mercoledì 13 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: XVII DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



XVII DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge per la elezione del senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa.

Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente può essere convocata, quando vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, primo e secondo comma, e 3, comma primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n.98.

In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamenti.

I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.

L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del precedente articolo, è convocata dal suo presidente su richiesta motivata del Governo o di almeno duecento deputati”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli approvati dall’assemblea costituente assieme alla Costituzione il 22 dicembre 1947. Hanno la funzione di regolare il passaggio fra il regime monarchico e quello repubblicano. L’Italia ha deciso di cambiare il 2 giugno 1946. Il popolo, con referendum, ha scelto la repubblica. Dopo novanta anni di potere reale, adesso è il popolo che si rende fattore del proprio destino. Sono durati un anno e mezzo i  lavori dell’assemblea costituente. L’organo chiamato a scrivere le nuove regole del paese, eletto con libere consultazioni  in concomitanza con il referendum “monarchia o repubblica”, nel dicembre 1947 ha concluso i suoi lavori. La Carta costituzionale è stata promulgata. Ma il lavoro dell’assemblea costituente non finisce con l’approvazione del testo costituzionale. La XVII disposizione transitoria e finale detta i compiti inderogabili che l’assemblea è chiamata a svolgere nel mese di gennaio 1948, prima che sia sciolta e siano indetti i comizi elettorali per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato, che aprirà la prima legislatura repubblicana. Prima di tutto c’è da scrivere la legge elettorale del Senato, che non può essere quella utilizzata per l’assemblea costituente e per la camera dei deputati che nascerà. Queste due assemblee designano i propri membri  con metodo D'Hondt,, cioè con un sistema proporzionale che divideva i collegi in base alla popolazione producendo circoscrizioni elettorali. Il nuovo senato doveva essere eletto su base regionale, la circoscrizioni dovevano coincidere con le regioni, in forza dell’articolo 57 della Costituzione. Questo rendeva necessario introdurre un sistema elettorale per il senato, in cui fosse possibile conciliare il fatto che ogni singolo senatore rappresenta l’intera nazione e la sua elezione su base regionale. Questo impose un complesso modello elettorale con un sistema maggioritario che aveva un soglia di applicazione molto alta. Era eletto direttamente il candidato che avesse, nel proprio collegio, una maggioranza di oltre il 75% in mancanza di tale elevatissimo consenso i senatori erano eletti proporzionalmente in base ai consensi ottenuti dai partiti su scala regionale. Questo complesso sistema di designazione dei seggi rendeva il sistema elettorale del Senato formalmente maggioritario e sostanzialmente proporzionale. Bisogna ricordare che tale legge fu approvata, con affanno, il 6 febbraio 1948. L’assemblea Costituente doveva chiudere i lavori il 31 gennaio, per poi indire i bandi elettorali, ma le sedute assembleari si prolungarono di qualche giorno. È d’uopo ricordare che la legge elettorale della Camera del deputati rimase la stessa che aveva permesso l’elezione dell’assemblea costituente. Tale legge era stata votata dalla Consulta Nazionale il  26 febbraio 1946. L’assemblea costituente la riconobbe come norma di selezione dei deputati, senza portarle alcuna modifica, con legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Riassumiamo. La legge elettorale del senato era stata intermente voluta e discussa in assemblea costituente, era un sistema di designazione proporzionale con ripartizione regionale. Invece il sistema elettorale della Camera riprendeva, senza alcun tipo di variazione, quello utilizzato per eleggere la Costituente, ed era un sistema proporzionale che divideva il paese in collegi elettorali, ognuno dei quali aveva la possibilità di portare alla Camera dei rappresentanti designati fra liste elettorali che coincidevano con i partiti politici.

