XVII DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
“L’Assemblea
Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31
gennaio 1948, sulla legge per la elezione del senato della Repubblica, sugli
statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa.
Fino al giorno delle
elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente può essere convocata,
quando vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua
competenza dagli articoli 2, primo e secondo comma, e 3, comma primo e secondo,
del decreto legislativo 16 marzo 1946, n.98.
In tale periodo le
Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al
Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e
proposte di emendamenti.
I deputati possono
presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.
L’Assemblea
Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del precedente articolo, è
convocata dal suo presidente su richiesta motivata del Governo o di almeno
duecento deputati”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli
approvati dall’assemblea costituente assieme alla Costituzione il 22 dicembre
1947. Hanno la funzione di regolare il passaggio fra il regime monarchico e
quello repubblicano. L’Italia ha deciso di cambiare il 2 giugno 1946. Il
popolo, con referendum, ha scelto la repubblica. Dopo novanta anni di potere
reale, adesso è il popolo che si rende fattore del proprio destino. Sono durati
un anno e mezzo i lavori dell’assemblea
costituente. L’organo chiamato a scrivere le nuove regole del paese, eletto con
libere consultazioni in concomitanza con
il referendum “monarchia o repubblica”, nel dicembre 1947 ha concluso i suoi
lavori. La Carta costituzionale è stata promulgata. Ma il lavoro dell’assemblea
costituente non finisce con l’approvazione del testo costituzionale. La XVII
disposizione transitoria e finale detta i compiti inderogabili che l’assemblea
è chiamata a svolgere nel mese di gennaio 1948, prima che sia sciolta e siano
indetti i comizi elettorali per l’elezione della Camera dei Deputati e del
Senato, che aprirà la prima legislatura repubblicana. Prima di tutto c’è da
scrivere la legge elettorale del Senato, che non può essere quella utilizzata
per l’assemblea costituente e per la camera dei deputati che nascerà. Queste
due assemblee designano i propri membri con metodo D'Hondt,, cioè con un sistema
proporzionale che divideva i collegi in base alla popolazione producendo
circoscrizioni elettorali. Il nuovo senato doveva essere eletto su base
regionale, la circoscrizioni dovevano coincidere con le regioni, in forza
dell’articolo 57 della Costituzione. Questo rendeva necessario introdurre un
sistema elettorale per il senato, in cui fosse possibile conciliare il fatto
che ogni singolo senatore rappresenta l’intera nazione e la sua elezione su
base regionale. Questo impose un complesso modello elettorale con un sistema
maggioritario che aveva un soglia di applicazione molto alta. Era eletto
direttamente il candidato che avesse, nel proprio collegio, una maggioranza di
oltre il 75% in mancanza di tale elevatissimo consenso i senatori erano eletti
proporzionalmente in base ai consensi ottenuti dai partiti su scala regionale.
Questo complesso sistema di designazione dei seggi rendeva il sistema
elettorale del Senato formalmente maggioritario e sostanzialmente
proporzionale. Bisogna ricordare che tale legge fu approvata, con affanno, il 6
febbraio 1948. L’assemblea Costituente doveva chiudere i lavori il 31 gennaio,
per poi indire i bandi elettorali, ma le sedute assembleari si prolungarono di
qualche giorno. È d’uopo ricordare che la legge elettorale della Camera del
deputati rimase la stessa che aveva permesso l’elezione dell’assemblea
costituente. Tale legge era stata votata dalla Consulta Nazionale il 26 febbraio 1946. L’assemblea costituente la
riconobbe come norma di selezione dei deputati, senza portarle alcuna modifica,
con legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Riassumiamo. La legge elettorale del senato
era stata intermente voluta e discussa in assemblea costituente, era un sistema
di designazione proporzionale con ripartizione regionale. Invece il sistema
elettorale della Camera riprendeva, senza alcun tipo di variazione, quello
utilizzato per eleggere la Costituente, ed era un sistema proporzionale che
divideva il paese in collegi elettorali, ognuno dei quali aveva la possibilità
di portare alla Camera dei rappresentanti designati fra liste elettorali che
coincidevano con i partiti politici.
