mercoledì 6 giugno 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: X DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



X DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“Alla Regione del Friuli – Venezia Giulia, di cui all’articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del Titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’articolo 6.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

La storia del Friuli Venezia Giulia è ricchissima e complessa. Crocevia per millenni di civiltà e, purtroppo, eserciti, ha sviluppato una cultura e una struttura sociale particolare. La presenza di minoranze linguistiche, slovene e croate, la particolare cultura friulana, ha spinto i costituenti a considerarla una regione a statuto speciale al pari di Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino – Alto Adige. Ricordiamo cosa sono gli statuti speciali.  Gli Statuti regionali sono corpi legislativi su cui si basa l’ordinamento di ciascuna regione, semplificando sono le Costituzioni delle regioni. Sono statuti speciali gli atti che danno ulteriori poteri in materia legislativa ed amministrativa oltre a quelli contemplati nella costituzione per tutte le regioni italiane. In virtù di questa capacità di derogare perfino la carta costituzionale essi devono essere approvati dal parlamento nazionale con la procedura aggravata propria delle leggi costituzionale, contemplata nell’articolo 138 della Carta Costituzionale. A differenza degli statuti delle regione ordinarie che sono approvati, anche se con particolari procedure, dai propri consigli regionali. Nel 1948 sono entrati in vigore gli statuti della Sicilia, della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino altro Adige. Non fu discusso né approvato quello del Friuli Venezia Giulia. Perché? Il motivo è tragicamente facile da individuare. Buona parte di quella regione era ancora occupata dai vincitori della seconda guerra mondiale. Trieste, in particolare, era stata dichiarata “città aperta”, cioè senza una definita sovranità statuale a cui sottostare, e controllata dagli eserciti americani, inglesi e jugoslavi. Il futuro della comunità del nord est italiano sembrava in discussione. Tito, il capo di stato jugoslavo, vantava diritti di possesso di parte del territorio, infatti parte della provincia di Gorizia e la penisola istriana, da sempre considerate italiane, passarono al suo stato e oggi, finita la Jugoslavia, fanno parte della Croazia. Molti italiani furono uccisi, altri costretti all’esilio, in un bagno di sangue che proseguiva quello che il regime nazi fascista aveva compiuto, a parti invertite, contro la popolazione slava. Questo a dimostrazione che le guerre e il potere uccide sempre gli innocenti. Fu solo a seguito dell’accordo fra le potenze vincitrici del 5 settembre 1954 che Trieste e Gorizia passarono sotto la sovranità italiana. L’Italia solo allora assunse i confini che oggi conosciamo. Riconquistata l’indipendenza e tornata fra le braccia della madre patria la regione Friuli Venezia Giulia poté avere anche un suo statuto speciale, approvato dalle camere, con legge costituzionale, il 31 gennaio 1961. Occorre notare che passarono quasi dieci anni fra la data di ritorno triestino all’Italia e l’approvazione dello statuto speciale. Questo è dovuto al fatto che tanto c’era da fare per ricostruire un territorio prostrato dalla guerra. La X disposizione transitoria e finale ha come obbiettivo di regolamentare il territorio friulano in mano all’Italia, durante i drammatici anni di transizione. Le località friulane sotto il controllo italiano avevano comunque un ampia autonomia, paragonabile a quella delle altre regioni a statuto speciale garantite dall’articolo 116 della Costituzione. L’assemblea Costituente garantiva che anche il Friuli avesse una forma di autogoverno e un’assemblea partecipativa che rappresentasse la popolazione locale. La scelta fu comunque di non approvare uno Statuto, fin quando la regione non avesse trovato l’unità nel seno della Repubblica Italiana. Una scelta saggia che ha posto le basi per la nascita di un ordinamento regionale fra i più importanti ed, istituzionalmente, più all’avanguardia dell’intera penisola. Lo Statuto Regionale del Friuli Venezia Giulia si dimostrò efficace nel dare strumenti amministrativi e legislativi atti ad affrontare un altro tragico evento che la regione dovette affrontare. Ci riferiamo al tremendo terremoto che colpì il Friuli nel 1976. Fu un sisma fortissimo che distrusse le abitazioni locali e uccise migliaia di persone innocenti. Grazie prima di tutto all’impegno della gente friulana, ma anche alla capacità amministrativa locale, supportata da un valido statuto regionale, fu possibile soccorrere tante persone imprigionate sotto le macerie e avviare una ricostruzione che ancor oggi rimane modello insuperato di efficienza e trasparenza. Lo statuto del Friuli Venezia Giulia è un modello di rispetto della diversità, all’interno di un contesto socio comunitario comune. È l’esempio di una società aperta e plurale, che non ha paura di confrontarsi con gli altri. Bisogna dire che anche altri statuti regionali, speciali od ordinari, sono di altissimo livello giuridico e latori di valori comunitari importanti. È giusto fare un plauso davanti all’impegno morale e civico che ha portato alla scrittura di questi testi giuridici. Il Friuli Venezia – Giulia per la sua storia, me la sua millenaria cultura, merita di essere citato quale esempio fra gli altri.Bisogna notare che il Friuli Venezia Giulia ha avuto  esplicito mandato di ottemperare l’articolo 6 della Costituzione, quello che impone la tutela delle minoranze linguistiche. La X disposizione transitoria e finale richiama tale norma costituzionale esplicitamente. Anche prima dell’entrata in vigore dello Statuto Regionale  il Friuli Venezia Giulia, le sue istituzioni locali ma anche quelle che rappresentano il governo nazionale, devono adoperarsi per garantire la pluralità di cultura e di lingua caratteristica regionale. Questo impegno è comune ad altre due regioni, plurali dal punto di vista linguistico, che sono la Valle d’Aosta e il trentino Alto Adige. Bisogna notare che questa norma è stata ottemperata anche dallo statuto. Certo tanto bisogna fare ancora per giungere a una società in cui ogni cultura sia considerata un prezioso beneficio nazionale, ma l’impegno per garantire l’insegnamento delle lingue locali merita un plauso.
 


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