Altra importantissima legge che fece l’assemblea costituente, prima di sciogliersi, fu la legge sulla stampa. Essa  fu promulgata 8 febbraio 1948. Garantiva le libertà dei giornali. In forza dell’articolo 21 della Costituzione la nuova legge abrogava le leggi fasciste di controllo da parte dello stato sui contenuti dei testi giornalisti e aboliva il diritto di intromettersi, da parte del governo, nell’elezione dei direttori dei quotidiani, nella designazione delle redazioni giornalistiche e in generale vietava ogni tipo di ingerenza statuale. La Stampa non aveva alcuna censura. I giornali, le riviste e ogni tipo di pubblicazioni erano libere. L’unica ragione che poteva imporre il sequestro delle pubblicazione era l’oltraggio alla pubblica morale. Insomma la libertà di ogni cittadino si esplicitava nel suo diritto ad essere informato da mezzi di comunicazione liberi. Nessun contro, nessun atto autoritario, poteva impedire la diffusione di notizie a mezzo di stampa. La Libertà si esplicitava con la mancanza di censura. Chiunque poteva scrivere testi, libri, volantini e libelli senza incorrere nell’intervento repressivo della polizia. La legge sulla stampa imponeva paletti. Ancor oggi queste limitazioni sono viste come retaggio di un passato lontano. Ad esempio il direttore del giornale deve essere iscritto all’ordine dei giornalisti. Chi scrive sui giornali deve essere pubblicista, cioè essere iscritto in un apposito albo, a cui si accede dopo aver compiuto un preciso iter di studio e di tirocinio. Questo è stato imposto dalla legge del 1948 per responsabilizzare il ruolo del giornalista. Chi conduce un giornale, il direttore, e chi scrive per lui è responsabile davanti alla nazione di garantire il diritto di ogni cittadino ad essere informato. La Stampa ha un’alta missione. È la sentinella che controlla la vita sociale e politica del paese. È il baluardo contro la prevaricazione che il potere può produrre. È colei che denuncia i mali sociali, ad esempio ci sono stati tanti giornalisti morti perché hanno denunciato le malefatte della mafia. È giusto che ci sia una legge dello stato che non solo regoli il suo operato, ma protegga coloro che fanno il mestiere del giornalista dalle ingerenze altrui. La legge sulla stampa è una legge ordinaria. Non è una legge Costituzionale, può essere modificata e riformata secondo i dettami indicati dalla sezione II del titolo I della seconda parte della costituzione. Cioè segue l’iter di approvazione delle norma che prevede l’articolo 72 della nostra Carta Fondamentale. Detto questo appare palese che una norma che regolamenti la libertà di stampa è da considerarsi centrale per una nazione matura. Non è un caso che sia stata la Assemblea Costituente a redigerla ed approvarla per la prima volta. Le riforme alle norme sulla stampa devono essere fatte con assoluta attenzione e tenendo saldamente presente i principi fondamentali del nostro stato sanciti dalla stessa Carta Costituzionale. La libertà di scrivere, di parlare, di esprimersi è fondamentale. È indispensabile trovare un equilibrio fra il diritto di tutti di professare pubblicamente il proprio pensiero e il diritto dell’intera comunità di tutelarsi davanti ad un uso distorto della comunicazione. Il giornalista, ma anche il comiziante, non deve avere il diritto di dire qualunque cosa. Ci sono leggi fondamentali che puniscono penalmente la calunnia, coloro che dicono il falso. Sono leggi necessarie, sono norme di buon senso. Non bastano! Occorre una maturità morale e intellettuale del lettore che sappia discernere i contenuti di un elaborato scritto o immesso sui media televisivi e telematici. La legge non potrà mai impedire le cosiddette “fake news”, le notizie spazzatura. Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, tuona l’articolo 21 della Costituzione. È necessario, oltre che giusto, che così sia. Nessun ha il potere e il diritto di dire all’altro: Stai zitto. Ma bisogna imparare a saper soppesare le parole dell’altro. Bisogna imparare ad analizzare il contenuto di una “velina”, di uno scritto, e saper discernere il vero dal falso. Questo è il messaggio iscritto nella XVII norma transitoria e finale della Costituzione. Lo Stato, la Repubblica, deve fare una buona legge sulla stampa che tuteli il lavoro dei giornalisti, la dignità di chi è oggetto del loro racconto e il diritto di tutti ad avere un’informazione non mentoniera. Ma al di là dei paletti minimi posti a tutela del buon nome e contro la calunnia, è il lettore che si deve far giudice della qualità della notizia. Un giudice è in grado di giudicare solo se consoce. È bene leggere, studiare, informarsi, leggere i classici della letteratura mondiale (penso ai magnifici rimbrotti ai giornalisti francesi dell’Ottocento fatti da Balzac) per difenderci da un’informazione distorta e tendenziosa.

Altro compito fondamentale che ebbe l’assemblea costituente nel primo scorcio dell’anno 1948 è quello di redigere ed approvare gli statuti delle regioni ad ordinamento speciale. La Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige sono le quattro regioni che hanno visto approvati dall’assemblea costituente i propri statuti. Questi furono elaborati attraverso un fruttuoso lavoro fra le comunità locali e l’apposita commissione per le autonomie locali, facente parte della Costituente. È d’obbligo notare che l’istituzione e l’approvazione dello statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia fu invece votato dal senato e dalla camera dei deputati nel 1963. Questa parte del paese era ancora in mano agli eserciti alleati nel 1948, per questo motivo la Costituente preferì attendere che il territorio del Nord Est italiano tornasse libero e sotto le amorevoli braccia della Repubblica Italiana prima di elaborare un proprio statuto. Gli statuti speciali sono la garanzia della libertà e dell’autonomia territoriale di alcune regioni che per motivi storici, culturali e linguistici hanno bisogno di un particolare assetto normativo per garantire la migliore maturazione culturale dei propri cittadini. Ad esempio la Sicilia e la Sardegna, per il loro carattere insulare, hanno bisogno di quella maggiore autonomia normativa ed amministrativa capace di sopperire l’isolamento prodotto dal mare rispetto all’Italia continentale. Autonomia vuol dire agevolare la crescita di territori che il mare ha reso unici e che li ha culturalmente formati. La Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige invece sono regioni plurilinguistiche. La cittadinanza è francofona, per la regione il cui capoluogo è Aosta, e di lingua tedesca, nel caso della provincia di Bolzano. La presenza di una popolazione bilingue, ha reso necessario l’introduzione di un particolare statuto regionale che garantisse la pluralità culturale all’interno dell’unità nazionale. Ricordiamolo! Garantire il pluralismo non deve valere solo per le regioni a Statuto Speciale. La repubblica garantisce e tutela la pluralità culturale dell’intero territorio nazionale. Lo Stato Italiano garantisce il patrimonio culturale di tutte le minoranze. Ancora poco è stato fatto per questo. Tante persone di lingua albanese, o di altra etnia, solo oggi, con le leggi di tutela delle minoranze entrate in vigore a cavallo dell’inizio del XXI secolo godono del diritto di studiare, di parlare in ambiti istituzionali, utilizzando la propria lingua. I passi da fare per garantire le minoranze sono tanti, in un paese come l’Italia in cui la pluralità è un bene prezioso. È compito delle Regioni, anche quelle a statuto comune, tutelare la ricchezza e la pluralità culturale del paese. Il loro compito deve essere svolto con il supporto sinergico dello stato centrale. Seriamo che ulteriori passi si facciano. Gli statuti regionali, ricordiamo quello pugliese, pongono al centro del loro operare lo sforzo per valorizzare la diversità culturale, rendendola uno strumento non di conflitto ma di unione fra le genti, speriamo che tale proposito porti buoni frutti.