Altra importantissima legge che fece l’assemblea
costituente, prima di sciogliersi, fu la legge sulla stampa. Essa fu promulgata 8 febbraio 1948. Garantiva le
libertà dei giornali. In forza dell’articolo 21 della Costituzione la nuova
legge abrogava le leggi fasciste di controllo da parte dello stato sui
contenuti dei testi giornalisti e aboliva il diritto di intromettersi, da parte
del governo, nell’elezione dei direttori dei quotidiani, nella designazione
delle redazioni giornalistiche e in generale vietava ogni tipo di ingerenza
statuale. La Stampa non aveva alcuna censura. I giornali, le riviste e ogni
tipo di pubblicazioni erano libere. L’unica ragione che poteva imporre il
sequestro delle pubblicazione era l’oltraggio alla pubblica morale. Insomma la
libertà di ogni cittadino si esplicitava nel suo diritto ad essere informato da
mezzi di comunicazione liberi. Nessun contro, nessun atto autoritario, poteva
impedire la diffusione di notizie a mezzo di stampa. La Libertà si esplicitava
con la mancanza di censura. Chiunque poteva scrivere testi, libri, volantini e
libelli senza incorrere nell’intervento repressivo della polizia. La legge
sulla stampa imponeva paletti. Ancor oggi queste limitazioni sono viste come
retaggio di un passato lontano. Ad esempio il direttore del giornale deve
essere iscritto all’ordine dei giornalisti. Chi scrive sui giornali deve essere
pubblicista, cioè essere iscritto in un apposito albo, a cui si accede dopo
aver compiuto un preciso iter di studio e di tirocinio. Questo è stato imposto
dalla legge del 1948 per responsabilizzare il ruolo del giornalista. Chi
conduce un giornale, il direttore, e chi scrive per lui è responsabile davanti
alla nazione di garantire il diritto di ogni cittadino ad essere informato. La
Stampa ha un’alta missione. È la sentinella che controlla la vita sociale e
politica del paese. È il baluardo contro la prevaricazione che il potere può
produrre. È colei che denuncia i mali sociali, ad esempio ci sono stati tanti
giornalisti morti perché hanno denunciato le malefatte della mafia. È giusto
che ci sia una legge dello stato che non solo regoli il suo operato, ma
protegga coloro che fanno il mestiere del giornalista dalle ingerenze altrui.
La legge sulla stampa è una legge ordinaria. Non è una legge Costituzionale,
può essere modificata e riformata secondo i dettami indicati dalla sezione II
del titolo I della seconda parte della costituzione. Cioè segue l’iter di
approvazione delle norma che prevede l’articolo 72 della nostra Carta
Fondamentale. Detto questo appare palese che una norma che regolamenti la
libertà di stampa è da considerarsi centrale per una nazione matura. Non è un
caso che sia stata la Assemblea Costituente a redigerla ed approvarla per la
prima volta. Le riforme alle norme sulla stampa devono essere fatte con
assoluta attenzione e tenendo saldamente presente i principi fondamentali del
nostro stato sanciti dalla stessa Carta Costituzionale. La libertà di scrivere,
di parlare, di esprimersi è fondamentale. È indispensabile trovare un
equilibrio fra il diritto di tutti di professare pubblicamente il proprio
pensiero e il diritto dell’intera comunità di tutelarsi davanti ad un uso
distorto della comunicazione. Il giornalista, ma anche il comiziante, non deve
avere il diritto di dire qualunque cosa. Ci sono leggi fondamentali che
puniscono penalmente la calunnia, coloro che dicono il falso. Sono leggi
necessarie, sono norme di buon senso. Non bastano! Occorre una maturità morale
e intellettuale del lettore che sappia discernere i contenuti di un elaborato scritto
o immesso sui media televisivi e telematici. La legge non potrà mai impedire le
cosiddette “fake news”, le notizie spazzatura. Tutti hanno il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero, tuona l’articolo 21 della
Costituzione. È necessario, oltre che giusto, che così sia. Nessun ha il potere
e il diritto di dire all’altro: Stai zitto. Ma bisogna imparare a saper
soppesare le parole dell’altro. Bisogna imparare ad analizzare il contenuto di
una “velina”, di uno scritto, e saper discernere il vero dal falso. Questo è il
messaggio iscritto nella XVII norma transitoria e finale della Costituzione. Lo
Stato, la Repubblica, deve fare una buona legge sulla stampa che tuteli il lavoro
dei giornalisti, la dignità di chi è oggetto del loro racconto e il diritto di
tutti ad avere un’informazione non mentoniera. Ma al di là dei paletti minimi
posti a tutela del buon nome e contro la calunnia, è il lettore che si deve far
giudice della qualità della notizia. Un giudice è in grado di giudicare solo se
consoce. È bene leggere, studiare, informarsi, leggere i classici della
letteratura mondiale (penso ai magnifici rimbrotti ai giornalisti francesi dell’Ottocento
fatti da Balzac) per difenderci da un’informazione distorta e tendenziosa.
