martedì 13 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 39

ARTICOLO 39

“L’organizzazione sindacale  è libera
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentanti unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”

"Racconto a mano libera" prosegue nella pubblicazione degli articoli della costituzione italiana in occasione dei settanta anni dalla sua promulgazione ed entrata in vigore, ricorreva il 1 gennaio 1948.

L’organizzazione sindacale è libera. Così sancisce il primo comma dell’articolo 39. I lavoratori hanno diritto ad autorganizzarsi liberamente. Possono formare sindacati all’interno dell’ambito lavorativo. Queste organizzazioni di lavoratori si ispirano ai più svariati afflati culturali. Ci sono sindacati cattolici, organizzazioni sindacali di ispirazione socialista e così via. Se hanno un vasto numero di tesserati possono, anzi devono, partecipare alla contrattazione nazionale del contratto lavorativo di categoria. La libertà e la partecipazione sono i punti fermi che la costituzione proclama nell’ambito dei rapporti sindacali. I sindacati sono liberi. Hanno un loro statuto. Non devono sottostare ai dettami del potere statuale e della politica. La loro libertà da ogni altro organo istituzionale garantisce che i diritti dei lavoratori siano tutelati e che i loro interessi siano posti al centro della politica repubblicana “fondata sul lavoro”, come afferma l’articolo uno della nostra carta fondamentale. Compito dei sindacato è proteggere le categorie sociali più deboli. Coloro che non possono far valere la propria voce, coloro che sono schiacciati dalle terribili logiche economiche e sociali, coloro che sono stritolati dalle logiche ciniche dell’economia, dovrebbero trovare nel sindacato la loro difesa. I disabili, i meno fortunati, gli indigenti, coloro che hanno un salario basso, dovrebbero trovare un supporto materiale e morale in queste organizzazioni. I sindacati spesso si impegnano strenuamente per difendere la dignità del lavoro e, soprattutto, dei lavoratori. Difendono coloro che rischiano di perdere il proprio posto. Difendono i disabili, che, soprattutto nel meridione, non riescono ad avere un’adeguata protezione essendo emarginati ed irrisi. Difendono i migranti, che troppo spesso vivono la loro condizione in stato di emarginazione e sono sfruttati nell’ambito lavorativo. Il lavoro sindacale è encomiabile. Tanto c’è da fare ancora. Tanto bisogna fare per superare gli ostacoli che ancora sussistono per raggiungere l’integrazione. Bisogna cambiare la mente delle persone. Ancor oggi sono i colleghi, i lavoratori, a denigrare il più debole. Siamo lontanissimi da quello spirito di solidarietà a cui ha invitato papa Francesco. I sindacati devono impegnarsi in questa opera di integrazione sociale. Bisogna che si operi per promuovere la democrazia all’interno degli ambiti lavorativi. Bisogna promuovere il diritto dei lavoratori alla reale partecipazione attiva alle scelte che li riguardano direttamente. Bisogna abolire quella cultura prevaricante che permette di soffocare le voci delle persone più deboli. Abbiamo sotto gli occhi i casi in cui coloro che non riescono a parlare, coloro che non riescono ad esprimere compiutamente le loro idee, vengono ridicolizzati e, cosa ben più grave, messi in condizioni tremende. Sono i più deboli che pagano lo scotto della crisi. Sono i più deboli che non solo scivolano verso il basso nella piramide sociale, ma anche subiscono le più degradanti angherie. Il sindacato, le organizzazioni dei lavoratori, dovrebbero operare per un cambiamento culturale. Si può essere la Svezia! E’ un’affermazione provocatoria questa. Ma si può aspirare ad avere una politica sociale di integrazione. Mi preme sottolineare che in Svezia non sono cattolici, quindi è falsa l’idea che il non essere cristiano autorizza all’emarginare socialmente. In Svezia non solo solidali, perché lo dice papa Francesco, ma perché hanno una cultura laica improntata alla solidarietà. Perché questa cultura non può arrivare anche in Italia? D’altronde questa cultura incarnerebbe i valori costituzionali, anch’essi  fondati sulla partecipazione solidale. Occorre notare che la costituzione prevede l’esistenza di un registro sindacale. Un archivio in cui le organizzazioni dei lavoratori debbano iscriversi per poter così partecipare di diritto alle contrattazioni con lo stato e le organizzazioni dei proprietari. Questo registro doveva nascere per legge. Una norma d’attuazione costituzionale doveva regolare la registrazioni delle confederazioni sindacali. Lo stato non ha mai provveduto all’emanazione di quest’atto. I sindacati non hanno avuto mai un registro nazionale o locale in cui registrarsi. Questo non è solo un ritardo istituzionale. I sindacati e la politica hanno sempre avuto remore nell’istituire un registro nazionale sindacale. C’è il rischio che questo possa diventare uno strumento di controllo sull’operato consociativo, c’è il rischio che questo possa portare un calo di democrazia. Gli statuti dei singoli sindacati devono essere basati su principi democratici. L’articolo 39 è chiarissimo. La democrazia e il pluralismo sono la base del movimento sindacale. Non avrebbe senso che un’istituzione nata per portare libertà nel mondo del lavoro, non avesse essa stessa libertà al suo interno. La volontà è quella di evitare gli orrori del fascismo. Evitare che un sindacato si stato sia meramente un organo di controllo sui lavoratori, come era ai tempi di Mussolini e del suo sindacato unico. La democrazia è principio cardine che deve entrare in ogni organizzazione, anche in quella sindacale. I sindacati hanno il compito storico di portare nel mondo del lavoro i valori repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità. Libertà vuol dire garantire che il lavoratore possa esprimere liberamente la propria personalità anche in quest’ambito, con l’espressione lessicale e con il lavoro. Uguaglianza è il moto solidale che spinge a farsi carico dei bisogni dei meno fortunati: dei disoccupati, degli emarginati in modo da superare le perequazioni sociali. Fraternità è l’idea che tutti gli esseri umani, donne e uomini, sono accomunati in un comune destino. Questo destino dovrebbe portarci a prenderci cura l’uno dell’altro. Dovrebbe spingerci alla solidarietà. Il sindacato dovrebbe fondarsi sula convinzione che l’unione, l’unità, è l’unica via per migliorare le sorti dei lavoratori e dell’intero paese. Nessuno deve rimanere indietro. Bisogna voltarsi indietro verso colui che è caduto. Porgergli una mano per alzarlo dalla terra e continuare insieme una marcia verso le mete progressive dell’umanità. Se si ragiona in quest’ottica si può comprendere l’importanza di cambiare mentalità. Basta con le derisioni e i soprusi verso i più deboli. Si può pensare a un progresso sociale inclusivo. Si deve avere la certezza che l’unica via possibile per avere una società migliore è non lasciare indietro nessuno. Per conseguire questo sogno di civiltà i sindacati devono impegnarsi profondamente. La costituzione li rende liberi, devono utilizzare questa libertà per liberare dalle incrostazioni culturali oppressive il mondo del lavoro. Crediamoci per li bene dei disoccupati, dei sottopagati, degli emarginati socialmente, dei soggetti alle angherie e alle derisioni e per tutti noi che abbiamo diritto a lavorare e a vivere in ambiti lavorativi migliori.

testo di Pellecchia Gianfranco 

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