XIII DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
Agli ex re di Casa
Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti sono vietati l’ingresso e il
soggiorno nel territorio nazionale.
I beni esistenti nel
territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei
loro discendenti maschi, sono evocati dallo Stato. I trasferimenti e le
costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2
giugno 1946, sono nulli”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finale sono diciotto norme
approvate dall’assemblea costituente e promulgate dal capo dello stato
provvisorio, Enrico de Nicola, il 22 dicembre 1947 assieme alla Costituzione
Italiana. Sono norme che servono a regolamentare il passaggio dal regime
monarchico a quello repubblicano. Sono norme che servono a garantire che la
Repubblica sia protetta dai pericoli prodotti da un’oscurantista nostalgia del
passato. Le Disposizioni avevano ed hanno, ancor oggi, il compito di proteggere
la democrazia. La XII disposizione transitoria e finale è quella che contiene una
norma discutibile e che suscita perplessità. Prima di tutto non ha le
caratteristiche di generalità ed astrattezza che dovrebbero caratterizzare
tutte le norme dello stato. Essa non vale per tutti i cittadini, ma solo per
alcuni, per i membri di una determinata famiglia. È una norma punitiva. Impone
l’esilio agli ex membri della famiglia reale, ne vieta l’accesso alle cariche
elettive e vieta loro di ricoprire una qualsiasi carica pubblica. Nel secondo
comma addirittura impone l’esilio e l’assoluto divieto di soggiornare in Italia
agli ex re di Casa Savoia, alle loro mogli e alla loro discendenza. Una legge coercitiva
e discriminatoria che avrebbe tutti gli aspetti dell’incostituzionalità. Per
intenderci una norma di simili contenuti non potrebbe essere approvata dalle
Camere, senza essere dichiarata incostituzionale dalla Consulta, sempre che
passi il vaglio del Presidente della Repubblica che non dovrebbe promulgarla. Ma allora perché una legge simile? Perché essa
è rimasta valida e vigente fino al 22 ottobre 2002 quando una legge
costituzionale abrogò i suoi primi due comma? La risposta è che i costituenti,
riuniti in assemblea, potevano decidere di derogare per casi eccezionali anche
principi fondamentali da essi stessi legiferati. Le ragioni storiche che
giustificavano l’esilio dei Savoia erano chiare. Gli ex re, che avevano perso
il titolo a seguito dei risultati del referendum del 2 giugno 1946, si erano
macchiati di gravi complicità con il regime fascista. Vittorio Emanuele III di Savoia,
re d’Italia, il 17 novembre 1938 aveva promulgato il decreto legge sulla difesa
della razza. Un’infame norma, voluta dall’allora presidente del consiglio,
Benito Mussolini, che espelleva dai pubblici uffici e vietava l’accesso all’insegnamento
pubblico e privato di uomini, donne e bambini che avevano l’unica colpa di
professare la religione ebraica. Lo stesso re aveva firmato la dichiarazione di
guerra che avrebbe portato l’Italia verso il disastro causato dalla sua
partecipazione alla seconda guerra mondiale. Il monarca sabaudo in precedenza non
aveva firmato “lo stato d’assedio”, il provvedimento giuridico che poteva
impedire la marcia su Roma e la conseguente presa del potere da parte del
fascismo in 22 ottobre 1922. Insomma i motivi per cui condannare all’esilio i
Savoia erano tanti e ben giustificati. In più, occorre dire, che un cambio di
regime e di ordinamento statuale impone l’allontanamento di coloro che
incarnavano l’ancien regime. In tutti gli atti rivoluzionari il monarca è
allontanato se non ucciso. Grazie a Dio l’ultima eventualità fu scartata nel
nostro paese. Si scelse di imporre l’esilio ai Savoia. La legge costituzionale
del 23 ottobre 2002 cancellò l’imposizione dell’esilio per gli eredi maschi di
casa Savoia. Oggi i discendenti dei re d’Italia possono vivere, lavorare e
possedere beni nel territorio nazionale. Bisogna notare che, se la norma
transitoria numero XIII era giustificata nel 1948, è stata colpevolmente
modificata e abrogata con eccessivo ritardo. I Savoia da tempo non erano un
pericolo per la nazione. Era giusto che tornassero nel nostro paese, che
potessero tornare a votare e a lavorare nella penisola, ben prima dello
scoccare del XXI secolo. Per molti versi
la disposizione transitoria contro di loro appariva un inutile pena che colpiva
i figli per le colpe dei padri. Vittorio Emanuele III e Umberto II, gli ultimi
re d’Italia, sono morti da decenni. I loro figli e nipoti non hanno alcuna responsabilità
storica e politica sui tragici eventi del passato. Il loro ritorno è da vedere
come un’ammenda a un’ingiustizia nei loro confronti. Questo a prescindere dal
giudizio sulle loro personalità. Si può criticare alcuni comportamenti pubblici
e privati di Vittorio Emanuele e di Emanuele Filiberto di Savoia,
rispettivamente figlio e nipote dell’ultimo monarca italiano, ma non gli si può
tributare alcuna responsabilità storica sulla scelta dei propri avi. È giusto
che siano liberi e maturi cittadini del nostro stato al pari di ognuno di noi.
