mercoledì 29 aprile 2020

RITI SACRI



LA MESSA

Per il mondo Cattolico la celebrazione eucaristica è un momento importante della vita di fede. In questi giorni il governo italiano, a causa del coronavirus, ha vietato l’incontro, sia al chiuso che all’aperto, di persone, di conseguenza è vietato anche il compiere il rito sacro della messa. La malattia che infetta il nostro paese ha quindi imposto anche il divieto di celebrare funzioni religiose. Tale imposizione, è d’uopo ricordarlo, vale per tutte le comunità religiose organizzate, a prescindere quale sia il proprio credo. Per tutti coloro che professano la fede in qualcosa di trascendente, quindi, la pandemia ha imposto il divieto riunirsi per pregare. Ora è inevitabile che chiunque professa una fede verso un’entità superiore rimanga sconvolto e interdetto di frotte alla autorità temporale che impone di non riunirsi con i propri fratelli in fede per pregare il Cielo. Chiunque appare stordito da questa enormità. Si perde nei millenni la tradizione che riconosce proprio nella preghiera collettiva la capacità di chiedere la protezione soprannaturale di fronte alle sciagure della vita. Di conseguenza il non poter fare processioni, partecipare a messe o compiere atti di fede pubblici e collettivi rende il credente ancora più insicuro davanti all’enormità del male. Alla luce di questo non stupisce la protesta vibrante della Comunità Episcopale Italiana (CEI), cioè l’assise dei vescovi italiani, che non sopporta più il divieto imposto dalla Stato Italiano di celebrare messa. Il monito a fare presto, a trovare un comune sentire che riesca a trovare il giusto equilibrio fra diritto di culto e diritto alla salute, è stato il senso della richiesta che l’intera comunità ecclesiastica fa allo stato italiano. Andare a messa è riprendere il normale rapporto con Dio e i fratelli di ogni credente in Cristi. Questa è la ragione per cui i vescovi italiani hanno cominciato ad alzare la voce. Oggi, 29/04/2020, una risposta a tale impellente bisogno di fede non c’è ancora. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, coadiuvato da eminenti epidemiologi ed esperi di tutela della pubblica salute, considera ancora lontano il tempo in cui si potrà riempire le chiese senza rischiare il diffondersi delle malattie. Con dolore, essendo cattolico, ha ancora vietato gli incontri pubblici di preghiera. Difficile trovare una risposta giusta a questa grave incombenza che è comune alle istituzioni laiche e religiose. E’ giusto che la comunità dei cristiani celebri messa. E’ giusto che la Chiesa, in forza del diritto la cui fonte è nei Patti Lateranensi, possa scegliere come condurre la propria vita religiosa e la propria proposta evangelica. Ma allo stesso tempo è necessario che si eviti il contagio. E’ un obbligo, in primis dello Stato, ma anche di tutti noi, evitare che l’uno diventi pericolo per l’altro. Insomma dobbiamo evitare di infettarci l’un l’altro. Per questa ragione bisogna trovare risposte adeguate ai bisogni di vita collettiva e alle necessità della salute. Ad onor del vero una soluzione a questa dicotomia è stata trova. L’esempio del Pio Albergo Trivulzio, che fa inorgoglire Matteo Salvini, può essere una soluzione. Se fosse al governo nazionale la lega e la destra già da oggi si sceglierebbe di alleggerire l’emergenza portando le Residenze Assistite a fulcro del coordinamento dell’emergenza. Ad operare sarebbe quel Giuseppe Calicchio che riscuote la fiducia del partito. Ora non so se questa sarebbe la scelta migliore, se già da oggi si potrebbe andare in chiesa se tutta Italia avesse avuto la stessa politica della Regione Lombardia. Ma l’elettorato invece sembra abbia scelto, sembra che preferirebbe, stando ai sondaggi, una politica dirompente simile a quella della Giunta della Lombardia a quella più prudente dell’attuale governo.

Testo di Giovanni Falagario

martedì 28 aprile 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 19 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associativa, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”