Altro compito fondamentale che ebbe l’assemblea costituente
nel primo scorcio dell’anno 1948 è quello di redigere ed approvare gli statuti
delle regioni ad ordinamento speciale. La Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta
e il Trentino Alto Adige sono le quattro regioni che hanno visto approvati dall’assemblea
costituente i propri statuti. Questi furono elaborati attraverso un fruttuoso lavoro
fra le comunità locali e l’apposita commissione per le autonomie locali, facente
parte della Costituente. È d’obbligo notare che l’istituzione e l’approvazione
dello statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia fu invece votato dal
senato e dalla camera dei deputati nel 1963. Questa parte del paese era ancora
in mano agli eserciti alleati nel 1948, per questo motivo la Costituente
preferì attendere che il territorio del Nord Est italiano tornasse libero e
sotto le amorevoli braccia della Repubblica Italiana prima di elaborare un
proprio statuto. Gli statuti speciali sono la garanzia della libertà e dell’autonomia
territoriale di alcune regioni che per motivi storici, culturali e linguistici
hanno bisogno di un particolare assetto normativo per garantire la migliore
maturazione culturale dei propri cittadini. Ad esempio la Sicilia e la
Sardegna, per il loro carattere insulare, hanno bisogno di quella maggiore
autonomia normativa ed amministrativa capace di sopperire l’isolamento prodotto
dal mare rispetto all’Italia continentale. Autonomia vuol dire agevolare la
crescita di territori che il mare ha reso unici e che li ha culturalmente formati.
La Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige invece sono regioni
plurilinguistiche. La cittadinanza è francofona, per la regione il cui
capoluogo è Aosta, e di lingua tedesca, nel caso della provincia di Bolzano. La
presenza di una popolazione bilingue, ha reso necessario l’introduzione di un
particolare statuto regionale che garantisse la pluralità culturale all’interno
dell’unità nazionale. Ricordiamolo! Garantire il pluralismo non deve valere
solo per le regioni a Statuto Speciale. La repubblica garantisce e tutela la
pluralità culturale dell’intero territorio nazionale. Lo Stato Italiano garantisce
il patrimonio culturale di tutte le minoranze. Ancora poco è stato fatto per
questo. Tante persone di lingua albanese, o di altra etnia, solo oggi, con le
leggi di tutela delle minoranze entrate in vigore a cavallo dell’inizio del XXI
secolo godono del diritto di studiare, di parlare in ambiti istituzionali,
utilizzando la propria lingua. I passi da fare per garantire le minoranze sono
tanti, in un paese come l’Italia in cui la pluralità è un bene prezioso. È compito
delle Regioni, anche quelle a statuto comune, tutelare la ricchezza e la
pluralità culturale del paese. Il loro compito deve essere svolto con il
supporto sinergico dello stato centrale. Seriamo che ulteriori passi si
facciano. Gli statuti regionali, ricordiamo quello pugliese, pongono al centro del
loro operare lo sforzo per valorizzare la diversità culturale, rendendola uno
strumento non di conflitto ma di unione fra le genti, speriamo che tale
proposito porti buoni frutti.
