XIV DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
“I titoli nobiliari
non sono riconosciuti.
I predicati esistenti
prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome.
L’Ordine mauriziano è
conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge.
La legge regola la soppressione
della Consulta araldica”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finali sono diciotto articoli
approvati dall’assemblea Costituente per gestire il passaggio dallo Statuto Albertino,
l’ordinamento monarchico, alla Costituzione Repubblicana. L’Italia diventava
democratica, il potere appartiene al popolo nella sua interezza. È giusto che si mettano in moto quei meccanismi
giuridici necessari al travaglio che doveva far nascere il nuovo stato. Insomma
assieme alla Carta Costituzionale si sono istituite delle norme che dovevano
aprire l’Italia al futuro, cancellando alcune regole e norme del passato.
Alcune norme di tal fatta avevano carattere caduco e momentaneo, dovevano
servire semplicemente a far decadere alcuni istituti giuridici per introdurne
altri. Altre, come la XIV disposizione, doveva permanere per sempre, fin quando
la Repubblica ci sarà essa sarà valida. Questa regola è un necessario
corollario dell’articolo 3 della Costituzione. Se tutti i cittadini sono
uguali, è d’obbligo la cancellazione di ogni titolo nobiliare, che è un
privilegio che pochi ottengono per nascita. Ogni cittadino/a italiano/a ha
diritto a realizzarsi come uomo e come donna. Nessuno è “più uguale” degli
altri. La nobiltà per millenni ha affiancato o sostituito il re nel governo
delle nazioni. Bastava far parte di un certo lignaggio per essere di diritto detentore
di un potere su altri uomini, su altre donne, su un determinato territorio
dello stato. Con l’avvento degli stati moderni e contemporanei la nobiltà ha
avuto via via un ruolo meno rilevante nella conduzione dello stato. Le
Monarchie nel corso dei secoli hanno provato a negare alla nobiltà il potere di
fare leggi, di amministrare la giustizia, di detenere propri eserciti. L’accentramento
dei poteri statuali è stato un passaggio cruciale per la messa in discussione
delle prerogative nobiliari. La Monarchia Sabauda, pur essendo da annoverare
per gli stati liberali, non ha messo mai in discussione i titoli nobiliari.
Anzi nel 1861, alla nascita dello stato unitario, Vittorio Emanuele II, re d’Italia,
riconobbe i titoli nobiliari degli stati preunitari quali titoli del nascente ordinamento
unitario. La funzione dei titoli nobiliari nelle monarchie ottocentesche e
novecentesche sono diverse dal passato. Il nobile non controlla e governa un
territorio. Non amministra la legge nei suoi possedimenti. È assimilato a
comune proprietario terriero, ma allo stesso tempo ha importanti privilegi
riconosciuti dallo stato, quali ad esempio esenzioni sugli oneri fiscali. Con
la Repubblica tutto cambia. Non ci sono più privilegi. I titoli nobiliari sono
considerati solo parte integrante del cognome. Questo vale solo per i titoli
avuti prima del 1922. I titoli nobiliari rilasciati dal re su richiesta di
Benito Mussolini, cosa che avveniva dal 1922 al 1943, sono considerati nulli e
neanche inseribili nella propria cartella dell’anagrafe. Insomma i titoli
nobiliari non hanno alcun valore giuridico. I conti, i marchesi etc. sono cittadini
dello stato al pari di tutti gli altri. Chi ha un titolo nobiliare lo può semplicemente
accorpare al cognome.
L’ordine Mauriziano è un ordine nobiliare di tradizioni
secolari. È legato alle Crociate del primo millennio. Fu fondato durante il
regno latino di Gerusalemme del 1090. I Savoia si fregiano del titolo di re di
Palestina, per questo motivo rilasciavano patenti di iscrizione all’ordine
Mauriziano. Quest’istituzione non ha solo carattere formale, non è solo un
pezzo di carta, ha accumulato nei millenni un patrimonio immobiliare e
mobiliare di notevole spessore. Si distingue per le molte opere di beneficenza.