L’articolo 19 della costituzione fonda la propria ragion d’essere nell’articolo 3 della stessa carta. Il principio di uguaglianza, iscritto nel terzo articolo costituzionale, dà il diritto a tutti i cittadini di professare il proprio credo religioso. Nessuno deve essere discriminato in base alle sue credenze sull’aldilà. L’articolo 19 offre a ogni cittadino una libertà personale, un diritto universale e inviolabile di libertà religiosa che non può essere intaccato da nessuno, né da altre persone né dall’autorità statuale. Questo articolo è legato all’articolo 8 della stessa carta che afferma che tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge. Il 19 dice qualcosa di più e di diverso. Afferma che il singolo uomo e la singola donna sono libere di credere o di non credere. Afferma la libertà del singolo di professare una fede religiosa, una libertà che spezza ogni catena e costrizione causata da un’entità esterna che sia statuale o abbia le sembianze di un’autorità religiosa. Quindi dà la libertà di professare una fede religiosa. Offre la possibilità di professare il suo agnosticismo e il suo ateismo. Insomma l’uomo è nella piena potestà di manifestare il suo rifiuto assoluto del divino (ateismo) o la sua indifferenza verso tutte le credenze metafisiche (agnosticismo) esattamente come è libero di professare qualsiasi forma di credo e di venerare qualsiasi divinità. Non c’è più la religione di stato. Nel periodo della Monarchia Sabauda lo stato riconosceva la religione cattolica come religione di stato. Alla luce di questo i cattolici avevano nei fatti privilegi, rispetto a coloro che avevano altre credenze. La religione del papa e i suoi segni liturgici erano presenti nella vita pubblica dello stato, le manifestazioni istituzionali erano accompagnati da riti cristiani. Oggi la sensibilità verso le diverse credenze ha portato lo stato a considerare ogni rito religioso degno di essere rispettato e inserito nel protocollo istituzionale. La Repubblica non ha scelto di essere atea, cioè di considerare ininfluente la religione, ma ha scelto di rispettare ogni forma religiosa. E’ un importante cambiamento di prospettiva. Malgrado l’oggettivo riconoscimento della Chiesa Cattolica come interlocutore religioso meglio radicato nel territorio italiano, la Repubblica dà pari dignità ad ogni religione presente nel territorio. Il patti lateranensi, che regolamentano i rapporti fra stato e chiesa, sono la naturale conseguenza del fatto che il cattolicesimo è la religione della maggioranza dei cittadini italiani. Ma questo dato non deve comportare uno svilimento del ruolo degli altri credi che sono rispettati egualmente alla quello cristiano. Infatti lo stato sta conducendo da decenni una politica di dialogo con tutte le istituzioni religiose di ogni credo al fine di definire i rapporti istituzionali con esse e di rendere possibile la libertà di fede dei singoli aderenti a queste fedi in forza dell’ultimo comma dell’articolo 8 della stessa costituzione. La libertà di culto è un diritto universale. Non è riservato a una parte del genere umano, i cittadini italiani ad esempio, ma all’intero genere umano. La Repubblica non fa discriminazioni di alcun genere chi vive nel nostro paese può e deve professare la propria fede. A questo proposito è da citare la disputa del crocifisso, come la stampa l’ha chiamata. Il tema era se fosse opportuno appendere il simbolo cristiano nei luoghi pubblici, soprattutto nelle aule scolastiche. La questione è stata sollevata da alcune famiglie con bambini in età scolare non di religione cattolica. Le madri di questi pargoli hanno espresso la loro perplessità davanti all’imposizione di un simbolo cristiano, appeso nel luogo ove si insegna, al propri bambini. La questione  è stata risolta dalla corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si sono appellate le parti, che ha invitato tutti a una maggiore tolleranza. Da una parte ha invitato le autorità scolastiche a rispettare le singole diverse sensibilità. Dall’altro ha riconosciuto che i simboli del cattolicesimo e del cristianesimo sono parti integranti della cultura secolare della nazione, non possono essere rimossi senza un grave nocumento per la formazione personale del singolo bambino che vive in una realtà in cui la religione di Gesù è fondamento del vivere culturale e collettivo. I segni religiosi cristiani fanno parte dellostile di vita che si segue nel nostro paese, la loro derubricazione a semplici moti dell’anima personale che non devono manifestarsi in simboli esterni è praticamente impossibile. Alla luce del diritto di appendere simboli cattolici in luoghi pubblici in nome del rispetto della sensibilità religiosa della maggioranza, c’è il pari diritto di tutti a professare liberamente il proprio credo. Questa libertà offe il diritto a tutti di indossare simboli della propria religione e di avere costumi consoni ai dettami dei testi sacri a loro cari, tranne che non siano contrari al buon costume, che non siano pericolosi o che non siano perturbatori dell’ordine pubblico. I mussulmani hanno diritto di vestire come credono. Le donne che credono in Allah hanno il diritto di coprirsi il viso e il corpo, se lo credono opportuno. Urge sottolineare che la Costituzione è chiara e precisa. Una persona può essere libera di indossare ciò che vuole, può essere libera di coprire interamente il proprio corpo, indossando il Burka. Quello che è vietato tassativamente è l’imposizione. Nessuna comunità religiosa, nessuna famiglia, nessuna istituzione può imporre al singolo una particolare condotta pubblica. Nel nostro paese una mussulmana è libera di vivere, come si dice volgarmente, all’occidentale, nessuno può imporgli nulla. Ciò in nome dei diritti universali della persona. Diritti che devono essere portati anche in regioni della terra in cui la donna è oggetto di discriminazione e di pregiudizi. Il principio di uguaglianza impone che la donna debba essere considerata libera anche di professare la propria fede superando i dettami maschilisti che caratterizzano la stragrande maggioranza delle religioni. La dignità umana è un bene prezioso che non può essere sacrificato sull’altare di nessun dio. Vorrei citare un episodio. In Italia appartenenti alla religione sikh hanno chiesto di poter circolare nelle nostre strade con il Kirpan il coltello rituale che ogni sikh deve portare sempre con sé. Il kirpan è un’arma estremamente pericolosa. Ha una lama affilata di diversi centimetri, chi professa la religione asiatica lo indossa per sconfiggere allegoricamente il male, ma rimane uno strumento di morte che potrebbe infliggere gravi lesioni in caso di litigi o zuffe. La corte di cassazione, interrogata sulla questione, ha invitato i credenti a indossare coltelli di plastica, così da rispettare il loro credo e i valori allegorici di cui è latore, ma allo stesso tempo di evitare che si vada in giro per strada con armi pericolose. La comunità sikh in Italia ha reagito con malumore. Per loro è necessario circolare con coltelli veri per adempiere il volere delle proprie divinità. La questione è complessa e lungi dall’essere pienamente risolata. Fortunatamente però i casi in questione sono sporadici, è raro vedere persone armate di coltello in giro nelle nostre città. Ma è il caso di proporre questi casi quali rilevatori delle enormi questioni che il principio di libertà religiosa può sollevare, questioni risolvibili solo con la pazienza e la tolleranza reciproca. La libertà religiosa, però, è un bene prezioso. Dare a tutti la libertà di credere nel proprio dio è un modo per accrescere culturalmente l’intera collettività. La Repubblica diviene più grande se è in grado di accogliere tutte le filosofie e le religioni del mondo. La crescita avviene nella sincretica convergenza di più fedi. E’ bene ricordarlo: la pluralità è ricchezza. Per questo motivo è fondamentale l’articolo 19 che dà la possibilità ad ogni cittadino di esprimere il proprio credo e la propria fede.
Testo di Giovanni Falagario

