascituro non può essere riconosciuto dal genitore
naturale, ma questi casi sono pochissimi e sono l’esplicitazione di gravissimi
motivi morali etici e giuridici. Lo spirito dell’articolo 30 è quello, è bene
ricordarlo, di tutelare la vita, la salute psicofisica e l’integrità nella
crescita dei bambini, futura classe dirigente della nostra nazione.
Testo di Giovanni Falagario
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