lunedì 11 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: XVI DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



XVI DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli approvati dall’assemblea costituente al margine del dibattito per la approvazione della Carta Fondamentale della Repubblica. Dovevano svolgere la preziosa funzione di regolamentare la transizione fra il regime monarchico, uscito sconfitto dall’esito referendario del 2 giugno 1946, e la nascente democrazia repubblicana. Non c’è dubbio che hanno esplicato egregiamente la loro funzione. Il paese è riuscito a cambiare, pur rimanendo garantiti quegli istituti giuridici del passato necessari alla vita sociale di ieri, di oggi e di domani. La XVI disposizione transitoria pone la sua attenzione su quelle leggi inconciliabili con la democrazia e l’uguaglianza repubblicana, poste in essere dall’antico regime. Sono leggi che avevano una rilevantissima valenza sociale. Regolamentavano la vita civile. Su di esse si fondava il diritto di famiglia. La vita militare si reggeva su di esse. Sono leggi che imponevano la subalternità della moglie al marito. Leggi che impedivano l’accesso alla magistratura di persone appartenenti al genere femminile. Leggi che inibivano i più elementari diritti ai militari, subalterni ai propri superiori, negandogli la loro stessa dignità sociale. Leggi che non potevano essere abrogate semplicemente con il loro non esercizio, non applicandole. Non si poteva ignorare la loro esistenza, quali non fossero mai esistite. Ciò avrebbe provocato un vuoto istituzionale impossibile da colmare. Provo a spiegarmi. La legge fascista che vietava “l’assembramento”, cioè l’incontro, di tre o più persone in piazza per motivi “sediziosi”, fu facilmente cancellata dalla prima sentenza, storica, della Corte Costituzionale, grazie all’impegno giuridico ed etico di un allora giovane magistrato, Antonio Caponnetto, nel 1956, tale giudice sarebbe diventato il capo del pool antimafia con al fianco Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma mentre è relativamente facile cancellare una legge che vieta un atto che è ingiusto vietare, come quello di manifestare liberamente e pacificamente in piazza la propria opinione, più difficile è mutare norme, che pur essendo incompatibili con l’ordine costituzionale, sono l’unico strumento per regolamentare un particolare status o negozio giuridico di assoluta rilevanza sociale, quale lo status di militare o coniuge. La Corte Costituzionale può lenire le conseguenze più spiacevoli generate da una legge ingiusta. Spetta al Parlamento rinnovare l’ordinamento giuridico in materia, facendo leggi nuove che cancellino quelle del passato e che siano compatibili con i valori iscritti nella Costituzione. La disposizione transitoria e finale numero XVI è stata piuttosto ottimista. Poneva un anno come termine per l’eliminazione delle leggi di rilevanza costituzionale incompatibili con il nuovo regime. Solo poche norme liberticide furono cancellate nei tempi prescritti. La legge dell’otto febbrai 1948, sulla stampa, cancellò quasi immediatamente le terribili norme censorie volute dal fascismo e introdusse una normativa sulle pubblicazioni che cercava di conciliare la libertà con il decoro pubblico. Una legge certo ancora ricca di contraddizioni, ma comunque più liberale rispetto alle norme del passato. Una norma, bisogna sottolineare, che aboliva ogni tipo di censura e di controllo preventivo da parte dello stato. La censura è lo strumento principe dei regimi oppressivi, la sua cancellazione è stato l’atto più significativo di libertà del nuovo parlamento, un modo per dare applicazione immediata all’articolo 21 della nostra carta fondamentale che nel secondo comma afferma con forza: la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, è libera. Insomma l’articolo XVI delle norme transitorie e finali impone un processo di espulsione di norme ingiuste. Avvia un processo storico che è stato lungo e complesso. Ad esempio il diritto di famiglia è stato riformato nella sua interezza solo negli anni ’70 del secolo scorso. Ci sono voluti quasi trenta anni per espellere definitivamente dal codice civile quelle norme che negavano la dignità alla donna all’interno della famiglia. Ci sono voluti molti più lustri del previsto per conformare l’ordinamento giuridico italiano ai valori costituzionali. La legge che dà la possibilità alle donne di diventare magistrato, al pari dell’uomo, è del 9 febbraio 1963. È stata approvata quindici anni dopo la Costituzione. Quindici anni in cui si è negato il principio di uguaglianza fra sessi. Ancor oggi molti diritti costituzionali sono negati. Ancor oggi ci sono leggi che sono incompatibili con i valori costituzionali. Norme che permettono di discriminare, di emarginare, donne, disabili, soggetti più deboli. Norme magari che non esplicitamente discriminano, ma che permettono di espellere donne e persone in difficoltà fisica e psicologica dal lavoro. Leggi che non tutelano gli immigrati, super sfruttati nei campi e uccisi, come è successo in Calabria recentemente. Cancellare le norme incompatibili con la costituzione vuol dire anche adoperarsi affinché queste ingiustizie non avvengano più. Il lavoro, il diritto alla salute, la dignità, il rispetto della diversità di genere sono capisaldi costituzionali che devono prendere vigore non solo attraverso atti normativi, ma anche attraverso un processo di presa di coscienza culturale. Insomma dopo settanta anni di vita la nostra costituzione deve fare ancora i conti con norme e culture incompatibili con i principi solidaristici di cui è latrice. Non bastano i voti parlamentari per cambiare la testa delle persone, non basta una legge per compiere un cammino solidale collettivo. Certo la Carta Costituzionale è un’indicazione etica, oltre che un atto giuridico. Mostra cosa sia giusto fare per costruire una società più giusta. Ma essa non basta, occorre l’impegno giornaliero di noi cittadini indirizzato verso atti solidali e di comunanza. Occorre che ognuno di noi acquisti una coscienza etica volta a immunizzarsi da quei mostri culturali che spingono a far violenza sulle donne, sfruttare il lavoratore debole, magari perché straniero, che emarginano la disabilità sociale e fisica. Cambiare è necessario, mutare il modo di approcciarsi alla realtà è indispensabile. La solidarietà, l’aiutare l’altro, è un modo per rendere non solo se stessi, ma il mondo intero e la realtà in cui si vive migliore. Come la XVI norma transitoria intendeva cancellare leggi crudeli e ingiuste, oggi dovremmo cancellare i nostri comportamenti incompatibili con la solidarietà umana.  

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