domenica 26 aprile 2020

FILOSOFIA E AZIONE POLITICA




UN IMPEGNO E UNA IDEA
Giuseppe Calicchio è passato alle onori delle cronache perché la regione lombardia l'ha voluto Amministratore Delegato della Casa di Ricovero "Pio Albergo Trivulzio". Purtroppo i "giornali comunisti" non l'avrebbero nemmeno nominato se non si fosse trovato a gestire la crisi del Corona Virus e con i tanti decessi e malati in quella casa di ospitalità. Ma chi vota destra, chi sente e vive gli afflati ideali che soffiano all'interno della lega stima e conosce da tempo il dottor Calicchio. Laureato in filosofia giovanissimo entra nella Lega. Il suo successo di intellettuale è possibile al fianco del segretario, Matteo Salvini. Calicchio è uno dei più importanti copensatori del segretario. Assieme a lui pensa la "Lega Nazionale", pensa al nuovo progetto di partito simile al modello francese di Alleanza Nazionale. Riprende i temi Hegeliani di conflitto dialettico e pensa alla funzione di guida sociale delle formazioni politiche. Insomma è il "pensatore" del gruppo dirigenziale del nuovo carroccio sovranista. Il "popolo", come il segretario chiama i suoi elettori, lo hanno sempre stimato e continuano a stimarlo. La stima verso quet'uomo è profonda. Si sente nelle vie, nelle conversazioni fra attivisti, nella propaganda politica. Giuseppe Colicchio è stato e sarà uno dei motori del Carroccio. Una figura apicale che nulla potrà scalfire nella sua integrità. Salvini ha estremamente fiducia in lui. Gli elettori della Lega lo hanno già paragonato ad altri martiri, cioè ad altre persone che si sono spese per fare grande il partito e hanno subito la reazione violenta della magistratura. E' messo sullo stesso piano di Gianluca Savoini, Francesco Belsito e altri grandi. La reazione di solidarietà si manifesterà con il voto. Più la magistratura colpisce uomini di destra, più i voti dei moderati aumentano.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 19 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associativa, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”

L’articolo 19 della costituzione fonda la propria ragion d’essere nell’articolo 3 della stessa carta. Il principio di uguaglianza, iscritto nel terzo articolo costituzionale, dà il diritto a tutti i cittadini di professare il proprio credo religioso. Nessuno deve essere discriminato in base alle sue credenze sull’aldilà. L’articolo 19 offre a ogni cittadino una libertà personale, un diritto universale e inviolabile di libertà religiosa che non può essere intaccato da nessuno, né da altre persone né dall’autorità statuale. Questo articolo è legato all’articolo 8 della stessa carta che afferma che tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge. Il 19 dice qualcosa di più e di diverso. Afferma che il singolo uomo e la singola donna sono libere di credere o di non credere. Afferma la libertà del singolo di professare una fede religiosa, una libertà che spezza ogni catena e costrizione causata da un’entità esterna che sia statuale o abbia le sembianze di un’autorità religiosa. Quindi dà la libertà di professare una fede religiosa. Offre la possibilità di professare il suo agnosticismo e il suo ateismo. Insomma l’uomo è nella piena potestà di manifestare il suo rifiuto assoluto del divino (ateismo) o la sua indifferenza verso tutte le credenze metafisiche (agnosticismo) esattamente come è libero di professare qualsiasi forma di credo e di venerare qualsiasi divinità. Non c’è più la religione di stato. Nel periodo della Monarchia Sabauda lo stato riconosceva la religione cattolica come religione di stato. Alla luce di questo i cattolici avevano nei fatti privilegi, rispetto a coloro che avevano altre credenze. La religione del papa e i suoi segni liturgici erano presenti nella vita pubblica dello stato, le manifestazioni istituzionali erano accompagnati da riti cristiani. Oggi la sensibilità verso le diverse credenze ha portato lo stato a considerare ogni rito religioso degno di essere rispettato e inserito nel protocollo istituzionale. La Repubblica non ha scelto di essere atea, cioè di considerare ininfluente la religione, ma ha scelto di rispettare ogni forma religiosa. E’ un importante cambiamento di prospettiva. Malgrado l’oggettivo riconoscimento della Chiesa Cattolica come interlocutore religioso meglio radicato nel territorio italiano, la Repubblica dà pari dignità ad ogni religione presente nel territorio. Il patti lateranensi, che regolamentano i rapporti fra stato e chiesa, sono la naturale conseguenza del fatto che il cattolicesimo è la religione della maggioranza dei cittadini italiani. Ma questo dato non deve comportare uno svilimento del ruolo degli altri credi che sono rispettati egualmente alla quello cristiano. Infatti lo stato sta conducendo da decenni una politica di dialogo con tutte le istituzioni religiose di ogni credo al fine di definire i rapporti istituzionali con esse e di rendere possibile la libertà di fede dei singoli aderenti a queste fedi in forza dell’ultimo comma dell’articolo 