ARTICOLO 39
“L’organizzazione
sindacale è libera
Ai sindacati non può
essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali
o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la
registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a
base democratica.
I sindacati
registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentanti unitariamente
in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con
efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce”
"Racconto a mano libera" prosegue nella pubblicazione degli articoli della costituzione italiana in occasione dei settanta anni dalla sua promulgazione ed entrata in vigore, ricorreva il 1 gennaio 1948.
L’organizzazione sindacale è libera. Così sancisce il primo
comma dell’articolo 39. I lavoratori hanno diritto ad autorganizzarsi liberamente.
Possono formare sindacati all’interno dell’ambito lavorativo. Queste
organizzazioni di lavoratori si ispirano ai più svariati afflati culturali. Ci
sono sindacati cattolici, organizzazioni sindacali di ispirazione socialista e
così via. Se hanno un vasto numero di tesserati possono, anzi devono,
partecipare alla contrattazione nazionale del contratto lavorativo di categoria.
La libertà e la partecipazione sono i punti fermi che la costituzione proclama
nell’ambito dei rapporti sindacali. I sindacati sono liberi. Hanno un loro statuto.
Non devono sottostare ai dettami del potere statuale e della politica. La loro
libertà da ogni altro organo istituzionale garantisce che i diritti dei
lavoratori siano tutelati e che i loro interessi siano posti al centro della
politica repubblicana “fondata sul lavoro”, come afferma l’articolo uno della
nostra carta fondamentale. Compito dei sindacato è proteggere le categorie sociali
più deboli. Coloro che non possono far valere la propria voce, coloro che sono
schiacciati dalle terribili logiche economiche e sociali, coloro che sono
stritolati dalle logiche ciniche dell’economia, dovrebbero trovare nel
sindacato la loro difesa. I disabili, i meno fortunati, gli indigenti, coloro
che hanno un salario basso, dovrebbero trovare un supporto materiale e morale
in queste organizzazioni. I sindacati spesso si impegnano strenuamente per
difendere la dignità del lavoro e, soprattutto, dei lavoratori. Difendono
coloro che rischiano di perdere il proprio posto. Difendono i disabili, che,
soprattutto nel meridione, non riescono ad avere un’adeguata protezione essendo
emarginati ed irrisi. Difendono i migranti, che troppo spesso vivono la loro
condizione in stato di emarginazione e sono sfruttati nell’ambito lavorativo.
Il lavoro sindacale è encomiabile. Tanto c’è da fare ancora. Tanto bisogna fare
per superare gli ostacoli che ancora sussistono per raggiungere l’integrazione.
Bisogna cambiare la mente delle persone. Ancor oggi sono i colleghi, i
lavoratori, a denigrare il più debole. Siamo lontanissimi da quello spirito di
solidarietà a cui ha invitato papa Francesco. I sindacati devono impegnarsi in
questa opera di integrazione sociale. Bisogna che si operi per promuovere la
democrazia all’interno degli ambiti lavorativi. Bisogna promuovere il diritto
dei lavoratori alla reale partecipazione attiva alle scelte che li riguardano
direttamente. Bisogna abolire quella cultura prevaricante che permette di
soffocare le voci delle persone più deboli. Abbiamo sotto gli occhi i casi in
cui coloro che non riescono a parlare, coloro che non riescono ad esprimere
compiutamente le loro idee, vengono ridicolizzati e, cosa ben più grave, messi
in condizioni tremende. Sono i più deboli che pagano lo scotto della crisi.
Sono i più deboli che non solo scivolano verso il basso nella piramide sociale,
ma anche subiscono le più degradanti angherie. Il sindacato, le organizzazioni
dei lavoratori, dovrebbero operare per un cambiamento culturale. Si può essere
la Svezia! E’ un’affermazione provocatoria questa. Ma si può aspirare ad avere
una politica sociale di integrazione. Mi preme sottolineare che in Svezia non
sono cattolici, quindi è falsa l’idea che il non essere cristiano autorizza all’emarginare
socialmente. In Svezia non solo solidali, perché lo dice papa Francesco, ma
perché hanno una cultura laica improntata alla solidarietà. Perché questa
cultura non può arrivare anche in Italia? D’altronde questa cultura
incarnerebbe i valori costituzionali, anch’essi fondati sulla partecipazione solidale. Occorre
notare che la costituzione prevede l’esistenza di un registro sindacale. Un
archivio in cui le organizzazioni dei lavoratori debbano iscriversi per poter
così partecipare di diritto alle contrattazioni con lo stato e le
organizzazioni dei proprietari. Questo registro doveva nascere per legge. Una
norma d’attuazione costituzionale doveva regolare la registrazioni delle
confederazioni sindacali. Lo stato non ha mai provveduto all’emanazione di
quest’atto. I sindacati non hanno avuto mai un registro nazionale o locale in
cui registrarsi. Questo non è solo un ritardo istituzionale. I sindacati e la
politica hanno sempre avuto remore nell’istituire un registro nazionale sindacale.
C’è il rischio che questo possa diventare uno strumento di controllo sull’operato
consociativo, c’è il rischio che questo possa portare un calo di democrazia.
Gli statuti dei singoli sindacati devono essere basati su principi democratici.
L’articolo 39 è chiarissimo. La democrazia e il pluralismo sono la base del
movimento sindacale. Non avrebbe senso che un’istituzione nata per portare
libertà nel mondo del lavoro, non avesse essa stessa libertà al suo interno. La
volontà è quella di evitare gli orrori del fascismo. Evitare che un sindacato
si stato sia meramente un organo di controllo sui lavoratori, come era ai tempi
di Mussolini e del suo sindacato unico. La democrazia è principio cardine che
deve entrare in ogni organizzazione, anche in quella sindacale. I sindacati
hanno il compito storico di portare nel mondo del lavoro i valori repubblicani
di libertà, uguaglianza e fraternità. Libertà vuol dire garantire che il
lavoratore possa esprimere liberamente la propria personalità anche in quest’ambito,
con l’espressione lessicale e con il lavoro. Uguaglianza è il moto solidale che
spinge a farsi carico dei bisogni dei meno fortunati: dei disoccupati, degli
emarginati in modo da superare le perequazioni sociali. Fraternità è l’idea che
tutti gli esseri umani, donne e uomini, sono accomunati in un comune destino.
Questo destino dovrebbe portarci a prenderci cura l’uno dell’altro. Dovrebbe
spingerci alla solidarietà. Il sindacato dovrebbe fondarsi sula convinzione che
l’unione, l’unità, è l’unica via per migliorare le sorti dei lavoratori e dell’intero
paese. Nessuno deve rimanere indietro. Bisogna voltarsi indietro verso colui
che è caduto. Porgergli una mano per alzarlo dalla terra e continuare insieme
una marcia verso le mete progressive dell’umanità. Se si ragiona in quest’ottica
si può comprendere l’importanza di cambiare mentalità. Basta con le derisioni e
i soprusi verso i più deboli. Si può pensare a un progresso sociale inclusivo.
Si deve avere la certezza che l’unica via possibile per avere una società
migliore è non lasciare indietro nessuno. Per conseguire questo sogno di
civiltà i sindacati devono impegnarsi profondamente. La costituzione li rende
liberi, devono utilizzare questa libertà per liberare dalle incrostazioni
culturali oppressive il mondo del lavoro. Crediamoci per li bene dei
disoccupati, dei sottopagati, degli emarginati socialmente, dei soggetti alle
angherie e alle derisioni e per tutti noi che abbiamo diritto a lavorare e a
vivere in ambiti lavorativi migliori.
testo di Pellecchia Gianfranco
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