Ora passiamo ai compiti di interazione fra il governo e l’assemblea
costituente. Ricordiamo che l’esecutivo aveva il potere di governare il paese
emanando decreti legislativi. Aveva il compito di condurre la nazione
deliberando, con sua piena ed assoluta responsabilità, atti normativi che non
avevano la necessità di essere approvati dall’assemblea costituente. L’Assemblea
Costituente aveva l’alto ed oneroso compito di redigere i principi fondanti
della nascente Repubblica, doveva scrivere la Carta Costituzionale. Il Governo
doveva gestire l’emergenza nazionale. Guidare un paese che provava ad alzarsi
da una guerra che aveva messo in ginocchio l’intera popolazione. Questo
principio era derogato dalla possibilità che l’esecutivo potesse consultare la
Consulta in caso di decisioni di importantissima materia. Si pensi alla stipula
di trattati internazionali. Si pensi a gravissime decisioni volte a ricostruire
infrastrutture e industrie segnate gravemente dalla guerra. Però l’articolo 2 e
3 del decreto legislativo del 16 marzo 1946 pone le basi di quello che sarà il
rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo. Se l’esecutivo presenta una
proposta di legge alla Consulta e questa la boccia, non può essere promulgata
dal capo del governo, esattamente come avviene oggi. Ciò non implica la caduta
dell’esecutivo, esattamente come dispone l’articolo 94 della Costituzione che
dispone del rapporto fra Consiglio dei Ministri ed organo assembleare. Un voto
contrario a una proposta del governo non impone le dimissioni di questo, a meno
che non abbia posto “questione di fiducia”, cioè non abbia detto al parlamento,
detto per semplificare, se non approvate questa legge mi dimetto. Insomma gli
articoli 2 e 3 del decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946 prefigurano i
rapporti fra governo e parlamento che saranno caratteristica fondamentale della
nostra Repubblica. Nell’ottica di un’attiva e fruttuosa azione sinergica fra
governo e parlamento bisogna leggere i comma finali della disposizione
transitoria e finale XVII. I Comma tre, quattro e cinque stabiliscono che l’assemblea
costituente deve mantenere in pieno funzionamento le Commissioni, che durante
la stesura della Carta Costituzionale sono servite come luogo di dibattito fra
costituenti sui principali temi giuridici che sono stati trasporti ed incisi
negli articoli della Costituzione, dopo il 1 gennaio 1948, invece, serviranno
quale prezioso supporto all’azione dell’esecutivo. Il governo potrà esprimersi,
attraverso un proprio rappresentante, all’interno delle commissioni o davanti
all’intera assemblea, esponendo problematiche di rilevanza nazionale la cui
soluzione richiede l’intervento della Consulta. L’assemblea Costituente si può
riunire per richiesta del suo presidente, per richiesta del governo o per
richiesta di duecento suoi deputati. Tali richieste devono essere motivate in
forma scritta. Devono essere vagliate dal consiglio di presidenza che deve
proporle al presidente della Assemblea che deve indicare la data di
convocazione. Questo a dimostrazione di come l’Assemblea Costituente stesse
assumendo le fattezze di un Parlamento. Si stava preparando la strada a quella
che sarà la storia democratica della nostra Repubblica. Le modalità di
convocazioni, i riti istituzionali, l’etichetta repubblicana non sono meri atti
formali. La democrazia, per funzionare, ha bisogno di riti che diventano
garanzie. Le modalità di interazione fra organi dello stato, i tempi e i modi
di dibattito, sono preziosi strumenti per garantire che nessuna parte, nessun
schieramento politico, possa indebitamente prevaricare sull’altro, senza
rispettare le regole di libertà e di uguaglianza, bisogna ricordarlo sempre.
Ecco perché è fondamentale l’articolo XVII delle disposizioni transitorie e
finali, esso pone dei limiti alla potestà del parlamento di operare in tema di
libertà di stampa, di autonomie locali e di regole di dibattito parlamentare,
limitazioni che garantiscono che nemmeno l’assemblea legislativa può mettere in
discussioni i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.