8 della stessa costituzione. La libertà di culto è un diritto universale. Non è riservato a una parte del genere umano, i cittadini italiani ad esempio, ma all’intero genere umano. La Repubblica non fa discriminazioni di alcun genere chi vive nel nostro paese può e deve professare la propria fede. A questo proposito è da citare la disputa del crocifisso, come la stampa l’ha chiamata. Il tema era se fosse opportuno appendere il simbolo cristiano nei luoghi pubblici, soprattutto nelle aule scolastiche. La questione è stata sollevata da alcune famiglie con bambini in età scolare non di religione cattolica. Le madri di questi pargoli hanno espresso la loro perplessità davanti all’imposizione di un simbolo cristiano, appeso nel luogo ove si insegna, al propri bambini. La questione  è stata risolta dalla corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si sono appellate le parti, che ha invitato tutti a una maggiore tolleranza. Da una parte ha invitato le autorità scolastiche a rispettare le singole diverse sensibilità. Dall’altro ha riconosciuto che i simboli del cattolicesimo e del cristianesimo sono parti integranti della cultura secolare della nazione, non possono essere rimossi senza un grave nocumento per la formazione personale del singolo bambino che vive in una realtà in cui la religione di Gesù è fondamento del vivere culturale e collettivo. I segni religiosi cristiani fanno parte dellostile di vita che si segue nel nostro paese, la loro derubricazione a semplici moti dell’anima personale che non devono manifestarsi in simboli esterni è praticamente impossibile. Alla luce del diritto di appendere simboli cattolici in luoghi pubblici in nome del rispetto della sensibilità religiosa della maggioranza, c’è il pari diritto di tutti a professare liberamente il proprio credo. Questa libertà offe il diritto a tutti di indossare simboli della propria religione e di avere costumi consoni ai dettami dei testi sacri a loro cari, tranne che non siano contrari al buon costume, che non siano pericolosi o che non siano perturbatori dell’ordine pubblico. I mussulmani hanno diritto di vestire come credono. Le donne che credono in Allah hanno il diritto di coprirsi il viso e il corpo, se lo credono opportuno. Urge sottolineare che la Costituzione è chiara e precisa. Una persona può essere libera di indossare ciò che vuole, può essere libera di coprire interamente il proprio corpo, indossando il Burka. Quello che è vietato tassativamente è l’imposizione. Nessuna comunità religiosa, nessuna famiglia, nessuna istituzione può imporre al singolo una particolare condotta pubblica. Nel nostro paese una mussulmana è libera di vivere, come si dice volgarmente, all’occidentale, nessuno può imporgli nulla. Ciò in nome dei diritti universali della persona. Diritti che devono essere portati anche in regioni della terra in cui la donna è oggetto di discriminazione e di pregiudizi. Il principio di uguaglianza impone che la donna debba essere considerata libera anche di professare la propria fede superando i dettami maschilisti che caratterizzano la stragrande maggioranza delle religioni. La dignità umana è un bene prezioso che non può essere sacrificato sull’altare di nessun dio. Vorrei citare un episodio. In Italia appartenenti alla religione sikh hanno chiesto di poter circolare nelle nostre strade con il Kirpan il coltello rituale che ogni sikh deve portare sempre con sé. Il kirpan è un’arma estremamente pericolosa. Ha una lama affilata di diversi centimetri, chi professa la religione asiatica lo indossa per sconfiggere allegoricamente il male, ma rimane uno strumento di morte che potrebbe infliggere gravi lesioni in caso di litigi o zuffe. La corte di cassazione, interrogata sulla questione, ha invitato i credenti a indossare coltelli di plastica, così da rispettare il loro credo e i valori allegorici di cui è latore, ma allo stesso tempo di evitare che si vada in giro per strada con armi pericolose. La comunità sikh in Italia ha reagito con malumore. Per loro è necessario circolare con coltelli veri per adempiere il volere delle proprie divinità. La questione è complessa e lungi dall’essere pienamente risolata. Fortunatamente però i casi in questione sono sporadici, è raro vedere persone armate di coltello in giro nelle nostre città. Ma è il caso di proporre questi casi quali rilevatori delle enormi questioni che il principio di libertà religiosa può sollevare, questioni risolvibili solo con la pazienza e la tolleranza reciproca. La libertà religiosa, però, è un bene prezioso. Dare a tutti la libertà di credere nel proprio dio è un modo per accrescere culturalmente l’intera collettività. La Repubblica diviene più grande se è in grado di accogliere tutte le filosofie e le religioni del mondo. La crescita avviene nella sincretica convergenza di più fedi. E’ bene ricordarlo: la pluralità è ricchezza. Per questo motivo è fondamentale l’articolo 19 che dà la possibilità ad ogni cittadino di esprimere il proprio credo e la propria fede.
Testo di Giovanni Falagario

