martedì 5 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: IX DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



IX DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“La Repubblica, entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli approvati dall’assemblea costituente in concomitanza con la votazione della Costituzione Italiana. Servono a garantire la transizione dal regime monarchico a quello repubblicano. Sono norme che scandiscono i tempi dell’istituzione di uffici, enti e istituti sconosciuti in passato e che invece dovranno essere l’asse portante del nuovo regime democratico. La nona disposizione transitoria e finale regola i tempi di costituzione dell’istituto regionale. Le Regioni sono l’architrave del sistema d’autonomie italiano. Attraverso di esse si deve applicare l’articolo cinque della nostra legge fondamentale che dichiara, fra l’altro, “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. Sono le regioni gli organi costituzionali per eccellenza in cui si esplicitano le peculiarità locali che sono la ricchezza del nostro paese. Compito degli enti locali è farsi latori di quella solidarietà verso i deboli che è propria della cultura cattolica e di sinistra. Ricordiamo che l’assemblea costituente era per tre quarti composta da Comunisti, socialisti e democristiani. L’afflato solidale  era fortissimo. Forse oggi si è perso. L’impegno verso i deboli è relegato a pochi, a poche associazioni di volontariato. Ma il disegno costituzionale doveva essere diverso. Doveva disegnare una società aperta, aperta ai poveri ai deboli. Una società che doveva essere inclusiva. Le regioni dovevano essere il motore di questo disegno. L’architrave di quel modello che la dottrina giuridica chiamerà sussidiarietà. Questo termine è inteso come il dovere giuridico dello stato, declinato anche nelle sue istituzioni locali, di supportare l’impegno e l’abnegazione di chi offre la propria vita per il meno fortunato. Chi è in una situazione di difficoltà deve avere la certezza che lo stato è vicino a lui. Le persone anziane, spesso sole, devono avere il supporto delle istituzioni. Lo stesso vale per i disabili, spesso emarginati dalla vita sociale. Gli enti locali, gestendo il sistema sanitario e di welfare, devono farsi carico di chi soffre. Le Regioni devono farsi promotori di un cambiamento radicale della cultura nazionale, orientata alla solidarietà. A settanta anni dalla promulgazione della carta Costituzionale si deve notare che le Regioni hanno lavorato in questa direzione. Molte sono state le iniziative sociali volte a favorire l’integrazione sociale. Le potestà legislative ed amministrative trasferite dallo stato alle regioni hanno reso possibile che si creasse un volano che favorisse il viaggio della comunità nazionale verso una maggiore integrazione sociale. Le regioni sono diventate il fulcro di un impegno verso i lavoratori, i disoccupati, i malati, i migranti e tante altre soggettività deboli. La Regione è diventata lo strumento per rendere vivo e reale il principio di eguaglianza e difesa della dignità umana inciso nell’articolo tre della Costituzione. Le regioni si sono fatte latrici di iniziative volte a tutelare il lavoro. Hanno gestito, al fianco del governo nazionali, delicatissime vertenze aziendali. Le regioni si sono fatte baluardo in difesa dell’ambiente. Le contraddizioni ci sono state. Spesso gli enti regionali sono stati oggetto di scandali. Pensiamo alle spese pazze della regione Lazio quando era guidata dalla coalizione di destra e aveva come presidente Renata Polverini. Pensiamo agli scandali della Regione Lombardia o di quella Piemontese, guidata dal leghista Roberto Cota, pensiamo agli scandali che hanno colpito la giunta di sinistra campana, guidata da Vincenzo De Luca, esponente del Partito Democratico. Le regioni insomma sono state croce e delizia della politica e delle istituzioni italiane. Hanno prodotto innovazioni, ma anche corruzione. Questo è colpa e demerito di una classe dirigente ricca di contraddizioni. È colpa anche di ritardo gravissimo da parte del parlamento italiano. Le regioni, come enti istituzionali, dovevano nascere entro tre anni dalla promulgazione della costituzione. Nel 1951, per capirci, dovevano essere nel pieno delle loro funzioni. Invece ci sono voluti più di venti anni, siamo nel 1970, perché vi fossero norme di attuazione ed istituzione delle regioni. Un ritardo gravissimo, dovuto a una pregiudiziale dei partiti che componevano il parlamento nazionale, che temevano una perdita di potere. Questo a reso possibile che alcuni uffici regionale nascessero già “vecchi”, cioè superati da quella che è stata l’evoluzione storica nazionale. La riforma del Titolo V, la parte della costituzione dedicata alle autonomie locali, avvenuta nel 2001, ha solo in parte risolto le problematicità presenti. È stata una scelta necessaria per adeguare la carta costituzionale alle nuove istanze autonomiste provenienti dalla società civile. Il Nord del Paese aveva la necessità di avere una più ampia forma di autogoverno locale che permettesse un ulteriore slancio dell’economia e della cultura locale. Il sud aveva bisogno di avere forme di autogoverno che potessero avviare un processo di superamento delle difficoltà strutturali che caratterizzano da sempre il territorio. Ma contraddizioni nella riforma costituzionale ci sono e sono manifeste in vari episodi.  Ad esempio il permanente conflitto la governo nazionale e quello regionale, risolto a colpi di sentenze dalla Corte Costituzionale. Insomma gli step che hanno caratterizzato le istituzioni regionali, i decreti delegati del 1970 la riforma del 2001, hanno portato problemi, ma ciò non deve far scordare l’effetto benefico che l’istituto regionale ha sulla società civile che ha negli enti locali un saldo punto d riferimento. L’Italia, le sue regioni, sono in difficoltà a causa degli effetti della nuova epoca globale, ma non bisogna mai ricordare che noi come paese abbiamo gli strumenti per affrontare e superare i problemi. Li abbiamo grazie anche alle regioni che valorizzano l’impegno sociale, economico, politico, amministrativo di ognuno di noi. Il volontariato e il servizio all’altro sono le caratteristiche migliori della nostra società. La Regione, assieme ai comuni e alle province, devono impegnarsi a supportare lo sforzo collettivo. Ci auguriamo che ciò avvenga con sempre maggiore alacre impegno.


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