venerdì 8 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: XXIII DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



XIII DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive.

Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.

I beni esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono evocati dallo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finale sono diciotto norme approvate dall’assemblea costituente e promulgate dal capo dello stato provvisorio, Enrico de Nicola, il 22 dicembre 1947 assieme alla Costituzione Italiana. Sono norme che servono a regolamentare il passaggio dal regime monarchico a quello repubblicano. Sono norme che servono a garantire che la Repubblica sia protetta dai pericoli prodotti da un’oscurantista nostalgia del passato. Le Disposizioni avevano ed hanno, ancor oggi, il compito di proteggere la democrazia. La XII disposizione transitoria e finale è quella che contiene una norma discutibile e che suscita perplessità. Prima di tutto non ha le caratteristiche di generalità ed astrattezza che dovrebbero caratterizzare tutte le norme dello stato. Essa non vale per tutti i cittadini, ma solo per alcuni, per i membri di una determinata famiglia. È una norma punitiva. Impone l’esilio agli ex membri della famiglia reale, ne vieta l’accesso alle cariche elettive e vieta loro di ricoprire una qualsiasi carica pubblica. Nel secondo comma addirittura impone l’esilio e l’assoluto divieto di soggiornare in Italia agli ex re di Casa Savoia, alle loro mogli e alla loro discendenza. Una legge coercitiva e discriminatoria che avrebbe tutti gli aspetti dell’incostituzionalità. Per intenderci una norma di simili contenuti non potrebbe essere approvata dalle Camere, senza essere dichiarata incostituzionale dalla Consulta, sempre che passi il vaglio del Presidente della Repubblica che non dovrebbe promulgarla.  Ma allora perché una legge simile? Perché essa è rimasta valida e vigente fino al 22 ottobre 2002 quando una legge costituzionale abrogò i suoi primi due comma? La risposta è che i costituenti, riuniti in assemblea, potevano decidere di derogare per casi eccezionali anche principi fondamentali da essi stessi legiferati. Le ragioni storiche che giustificavano l’esilio dei Savoia erano chiare. Gli ex re, che avevano perso il titolo a seguito dei risultati del referendum del 2 giugno 1946, si erano macchiati di gravi complicità con il regime fascista. Vittorio Emanuele III di Savoia, re d’Italia, il 17 novembre 1938 aveva promulgato il decreto legge sulla difesa della razza. Un’infame norma, voluta dall’allora presidente del consiglio, Benito Mussolini, che espelleva dai pubblici uffici e vietava l’accesso all’insegnamento pubblico e privato di uomini, donne e bambini che avevano l’unica colpa di professare la religione ebraica. Lo stesso re aveva firmato la dichiarazione di guerra che avrebbe portato l’Italia verso il disastro causato dalla sua partecipazione alla seconda guerra mondiale. Il monarca sabaudo in precedenza non aveva firmato “lo stato d’assedio”, il provvedimento giuridico che poteva impedire la marcia su Roma e la conseguente presa del potere da parte del fascismo in 22 ottobre 1922. Insomma i motivi per cui condannare all’esilio i Savoia erano tanti e ben giustificati. In più, occorre dire, che un cambio di regime e di ordinamento statuale impone l’allontanamento di coloro che incarnavano l’ancien regime. In tutti gli atti rivoluzionari il monarca è allontanato se non ucciso. Grazie a Dio l’ultima eventualità fu scartata nel nostro paese. Si scelse di imporre l’esilio ai Savoia. La legge costituzionale del 23 ottobre 2002 cancellò l’imposizione dell’esilio per gli eredi maschi di casa Savoia. Oggi i discendenti dei re d’Italia possono vivere, lavorare e possedere beni nel territorio nazionale. Bisogna notare che, se la norma transitoria numero XIII era giustificata nel 1948, è stata colpevolmente modificata e abrogata con eccessivo ritardo. I Savoia da tempo non erano un pericolo per la nazione. Era giusto che tornassero nel nostro paese, che potessero tornare a votare e a lavorare nella penisola, ben prima dello scoccare del  XXI secolo. Per molti versi la disposizione transitoria contro di loro appariva un inutile pena che colpiva i figli per le colpe dei padri. Vittorio Emanuele III e Umberto II, gli ultimi re d’Italia, sono morti da decenni. I loro figli e nipoti non hanno alcuna responsabilità storica e politica sui tragici eventi del passato. Il loro ritorno è da vedere come un’ammenda a un’ingiustizia nei loro confronti. Questo a prescindere dal giudizio sulle loro personalità. Si può criticare alcuni comportamenti pubblici e privati di Vittorio Emanuele e di Emanuele Filiberto di Savoia, rispettivamente figlio e nipote dell’ultimo monarca italiano, ma non gli si può tributare alcuna responsabilità storica sulla scelta dei propri avi. È giusto che siano liberi e maturi cittadini del nostro stato al pari di ognuno di noi. Insomma il primo e secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale è bene che ci sia stato. È bene che i monarchi del passato abbiano preso la via dell’esilio in quel lontano 2 giugno 1946. Ma è altrettanto giusto che quella norma sia stata abrogata il 23 ottobre 2003, permettendo agli eredi Savoia,  liberi cittadini italiani, di tornare nel nostro paese, di poter detenere beni ovviamente comprati con le risorse del loro lavoro (non potendo rivendicare le ricchezze del passato che sono patrimonio dell’intera nazione, come vedremo in seguito). I discendenti della dinastia sabauda hanno il diritto e dovere di partecipare alla vita pubblica del paese, esercitando il diritto di voto.