sabato 25 aprile 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 18 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per i fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”

L’articolo 18 dà a tutti i cittadini  il diritto di associarsi. Che cosa sono le associazioni? Sono formazioni sociali stabilmente organizzate e costituite su base volontaria al fine di soddisfare determinati interessi comuni a tutti coloro che ne fanno parte. Da questa definizione scaturiscono due diritti del singolo. Il primo è quello di associarsi, di aderire a una determinata organizzazione. Il secondo, all’opposto, è quello di scegliere di non farvi parte. Non vi è un obbligo assoluto di associarsi, si può scegliere di non aderire a quel progetto comune che ha dato vita a una determinata associazione. La caratteristica della volontarietà rende libera la persona di non fare parte dell’organizzazione. La Costituzione garantisce un’altra libertà fondamentale del singolo. La libertà nella associazione consiste nel diritto di poter esprimere il proprio pensiero, di poter agire secondo coscienza, all’interno dell’associazione. Questa libertà, è bene sottolinearlo, va bilanciata con il diritto dell’associazione di dotarsi di una finalità collettiva e un regolamento interno propri. Il singolo non può considerarsi libero di operare all’interno di una associazione compiendo azioni che sono contrarie alle finalità e agli statuti sociali. Essendo l’organizzazione libera, libero è l’aderirvi o meno. Se il singolo non ritiene di riconoscersi nella teleologia dell’associazione è libero di non aderirvi o di dimettersi, ma non di ledere la stessa struttura sociale contestandone i fondamenti. Qui viene posta una questione fondamentale, la cui risposta è molto complessa. In un’associazione di liberi cittadini quali sono i fondamenti incontestabili?  Quali sono i limiti che intercorrono fra il normale confronto dialettico fra associati, che hanno punti di vista diversi su come perseguire un obbiettivo comune, e invece lo scontro radicale che mette in discussione i principi fondamentali dello stare insieme? Non vi può essere una risposta assoluta a tale domanda. Certo ci sono casi in cui il singolo associato mette in discussione la ragione sociale, il motivi per i quali si sta insieme, allora è lampante che il suo dibattere lo mette fuori dalla comunità, giustifica un’eventuale espulsione. Ma ci sono dei dibattiti che non hanno una chiara soluzione. Spesso vi sono dei dissidi fra i singoli partecipanti, che non possono essere risolti con un’analisi obbiettiva delle regole che gli associati si sono date e la conseguente espulsione di chi le trasgredisce. I contenuti del contendere possono essere frutto di una visione diversa dell’agire concreto. Allora inevitabile che a prevalere sono le ragioni di “forza”, cioè i numeri, i numeri di associati che appoggiano una tesi rispetto a quelli che sostengono quella avversa. In caso di controversie lecite legalmente e nelle quali tutte le parti agiscono nel quadro comune delle norme fondamentali dell’associazione, iscritte nello statuto e nel regolamento, razionale sarebbe mettere tutto nelle mani dell’assemblea degli associati, che esprimono con il voto la scelta collettiva. La libertà d’associazione è uno dei più importanti strumenti per la crescita collettiva della nazione. Le associazioni, con il loro impegno in tutti gli ambiti dello scibile umano, accrescono il livello culturale, le conoscenze scientifiche di tutto il paese. Ci sono molte associazioni nel nostro paese che si distinguono nel loro impegno verso l’aiuto e il soccorso dei soggetti di in difficoltà. Le associazioni di volontariato che hanno come scopo l’aiuto delle persone anziane, dei disabili, dei meno fortunati in generale, sono una ricchezza assoluta per la nazione. La libertà di associazione permette di fatto la nascita di realtà di comunanza eccezionali. Come non ricordare l’associazionismo cattolico. Le associazioni animate dalla fede in Cristo e nella Chiesa hanno contribuito in maniera eccezionale al miglioramento del paese. Animate da un comune ideale di vita queste società di persone si sono messe in cammino nel mondo con la loro opera di testimonianza. E’ d’obbligo ricordare anche altre associazioni, animate dallo stesso spirito di solidarietà, ma laiche e che hanno diversi orientamenti culturali, le associazioni liberali, socialiste o comuniste. Tutte queste associazioni, a prescindere dal loro orientamento ideale, hanno donato un prezioso contributo alla crescita culturale del paese.  E’ comunque sbagliato pensare che la formazione culturale crei steccati. Vi sono in Italia persone che, pur essendo di credo diverso, operano insieme in associazioni, persone che sono riuscite a trasformare i diversi punti di vista delle persone in ricchezza collettiva, che si manifesta nell’associazione. Sono splendidi esempi di come il dialogo, la cooperazione, la volontà di raggiungere obbiettivi benefici possa superare ogni tipo di barriera. L’associazionismo è una miniera d’oro da cui ogni giorno scaturiscono pepite che sono fonte di ricchezza per tutta la comunità nazionale. Sbagliato non rendersene conto, sbagliato non utilizzare queste grandissima risorsa per superare i limiti che il nostro apparato statuale contiene. La Repubblica deve mettere a frutto questo straordinario patrimonio. Le associazioni possono e devono operare insieme agli apparati pubblici al fine di superare tutte le barriere che impediscono il raggiungimento dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutti. L’articolo 18 della costituzione vieta le associazioni che hanno fini vietati dalla legge penale.  A questo proposito è d’obbligo pensare alla mafia. La terribile organizzazione criminale che ogni giorno uccide, spaccia droga, corrompe politici e cittadini, fa opera di strozzinaggio. Contro questi enti terribili la nostra Costituzione di staglia come strenuo baluardo di legalità. Il fenomeno delle associazioni criminali va assolutamente debellato. Il nostro paese non può crescere se avrà ancora nel suo ventre tale tremenda serpe. Lo stesso vale per le associazioni segrete. La costituzione e la repubblica, come saggiamente dichiara il secondo comma dell’articolo 18, non deve permettere l’esistenza di associazioni segrete. Ognuno è libero di associarsi, ma non può farlo celando i suoi scopi e le sue finalità, non può avere un obbiettivo volto a ledere l’ordinamento statale e i principi democratici. L’esempio è la Loggia Massonica P2 che ha tramato contro l’ordinamento dello stato e che è stata debellata con estrema fatica e impegno da parte di tutte le istituzioni, La magistratura, in primis, e poi il parlamento, con la costituzione della commissione parlamentare presieduta dalla compianta Tina Anselmi nel 1981. Le associazioni segrete sono un pericolo non solo per lo stato, ma per tutti i cittadini. La P2 voleva sovvertire l’ordinamento democratico del paese, portando grave nocumento all’intera collettività e rovesciando lo stesso ordinamento costituzionale. Altro punto da sottolineare è l’assoluto divieto di costituire organizzazioni di carattere militare. La forza deve rimanere prerogativa dello Stato. Nessun cittadino deve farsi giustizia da sé. Ma in questo articolo si vuole stigmatizzare la pratica del fascismo e, in alcuni casi, del comunismo, che in passato si sono armati e hanno portato il terrore nel nostro paese. Le organizzazioni paramilitari sono assolutamente bandite. Nessuno può circolare liberamente armato nelle nostre strade per raggiungere finalità politiche e di cambiamento sociale. La prigione è l’unico luogo per persone del genere. Ogni tipo di organizzazione lecita deve farlo sen’armi. Insomma l’articolo 18 è uno dei fondamenti del nostro vivere insieme. L’associazionismo è un universo prezioso. Lo stare insieme, dandosi regole comuni, è un modo per essere persone migliori, per vivere la vita in comune, per sentirsi partecipe di un progetto collettivo che apra le strade a un futuro migliore.       
Testo di Giovanni Falagario                   