Insomma il primo e secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale è
bene che ci sia stato. È bene che i monarchi del passato abbiano preso la via
dell’esilio in quel lontano 2 giugno 1946. Ma è altrettanto giusto che quella
norma sia stata abrogata il 23 ottobre 2003, permettendo agli eredi Savoia, liberi cittadini italiani, di tornare nel
nostro paese, di poter detenere beni ovviamente comprati con le risorse del
loro lavoro (non potendo rivendicare le ricchezze del passato che sono
patrimonio dell’intera nazione, come vedremo in seguito). I discendenti della
dinastia sabauda hanno il diritto e dovere di partecipare alla vita pubblica
del paese, esercitando il diritto di voto.
Il terzo comma della XIII disposizione finale e transitoria
merita un discorso a parte. Regolamenta il patrimonio dei Savoia prima e dopo l’avvento
della Repubblica. In tutte le monarchie il patrimonio della corona assume
contorni sia pubblicisti che privatisti. I possedimenti del re sono allo stesso
tempo proprietà di un privato e di una istituzione pubblica, incarnata nel
corpo stesso del regnante, che per le fonti medievali era addirittura
considerato sacro. Un re può donare, vendere, cedere dare in successione beni
che spesso è difficile definire quali proprietà personale o dell’intera
nazione. La regina d’Inghilterra Elisabetta II, ad esempio, per decenni è stata
considerata la donna più ricca del mondo, proprio perché i beni della corona
sono stati annoverati quali sue proprietà personali. Per questo motivo la XIII
disposizione impone che i beni dei Savoia in Italia siano evocati allo Stato.
Si dichiara solennemente che tutte le proprietà dei Savoia, acquisite in secoli
di storia della Casa Reale, siano proprietà pubblica. È un bene pubblico la
splendida reggia di Venaria. È un bene pubblico il palazzo di Napoli sede del
principe ereditario. È bene pubblico i vigneti e i territori agricoli da sempre
gestiti dai cortigiani. Dal 1946 i Savoia non hanno più beni in Italia. Gli
atti di trasferimento e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi frutto
della volontà dei Savoia sono da considerarsi nulli, come dice la stessa XIII
disposizione transitoria e finale. I Savoia non possono e non devono esercitare
la loro potestà su beni che sono considerati pubblici e patrimonio della intera
nazione. Questa parte della legge transitoria non ha esaurito la sua efficacia
con l’approvazione della Legge Costituzionale del 23 ottobre 2002. Mentre i Savoia
possono vivere, risiedere, votare, lavorare, acquistare beni e effettuare
negozi giuridici nel nostro paese, non hanno alcun diritto di rivendicare le
proprietà dei propri avi sul territorio italiano. Ridicola è apparsa l’azione
legale di Vittorio Emanuele di Savoia azionata appena tornato in Italia, per
rivendicare alcuni palazzi sabaudi. La magistratura ha respinto immediatamente
ogni accampato e presunto diritto di possesso. Ogni negozio giuridico sui beni
che sono patrimonio della Corona operato dai Savoia dopo il 2 giugno 1946 è da
considerarsi nullo e privo di ogni effetto giuridico. I Savoia sono cittadini
italiani. Hanno gli stessi diritti che ogni persona ha, forte del dettato
costituzionale. Sono uguali agli altri e sottoposti alla legge della
Repubblica. Bisogna dire il vero, gli attuali Savoia non hanno contestato
questi principi. A parte la bizzarra rivendica di alcuni immobili degli avi,
che abbiamo poco prima citato, non hanno mosso grandi questioni e problemi.
Emanuele Filiberto di Savoia è diventato un personaggio televisivo. È apparso
in diverse trasmissioni di intrattenimento, giocando sul suo ruolo di “erede al
trono”. Alcune sue performance sono state discutibili, hanno fatto storcere il
naso ad alcuni critici. Ma a parte questi giudizi “artistici”, il ritorno dei Savoia
non ha creato problemi alla nazione, neanche dal punto di vista patrimoniale. Insomma
anche alla luce delle vicende dei Savoia possiamo gridare: viva la Repubblica,
viva la Costituzione!
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