Il terzo comma della XIII disposizione finale e transitoria merita un discorso a parte. Regolamenta il patrimonio dei Savoia prima e dopo l’avvento della Repubblica. In tutte le monarchie il patrimonio della corona assume contorni sia pubblicisti che privatisti. I possedimenti del re sono allo stesso tempo proprietà di un privato e di una istituzione pubblica, incarnata nel corpo stesso del regnante, che per le fonti medievali era addirittura considerato sacro. Un re può donare, vendere, cedere dare in successione beni che spesso è difficile definire quali proprietà personale o dell’intera nazione. La regina d’Inghilterra Elisabetta II, ad esempio, per decenni è stata considerata la donna più ricca del mondo, proprio perché i beni della corona sono stati annoverati quali sue proprietà personali. Per questo motivo la XIII disposizione impone che i beni dei Savoia in Italia siano evocati allo Stato. Si dichiara solennemente che tutte le proprietà dei Savoia, acquisite in secoli di storia della Casa Reale, siano proprietà pubblica. È un bene pubblico la splendida reggia di Venaria. È un bene pubblico il palazzo di Napoli sede del principe ereditario. È bene pubblico i vigneti e i territori agricoli da sempre gestiti dai cortigiani. Dal 1946 i Savoia non hanno più beni in Italia. Gli atti di trasferimento e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi frutto della volontà dei Savoia sono da considerarsi nulli, come dice la stessa XIII disposizione transitoria e finale. I Savoia non possono e non devono esercitare la loro potestà su beni che sono considerati pubblici e patrimonio della intera nazione. Questa parte della legge transitoria non ha esaurito la sua efficacia con l’approvazione della Legge Costituzionale del 23 ottobre 2002. Mentre i Savoia possono vivere, risiedere, votare, lavorare, acquistare beni e effettuare negozi giuridici nel nostro paese, non hanno alcun diritto di rivendicare le proprietà dei propri avi sul territorio italiano. Ridicola è apparsa l’azione legale di Vittorio Emanuele di Savoia azionata appena tornato in Italia, per rivendicare alcuni palazzi sabaudi. La magistratura ha respinto immediatamente ogni accampato e presunto diritto di possesso. Ogni negozio giuridico sui beni che sono patrimonio della Corona operato dai Savoia dopo il 2 giugno 1946 è da considerarsi nullo e privo di ogni effetto giuridico. I Savoia sono cittadini italiani. Hanno gli stessi diritti che ogni persona ha, forte del dettato costituzionale. Sono uguali agli altri e sottoposti alla legge della Repubblica. Bisogna dire il vero, gli attuali Savoia non hanno contestato questi principi. A parte la bizzarra rivendica di alcuni immobili degli avi, che abbiamo poco prima citato, non hanno mosso grandi questioni e problemi. Emanuele Filiberto di Savoia è diventato un personaggio televisivo. È apparso in diverse trasmissioni di intrattenimento, giocando sul suo ruolo di “erede al trono”. Alcune sue performance sono state discutibili, hanno fatto storcere il naso ad alcuni critici. Ma a parte questi giudizi “artistici”, il ritorno dei Savoia non ha creato problemi alla nazione, neanche dal punto di vista patrimoniale. Insomma anche alla luce delle vicende dei Savoia possiamo gridare: viva la Repubblica, viva la Costituzione!

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