MAI PIU' FASCISMO




XII DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
"E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi e i responsabili del regime fascista"
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finali sono i diciotto articoli che furono approvati dall'assemblea costituente per gestire la terribile fase di transizione fra il regime monarchico e quello repubblicano. L'Italia era prostrata da una guerra tremenda. Il conflitto bellico aveva distrutto città, aveva messo in rovina campagne, aveva ucciso milioni di persone. Era tempo di rinascere. Era tempo di chiudere con quell'epoca buia, di pensare al futuro. La nuova Costituzione intendeva aprire nuovi spazi di libertà e partecipazione per l'intera comunità italiana. Lo stato repubblicano non doveva reprimere, ma liberare energie, doveva mettere al centro l'uomo e la donna, difendendo la loro dignità. Insomma la democrazia doveva essere latrice di uguaglianza. Nessuno doveva essere discriminato a causa del proprio sesso, della propria razza, della propria lingua, della propria religione, delle proprie condizioni sociali, delle proprie opinioni politiche. Questo concetto è enunciato solennemente dall'articolo tre della nostra Carta Fondamentale, una delle norme più importanti del nostro ordinamento repubblicano. L'Italia rinasceva libera, democratica, plurale e, soprattutto, in pace. Sulla base si queste premesse bisogna leggere la XII disposizione transitoria e finale. Il partito nazionale fascista è fuorilegge. E' vietata in ogni forma la sua riorganizzazione. Ciò è legge dello stato, perché il fascismo è stata la causa della rovina dell'Italia. E' stato il movimento fondato da Benito Mussolini che, una volta salito al potere, ha tolto quelle libertà delle quali ogni persona ha non solo diritto, ma anche bisogno per vivere. Il fascismo ha portato morte. Il fascismo ha permesso che cittadini italiani fossero deportati nei campi di sterminio nazista, come ha ricordato recentemente la senatrice a vita Liliana Segre, una delle poche sopravvissute ad Auschwitz. Il fascismo ha voluto le infami leggi razziali nel 1938, leggi ignobili e orrende che vietavano l'accesso alle scuole pubbliche e private di bambini di famiglie ebree, leggi vergognose che espellevano docenti universitari, impiegati pubblici, dirigenti e semplici lavoratori dal proprio ruolo socioeconomico solo perché ebrei. Il fascismo ha ucciso dei suoi fieri oppositori, come Giacomo Matteotti. Ha costretto al confino altri, come Altiero Spinelli. Ha imprigionato uomini di altissima levatura morale, come Antonio Gramsci. Per tutte queste nefandezze e per aver condotto l'Italia verso la catastrofe della seconda guerra mondiale, il partito fascista è bandito dalla vita sociale italiana. Non può e non deve riorganizzarsi come struttura intermedia. Chi lo fa va incontro a pene sancite dalla legge del 3/12/1947, che comportano anche la reclusione. Anche l'apologia del fascismo, intesa come esaltazione delle pratiche e della politica del regime di Mussolini è reato. Non è un negare la libertà impedire la ricostituzione del partito fascista, è l'atto di difesa della democrazia verso una brutale ideologia che nega la dignità della persona. Molte voci hanno criticato la scelta di mettere fuori legge solo il partito fascista e non quello comunista, come fece la Germania dell'Ovest. Il Partito Comunista Italiano era stato protagonista, al fianco della Democrazia Cristiana e degli altri partiti antifascisti della Resistenza. Il partito di Palmiro Togliatti stava contribuendo alla rinascita del paese. Non si poteva paragonare al fascismo. Sarebbe stato specioso espellere dal consesso democratico un partito che concretamente stava costruendo la Repubblica Italiana. Anche la Francia aveva scelto di fare entrare nell'arco costituzionale il Partito Comunista Francese. Quindi la censura al fascismo era dovuta alla sostanziale censura delle sue attività di governo passate. Mentre i Comunisti avevano contribuito a riportare la libertà in Italia, il partito fascista l'aveva soppressa per ben venti anni. Questa è la differenza sostanziale. Il PCI non era il bolscevismo Russo, che aveva portato il terrore. Togliatti non era Stalin, il terribile dittatore sovietico che aveva deportato e ucciso milioni di persone. Il PCI aveva sposato la democrazia. Ecco perché il fascismo è fuorilegge, il comunismo no. Bisogna tenere ben presenti questi fatti. Bisogna misurare le parole, bisogna pensare ai morti sul fronte africano, greco e albanese durante il secondo conflitto mondiale, prima di dire "Mussolini è stato un grande statista", queste sono le terribili parole dette alcuni anni fa da Silvio Berlusconi. Fanno paura le apologie del fascismo fatte da alcuni esponenti dell'attuale maggioranza di governo. Penso alla scelta del presidente della regione Lombardia, Fontana, di esaltare la razza, richiamando temi cari al fascismo. Bisogna essere chiari. Non è scontato che il nostro stato sia democratico. Non è scontato che oggi si difendano i diritti di libertà, come fecero i nostri padri ottanta anni fa. La democrazia, la libertà, l'uguaglianza sono valori che si conquistano ogni giorno con l'impegno e la dedizione. Bisogna guardarsi in faccia. Dirci se vogliamo continuare a vivere in un regime libero, fondato sulla Costituzione, vivaddio, antifascista. Oppure scegliere l'illiberaltà, l'oscurantismo, il pregiudizio e il razzismo. La scelta per la libertà non è scontata, si esercita alzando la voce in difesa dei diritti comuni e generali.
Il secondo comma della XII disposizione transitoria e finale deroga l'articolo 48 della Costituzione. Questo, nel primo comma, prevede il diritto di voto attivo (andare a votare) e passivo (essere eletti alle assemblee statali di ogni ordine e grado) per tutti i cittadini italiani, senza alcuna distinzione. La norma transitoria XII vieta per cinque anni di votare ed essere eletti a coloro che sono stati capi responsabili del regime fascista. E' vietato votare ai gerarchi fascisti, a coloro che avevano portato l'Italia al disastro, complici di Benito Mussolini. E' vietato votare a coloro che avevano scelto di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio che si era reso complice della violenza nazista in Italia dal 1943 al 1945. Ricordiamo sommariamente che dopo l'armistizio con gli americani nel 1943, voluto dal re, alcuni capi del fascismo e lo stesso duce si macchiarono di complicità con l'esercito Germanico che teneva ancora sotto scacco buona parte della penisola. Questi soggetti furono puniti, negandogli il voto per cinque anni. Questa norma è comunque decaduta dopo un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, il 1948. I cittadini che avevano aderito alla Repubblica Sociale, complice di Berlino, se non avevano commesso reati penali militari e se non avevano reati contro l'umanità, cosa che avvenne, purtroppo, molti furono processati e condannati per omicidi e nefandezze di varia natura, poterono esercitare ben presto il loro diritto di voto. La Repubblica sa perdonare. La Repubblica riesce a riportare nell'alveo democratico anche coloro che hanno ignobilmente combattuto contro la libertà e la dignità umana. Per Questo bisogna essere orgogliosi di far parte di questo nostro ordinamento democratico, bisogna essere onorati di vivere sotto le regole dettate dalla Costituzione Italiana, di cui festeggiamo i settanta anni di vita. La nostra Repubblica include, accoglie, anche chi avrebbe voluto calpestare i suoi valori e la dignità umana umana.Un'ultima annotazione! Le restrizioni alla libertà, anche quella dei fascisti, devono essere fatte per legge. Infatti l'allora Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti le elaborò e furono emanate dal capo dello stato in forma di decreto legge. Questo a dimostrazione che nel nuovo ordinamento democratico nessuna imposizione può essere esercitata se non per legge e per esplicitare ed esplicare gli alti valori democratici espressi dalla costituzione. I nostri padri costituenti sapevano di stare commettendo un atto grave, non atto che deprivava di un diritto alcuni connazionali, lo facevano di controvoglia, sapendo che la persona umana va rispettata anche se è fascista. Bisogna prendere esempio da loro, e imitare il loro afflato di giustizia e di umanità.