Ora passiamo ai compiti di interazione fra il governo e l’assemblea costituente. Ricordiamo che l’esecutivo aveva il potere di governare il paese emanando decreti legislativi. Aveva il compito di condurre la nazione deliberando, con sua piena ed assoluta responsabilità, atti normativi che non avevano la necessità di essere approvati dall’assemblea costituente. L’Assemblea Costituente aveva l’alto ed oneroso compito di redigere i principi fondanti della nascente Repubblica, doveva scrivere la Carta Costituzionale. Il Governo doveva gestire l’emergenza nazionale. Guidare un paese che provava ad alzarsi da una guerra che aveva messo in ginocchio l’intera popolazione. Questo principio era derogato dalla possibilità che l’esecutivo potesse consultare la Consulta in caso di decisioni di importantissima materia. Si pensi alla stipula di trattati internazionali. Si pensi a gravissime decisioni volte a ricostruire infrastrutture e industrie segnate gravemente dalla guerra. Però l’articolo 2 e 3 del decreto legislativo del 16 marzo 1946 pone le basi di quello che sarà il rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo. Se l’esecutivo presenta una proposta di legge alla Consulta e questa la boccia, non può essere promulgata dal capo del governo, esattamente come avviene oggi. Ciò non implica la caduta dell’esecutivo, esattamente come dispone l’articolo 94 della Costituzione che dispone del rapporto fra Consiglio dei Ministri ed organo assembleare. Un voto contrario a una proposta del governo non impone le dimissioni di questo, a meno che non abbia posto “questione di fiducia”, cioè non abbia detto al parlamento, detto per semplificare, se non approvate questa legge mi dimetto. Insomma gli articoli 2 e 3 del decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946 prefigurano i rapporti fra governo e parlamento che saranno caratteristica fondamentale della nostra Repubblica. Nell’ottica di un’attiva e fruttuosa azione sinergica fra governo e parlamento bisogna leggere i comma finali della disposizione transitoria e finale XVII. I Comma tre, quattro e cinque stabiliscono che l’assemblea costituente deve mantenere in pieno funzionamento le Commissioni, che durante la stesura della Carta Costituzionale sono servite come luogo di dibattito fra costituenti sui principali temi giuridici che sono stati trasporti ed incisi negli articoli della Costituzione, dopo il 1 gennaio 1948, invece, serviranno quale prezioso supporto all’azione dell’esecutivo. Il governo potrà esprimersi, attraverso un proprio rappresentante, all’interno delle commissioni o davanti all’intera assemblea, esponendo problematiche di rilevanza nazionale la cui soluzione richiede l’intervento della Consulta. L’assemblea Costituente si può riunire per richiesta del suo presidente, per richiesta del governo o per richiesta di duecento suoi deputati. Tali richieste devono essere motivate in forma scritta. Devono essere vagliate dal consiglio di presidenza che deve proporle al presidente della Assemblea che deve indicare la data di convocazione. Questo a dimostrazione di come l’Assemblea Costituente stesse assumendo le fattezze di un Parlamento. Si stava preparando la strada a quella che sarà la storia democratica della nostra Repubblica. Le modalità di convocazioni, i riti istituzionali, l’etichetta repubblicana non sono meri atti formali. La democrazia, per funzionare, ha bisogno di riti che diventano garanzie. Le modalità di interazione fra organi dello stato, i tempi e i modi di dibattito, sono preziosi strumenti per garantire che nessuna parte, nessun schieramento politico, possa indebitamente prevaricare sull’altro, senza rispettare le regole di libertà e di uguaglianza, bisogna ricordarlo sempre. Ecco perché è fondamentale l’articolo XVII delle disposizioni transitorie e finali, esso pone dei limiti alla potestà del parlamento di operare in tema di libertà di stampa, di autonomie locali e di regole di dibattito parlamentare, limitazioni che garantiscono che nemmeno l’assemblea legislativa può mettere in discussioni i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.



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