XVI DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
“Entro un anno dall’entrata
in vigore della Costituzione si procede alla revisione e al coordinamento con
essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state finora
esplicitamente o implicitamente abrogate”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli
approvati dall’assemblea costituente al margine del dibattito per la
approvazione della Carta Fondamentale della Repubblica. Dovevano svolgere la
preziosa funzione di regolamentare la transizione fra il regime monarchico,
uscito sconfitto dall’esito referendario del 2 giugno 1946, e la nascente democrazia
repubblicana. Non c’è dubbio che hanno esplicato egregiamente la loro funzione.
Il paese è riuscito a cambiare, pur rimanendo garantiti quegli istituti
giuridici del passato necessari alla vita sociale di ieri, di oggi e di domani.
La XVI disposizione transitoria pone la sua attenzione su quelle leggi
inconciliabili con la democrazia e l’uguaglianza repubblicana, poste in essere
dall’antico regime. Sono leggi che avevano una rilevantissima valenza sociale.
Regolamentavano la vita civile. Su di esse si fondava il diritto di famiglia.
La vita militare si reggeva su di esse. Sono leggi che imponevano la
subalternità della moglie al marito. Leggi che impedivano l’accesso alla
magistratura di persone appartenenti al genere femminile. Leggi che inibivano i
più elementari diritti ai militari, subalterni ai propri superiori, negandogli
la loro stessa dignità sociale. Leggi che non potevano essere abrogate
semplicemente con il loro non esercizio, non applicandole. Non si poteva
ignorare la loro esistenza, quali non fossero mai esistite. Ciò avrebbe
provocato un vuoto istituzionale impossibile da colmare. Provo a spiegarmi. La
legge fascista che vietava “l’assembramento”, cioè l’incontro, di tre o più
persone in piazza per motivi “sediziosi”, fu facilmente cancellata dalla prima
sentenza, storica, della Corte Costituzionale, grazie all’impegno giuridico ed
etico di un allora giovane magistrato, Antonio Caponnetto, nel 1956, tale
giudice sarebbe diventato il capo del pool antimafia con al fianco Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino. Ma mentre è relativamente facile cancellare una
legge che vieta un atto che è ingiusto vietare, come quello di manifestare
liberamente e pacificamente in piazza la propria opinione, più difficile è
mutare norme, che pur essendo incompatibili con l’ordine costituzionale, sono l’unico
strumento per regolamentare un particolare status o negozio giuridico di
assoluta rilevanza sociale, quale lo status di militare o coniuge. La Corte
Costituzionale può lenire le conseguenze più spiacevoli generate da una legge
ingiusta. Spetta al Parlamento rinnovare l’ordinamento giuridico in materia,
facendo leggi nuove che cancellino quelle del passato e che siano compatibili
con i valori iscritti nella Costituzione. La disposizione transitoria e finale
numero XVI è stata piuttosto ottimista. Poneva un anno come termine per l’eliminazione
delle leggi di rilevanza costituzionale incompatibili con il nuovo regime. Solo
poche norme liberticide furono cancellate nei tempi prescritti. La legge dell’otto
febbrai 1948, sulla stampa, cancellò quasi immediatamente le terribili norme
censorie volute dal fascismo e introdusse una normativa sulle pubblicazioni che
cercava di conciliare la libertà con il decoro pubblico. Una legge certo ancora
ricca di contraddizioni, ma comunque più liberale rispetto alle norme del
passato. Una norma, bisogna sottolineare, che aboliva ogni tipo di censura e di
controllo preventivo da parte dello stato. La censura è lo strumento principe
dei regimi oppressivi, la sua cancellazione è stato l’atto più significativo di
libertà del nuovo parlamento, un modo per dare applicazione immediata all’articolo
21 della nostra carta fondamentale che nel secondo comma afferma con forza: la
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, è libera. Insomma l’articolo
XVI delle norme transitorie e finali impone un processo di espulsione di norme
ingiuste. Avvia un processo storico che è stato lungo e complesso. Ad esempio
il diritto di famiglia è stato riformato nella sua interezza solo negli anni ’70
del secolo scorso. Ci sono voluti quasi trenta anni per espellere
definitivamente dal codice civile quelle norme che negavano la dignità alla
donna all’interno della famiglia. Ci sono voluti molti più lustri del previsto
per conformare l’ordinamento giuridico italiano ai valori costituzionali. La
legge che dà la possibilità alle donne di diventare magistrato, al pari dell’uomo,
è del 9 febbraio 1963. È stata approvata quindici anni dopo la Costituzione.
Quindici anni in cui si è negato il principio di uguaglianza fra sessi. Ancor
oggi molti diritti costituzionali sono negati. Ancor oggi ci sono leggi che
sono incompatibili con i valori costituzionali. Norme che permettono di
discriminare, di emarginare, donne, disabili, soggetti più deboli. Norme magari
che non esplicitamente discriminano, ma che permettono di espellere donne e
persone in difficoltà fisica e psicologica dal lavoro. Leggi che non tutelano
gli immigrati, super sfruttati nei campi e uccisi, come è successo in Calabria
recentemente. Cancellare le norme incompatibili con la costituzione vuol dire
anche adoperarsi affinché queste ingiustizie non avvengano più. Il lavoro, il
diritto alla salute, la dignità, il rispetto della diversità di genere sono
capisaldi costituzionali che devono prendere vigore non solo attraverso atti
normativi, ma anche attraverso un processo di presa di coscienza culturale.
Insomma dopo settanta anni di vita la nostra costituzione deve fare ancora i
conti con norme e culture incompatibili con i principi solidaristici di cui è
latrice. Non bastano i voti parlamentari per cambiare la testa delle persone,
non basta una legge per compiere un cammino solidale collettivo. Certo la Carta
Costituzionale è un’indicazione etica, oltre che un atto giuridico. Mostra cosa
sia giusto fare per costruire una società più giusta. Ma essa non basta,
occorre l’impegno giornaliero di noi cittadini indirizzato verso atti solidali
e di comunanza. Occorre che ognuno di noi acquisti una coscienza etica volta a
immunizzarsi da quei mostri culturali che spingono a far violenza sulle donne, sfruttare
il lavoratore debole, magari perché straniero, che emarginano la disabilità
sociale e fisica. Cambiare è necessario, mutare il modo di approcciarsi alla
realtà è indispensabile. La solidarietà, l’aiutare l’altro, è un modo per
rendere non solo se stessi, ma il mondo intero e la realtà in cui si vive
migliore. Come la XVI norma transitoria intendeva cancellare leggi crudeli e
ingiuste, oggi dovremmo cancellare i nostri comportamenti incompatibili con la
solidarietà umana.
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