Nato per assistere i lebbrosi in viaggio verso la Terra Santa nella speranza di
sanare le proprie pene attraverso un pellegrinaggio miracoloso. L’Ordine
Mauriziano è stato nei millenni l’organizzazione caritatevole che ha aiutato i
malati nelle grandi epidemie che hanno afflitto l’Europa. Il patrono dell’ordine
è San Maurizio, da cui il nome. Nei secoli ha gestito e gestisce ancora
ospedali e opere di misericordia. Per questo motivo la disposizione transitoria
e definitiva XIV ne dispone la
sopravvivenza anche in epoca repubblicana. Lo pubblicizza, cioè fa diventare l’ordine
ente statale, e lo regolamenta secondo le norme dedicate alle fondazioni
pubbliche. Insomma la repubblica conserva l’ordine mauriziano, un patrimonio
collettivo che è stato nei millenni utilizzato per soccorrere i bisognosi. L’ordine
ha ancor oggi 4000 appartenenti che si distinguono per la loro abnegazione al
servizio dei bisognosi. È da notare, per dare un po’ di colore, che i
discendenti di casa Savoia hanno rivendicato il diritto ancor oggi di nominare
i cavalieri mauriziani, una possibilità esclusa dalla normativa italiana, che
dà al presidente della repubblica questo onere ed onore.
L’ultimo comma della XIV norma transitoria e finale cancella
la Consulta Araldica. Questa è un retaggio dell’ancian regime. È una sorta di
anagrafe dei nobili della nazione. In base alla Consulta Araldica si decideva
chi potesse accampare privilegi di carattere nobiliare. In caso di controversie
e di dispute per definire colui che avesse il diritto di fregiarsi di un
titolo, era la Consulta Araldica ha decidere chi avesse torto o ragione. Si
consultava la voce della verità, l’assise che aveva l’ultima parola per
definire la nobiltà di qualcuno. Oggi fa sorridere tutto ciò. Pensare che ci
fosse bisogno di un tribunale per riconoscere “il sangue blu” sembra
preistoria. Ognuno di noi oggi vale per ciò che è, non per quello che hanno
fatto i propri avi. Oggi la battaglia è per l’uguaglianza, non per il riconoscimento
di un privilegio nobiliare. L’impegno vero è quello per riconoscere i diritti
dei più deboli. È la lotta per aiutare i disabili, i meno attrezzati alla vita,
i malati che specialmente nelle zone più degradate del nostro paese, penso al
Sud d’Italia, sono oggetto di vessazioni. I veri bisognosi di una legislazione
speciale sono loro non certo i nobili. In alcune realtà del paese molte cose si
sono fatte in altre no. Cambiare è necessario. Pensare a una cultura della solidarietà
che infranga il muro del pregiudizio è necessario. Insomma aboliamo i titoli
nobiliari, ma aboliamo anche le barriere che fanno dei disabili dei meno
uguagli. Aboliamo l’odio e la rabbia che si sfoga sulle persone meno fortunate.
Aboliamo le discriminazioni che rendono la vita più difficile ai meno
fortunati. I nobili non ci sono più nella nostra repubblica. È tempo che non ci
siano più neanche i “paria”, gli esclusi. È un processo lungo. Non si possono
eliminare i pregiudizi e le discriminazioni dall’oggi al domani. Ma l’esempio
di papa Francesco e dei cattolici ci può essere d’aiuto. Chi è cattolico si
impegna a non lasciare solo i meno fortunati. Forse la popolazione italiana
potrebbe almeno imparare a non discriminare e non prendere in giro. Sarebbe un
passo avanti. Magari prendendo esempio dall’ordine Mauriziano, nato come
istituto nobiliare che poi è diventato strumento di servizio per i più bisognosi.
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