LA LIBERAZIONE



MA CHE BELLA GIORNATA DI SOLE

“Ma che bella giornata di sole”, oltre ad essere una costatazione sullo stato del tempo meteorologico, è anche l’incipit di una canzone di Antonello Venditti. Il cantautore la dedicò al 25 aprile 1945. Questa è una data estremamente importante per i destini del nostro paese. Non a caso ogni anno la festeggiamo quale una delle feste nazionali. Ma cosa avvenne il quel giorno fatidico? Lo sappiamo tutti: cessò la guerra nella nostra penisola. In quel frangente le armi smisero di essere usate. Lo scontro titanico fra Nazismo e forze democratiche smise di vedere come scenario di guerra il nostro paese. I nostri nonni o bisnonni, italiani, ebbero un ruolo fondamentale. Erano divisi, una parte, pochi, al fianco dei nazisti e l’altra, la maggioranza, ad agognare la libertà. Molte città nel nostro paese si liberarono dal giogo tedesco con sollevazioni popolari. Napoli, la prima, Bologna, Milano, Genova, Torino e tante altre scacciarono e misero sotto scacco l’esercito tedesco grazie allo sforzo eroico di comuni cittadini. L’eroismo del popolo fu un esempio di sforzo collettivo e di dignità pubblica encomiabile. Roma, già liberata nel 1944, si era distinta per la grande solidarietà verso gli ebrei e tutti coloro che erano perseguitati dai terribili dittatori Mussolini ed Hitler. I Partigiani, l’esercito di volontari che fin dal 1943 avevano speso le proprie vite per la salvezza nazionale, in quel giorno erano nelle strade a festeggiare. Oggi noi siamo chiamati a ricordare. Siamo chiamati a difendere, si spera mai più con le armi ma con il nostro sforzo intellettuale, quella libertà allora conquistata con il sangue. È il momento di rendere ognuno di noi strumento per realizzare quei sogni di emancipazione sociale, di rinascita nazionale, di primavera di idee, che avevano mosso i nostri progenitori alle armi. È tempo di utilizzare il lavoro di ognuno per rendere concreto l’ideale sorto ormai moltissimi decenni fa e mai più spento. Anche oggi è Liberazione. Non ricordiamo solo un evento di 75 anni fa, ma dobbiamo farci promotori di sommovimento epocale che ci spinga ad attraversare gli spazi e i tempi e così costruire una società più giusta. Oggi è tempo di Corona Virus. La malattia che ha paralizzato non solo l’Italia ma il mondo intero. Dobbiamo utilizzare questo momento di lutto, oltre che per porre doverosamente omaggio ai caduti di ieri, in guerra, e a quelli di oggi, a causa del morbo,  anche per elaborare uno sforzo collettivo di rinascita. È bene partire da quei valori universali di libertà, dignità ed eguaglianza. Principi nati nella Rivoluzione Francese alla fine del ‘700, ma ancora vivi alla fine del secondo conflitto mondiale, oggi e, oserei dire, sempre. Bisogna rimodulare la nostra vita in un ottica di comunanza non solo intellettuale, ma anche ideale, sentimentale e,diciamolo chiaro, anche economica e sociale con gli altri. Io, da solo, non sono niente, io con i miei concittadini sono una nazione, una comunità, ho un ideale da perseguire. È questa certezza che ci deve far suscitare un fremito al cuore. I nostri partigiani di oggi sono gli infermieri e i medici, sono i tanti addetti che operano contro il male e per la salute di tutti. Non è forse un caso che la regione martire della malattia sia la stessa che nel ’45 era martire del giogo tedesco. Ancora una volta la Lombardia è dolorosa testimone di una tragedia. Può sembrare un azzardo, ma mi sembra non fuori luogo paragonare gli ebrei partiti da Milano verso lo sterminio a quei poveri malati di Corona Virus morti nel Pio Albergo Trivulzio. Come per quelli Milano si è sollevata nel 1945, oggi per questi il popolo deve reagire manifestando solidarietà e condivisione. Il futuro può essere migliore, anche questo 25 aprile, non solo quello del 1945, è (deve essere) “una bella giornata di sole”.

