sabato 9 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: XIV DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



XIV DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“I titoli nobiliari non sono riconosciuti.

I predicati esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome.

L’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge.

La legge regola la soppressione della Consulta araldica”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli approvati dall’assemblea Costituente per gestire il passaggio dallo Statuto Albertino, l’ordinamento monarchico, alla Costituzione Repubblicana. L’Italia diventava democratica, il potere appartiene al popolo nella sua interezza e viene sottratto alle oligarchie. È  giusto che si mettano in moto quei meccanismi giuridici necessari al travaglio che doveva far nascere il nuovo stato. Insomma assieme alla Carta Costituzionale si sono istituite delle norme che dovevano aprire l’Italia al futuro, cancellando alcune regole del passato. Alcune norme di tal fatta avevano carattere caduco e momentaneo, dovevano servire semplicemente a far decadere alcuni istituti giuridici per introdurne altri. Altre, come la XIV disposizione, dovevano permanere per sempre, fin quando la Repubblica ci sarà essa saranno valide. La XIV  regola transitoria è un necessario corollario dell’articolo 3 della Costituzione. Se tutti i cittadini sono uguali, è d’obbligo la cancellazione di ogni titolo nobiliare, che è un privilegio che pochi ottengono per nascita. Ogni cittadino/a italiano/a ha diritto a realizzarsi come uomo e come donna. Nessuno è “più uguale” degli altri. La nobiltà per millenni ha affiancato o sostituito il re nel governo delle nazioni. Bastava far parte di un certo lignaggio per essere di diritto detentore di un potere su altri uomini, su altre donne, su un determinato territorio dello stato. Con l’avvento degli stati moderni e contemporanei la nobiltà ha avuto via via un ruolo meno rilevante nella conduzione dello stato. Le Monarchie nel corso dei secoli hanno provato a negare alla nobiltà il potere di fare leggi, di amministrare la giustizia, di detenere propri eserciti. L’accentramento dei poteri statuali è stato un passaggio cruciale per la messa in discussione delle prerogative nobiliari. La Monarchia Sabauda, pur essendo da annoverare fra gli stati liberali, non ha messo mai in discussione i titoli nobiliari. Anzi nel 1861, alla nascita dello stato unitario, Vittorio Emanuele II, re d’Italia, riconobbe i titoli nobiliari degli stati preunitari quali titoli del nascente ordinamento unitario. La funzione dei titoli nobiliari nelle monarchie ottocentesche e novecentesche sono diverse dal passato. Il nobile non controlla e governa un territorio. Non amministra la legge nei suoi possedimenti. È assimilato a comune proprietario terriero, ma allo stesso tempo ha importanti privilegi riconosciuti dallo stato, quali ad esempio esenzioni sugli oneri fiscali. Con la Repubblica tutto cambia. Non ci sono più privilegi. I titoli nobiliari sono considerati solo parte integrante del cognome. Questo vale solo per i titoli avuti prima del 1922. I titoli nobiliari rilasciati dal re su richiesta di Benito Mussolini, cosa che avveniva dal 1922 al 1943, sono considerati nulli e neanche inseribili nella propria cartella dell’anagrafe. Insomma i titoli nobiliari non hanno alcun valore giuridico. I conti, i marchesi etc. sono cittadini dello stato al pari di tutti gli altri. Chi ha un titolo nobiliare lo può semplicemente accorpare al cognome.
L’ordine Mauriziano è un ordine nobiliare di tradizioni secolari. È legato alle Crociate del primo millennio. Fu fondato durante il regno latino di Gerusalemme del 1090. I Savoia si fregiano del titolo di re di Palestina, per questo motivo rilasciavano patenti di iscrizione all’ordine Mauriziano. Quest’istituzione non ha solo carattere formale, non è solo un pezzo di carta, ha accumulato nei millenni un patrimonio immobiliare e mobiliare di notevole spessore. Si distingue per le molte opere di beneficenza. Nato per assistere i lebbrosi in viaggio verso la Terra Santa nella speranza di sanare le proprie pene attraverso un pellegrinaggio miracoloso. L’Ordine Mauriziano è stato nei millenni l’organizzazione caritatevole che ha aiutato i malati nelle grandi epidemie che hanno afflitto l’Europa. Il patrono dell’ordine è San Maurizio, da cui il nome. Nei secoli ha gestito e gestisce ancora ospedali e opere di misericordia. Per questo motivo la disposizione transitoria e definitiva  XIV ne dispone la sopravvivenza anche in epoca repubblicana. Lo pubblicizza, cioè fa diventare l’ordine ente statale, e lo regolamenta secondo le norme dedicate alle fondazioni pubbliche. Insomma la repubblica conserva l’ordine mauriziano, un patrimonio collettivo che è stato nei millenni utilizzato per soccorrere i bisognosi. L’ordine ha ancor oggi 4000 appartenenti che si distinguono per la loro abnegazione al servizio dei bisognosi. È da notare, per dare un po’ di colore, che i discendenti di casa Savoia hanno rivendicato il diritto ancor oggi di nominare i cavalieri mauriziani, una possibilità esclusa dalla normativa italiana, che dà al presidente della repubblica questo onere ed onore.
L’ultimo comma della XIV norma transitoria e finale cancella la Consulta Araldica. Questa è un retaggio dell’ancian regime. È una sorta di anagrafe dei nobili della nazione. In base alla Consulta Araldica si decideva chi potesse accampare privilegi di carattere nobiliare. In caso di controversie e di dispute per definire colui che avesse il diritto di fregiarsi di un titolo, era la Consulta Araldica ha decidere chi avesse torto o ragione. Si consultava la voce della verità, l’assise che aveva l’ultima parola per definire la nobiltà di qualcuno. Oggi fa sorridere tutto ciò. Pensare che ci fosse bisogno di un tribunale per riconoscere “il sangue blu” sembra preistoria. Ognuno di noi oggi vale per ciò che è, non per quello che hanno fatto i propri avi. Oggi la battaglia è per l’uguaglianza, non per il riconoscimento di un privilegio nobiliare. L’impegno vero è quello per riconoscere i diritti dei più deboli. È la lotta per aiutare i disabili, i meno attrezzati alla vita, i malati che specialmente nelle zone più degradate del nostro paese, penso al Sud d’Italia, sono oggetto di vessazioni. I veri bisognosi di una legislazione speciale sono loro non certo i nobili. In alcune realtà del paese molte cose si sono fatte in altre no. Cambiare è necessario. Pensare a una cultura della solidarietà che infranga il muro del pregiudizio è necessario. Insomma aboliamo i titoli nobiliari, ma aboliamo anche le barriere che fanno dei disabili dei meno uguagli. Aboliamo l’odio e la rabbia che si sfoga sulle persone meno fortunate. Aboliamo le discriminazioni che rendono la vita più difficile ai meno fortunati. I nobili non ci sono più nella nostra repubblica. È tempo che non ci siano più neanche i “paria”, gli esclusi. È un processo lungo. Non si possono eliminare i pregiudizi e le discriminazioni dall’oggi al domani. Ma l’esempio di papa Francesco e dei cattolici ci può essere d’aiuto. Chi è cattolico si impegna a non lasciare solo i meno fortunati. Forse la popolazione italiana potrebbe almeno imparare a non discriminare e non prendere in giro. Sarebbe un passo avanti. Magari prendendo esempio dall’ordine Mauriziano, nato come istituto nobiliare che poi è diventato strumento di servizio per i più bisognosi.

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