domenica 19 aprile 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 18 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per i fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”

L’articolo 18 dà a tutti i cittadini  il diritto di associarsi. Che cosa sono le associazioni? Sono formazioni sociali stabilmente organizzate e costituite su base volontaria al fine di soddisfare determinati interessi comuni a tutti coloro che ne fanno parte. Da questa definizione scaturiscono due diritti del singolo. Il primo è quello di associarsi, di aderire a una determinata organizzazione. Il secondo, all’opposto, è quello di scegliere di non farvi parte. Non vi è un obbligo assoluto di associarsi, si può scegliere di non aderire a quel progetto comune che ha dato vita a una determinata associazione. La caratteristica della volontarietà rende libera la persona di non fare parte dell’organizzazione. La Costituzione garantisce un’altra libertà fondamentale del singolo. La libertà nella associazione consiste nel diritto di poter esprimere il proprio pensiero, di poter agire secondo coscienza, all’interno dell’associazione. Questa libertà, è bene sottolinearlo, va bilanciata con il diritto dell’associazione di dotarsi di una finalità collettiva e un regolamento interno propri. Il singolo non può considerarsi libero di operare all’interno di una associazione compiendo azioni che sono contrarie alle finalità e agli statuti sociali. Essendo l’organizzazione libera, libero è l’aderirvi o meno. Se il singolo non ritiene di riconoscersi nella teleologia dell’associazione è libero di non aderirvi o di dimettersi, ma non di ledere la stessa struttura sociale contestandone i fondamenti. Qui viene posta una questione fondamentale, la cui risposta è molto complessa. In un’associazione di liberi cittadini quali sono i fondamenti incontestabili?  Quali sono i limiti che intercorrono fra il normale confronto dialettico fra associati, che hanno punti di vista diversi su come perseguire un obbiettivo comune, e invece lo scontro radicale che mette in discussione i principi fondamentali dello stare insieme? Non vi può essere una risposta assoluta a tale domanda. Certo ci sono casi in cui il singolo associato mette in discussione la ragione sociale, il motivi per i quali si sta insieme, allora è lampante che il suo dibattere lo mette fuori dalla comunità, giustifica un’eventuale espulsione. Ma ci sono dei dibattiti che non hanno una chiara soluzione. Spesso vi sono dei dissidi fra i singoli partecipanti, che non possono essere risolti con un’analisi obbiettiva delle regole che gli associati si sono date e la conseguente espulsione di chi le trasgredisce. I contenuti del contendere possono essere frutto di una visione diversa dell’agire concreto. Allora inevitabile che a prevalere sono le ragioni di “forza”, cioè i numeri, i numeri di associati che appoggiano una tesi rispetto a quelli che sostengono quella avversa. In caso di controversie lecite legalmente e nelle quali tutte le parti agiscono nel quadro comune delle norme fondamentali dell’associazione, iscritte nello statuto e nel regolamento, razionale sarebbe mettere tutto nelle mani dell’assemblea degli associati, che esprimono con il voto la scelta collettiva. La libertà d’associazione è uno dei più importanti strumenti per la crescita collettiva della nazione. Le associazioni, con il loro impegno in tutti gli ambiti dello scibile umano, accrescono il livello culturale, le conoscenze scientifiche di tutto il paese. Ci sono molte associazioni nel nostro paese che si distinguono nel loro impegno verso l’aiuto e il soccorso dei soggetti di in difficoltà. Le associazioni di volontariato che hanno come scopo l’aiuto delle persone anziane, dei disabili, dei meno fortunati in generale, sono una ricchezza assoluta per la nazione. La libertà di associazione permette di fatto la nascita di realtà di comunanza eccezionali. Come non ricordare l’associazionismo cattolico. Le associazioni animate dalla fede in Cristo e nella Chiesa hanno contribuito in maniera eccezionale al miglioramento del paese. Animate da un comune ideale di vita queste società di persone si sono messe in cammino nel mondo con la loro opera di testimonianza. E’ d’obbligo ricordare anche altre associazioni, animate dallo stesso spirito di solidarietà, ma laiche e che hanno diversi orientamenti culturali, le associazioni liberali, socialiste o comuniste. Tutte queste associazioni, a prescindere dal loro orientamento ideale, hanno donato un prezioso contributo alla crescita culturale del paese.  E’ comunque sbagliato pensare che la formazione culturale crei steccati. Vi sono in Italia persone che, pur essendo di credo diverso, operano insieme in associazioni, persone che sono riuscite a trasformare i diversi punti di vista delle persone in ricchezza collettiva, che si manifesta nell’associazione. Sono splendidi esempi di come il dialogo, la cooperazione, la volontà di raggiungere obbiettivi benefici possa superare ogni tipo di barriera. L’associazionismo è una miniera d’oro da cui ogni giorno scaturiscono pepite che sono fonte di ricchezza per tutta la comunità nazionale. Sbagliato non rendersene conto, sbagliato non utilizzare queste grandissima risorsa per superare i limiti che il nostro apparato statuale contiene. La Repubblica deve mettere a frutto questo straordinario patrimonio. Le associazioni possono e devono operare insieme agli apparati pubblici al fine di superare tutte le barriere che impediscono il raggiungimento dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutti. L’articolo 18 della costituzione vieta le associazioni che hanno fini vietati dalla legge penale.  A questo proposito è d’obbligo pensare alla mafia. La terribile organizzazione criminale che ogni giorno uccide, spaccia droga, corrompe politici e cittadini, fa opera di strozzinaggio. Contro questi enti terribili la nostra Costituzione di staglia come strenuo baluardo di legalità. Il fenomeno delle associazioni criminali va assolutamente debellato. Il nostro paese non può crescere se avrà ancora nel suo ventre tale tremenda serpe. Lo stesso vale per le associazioni segrete. La costituzione e la repubblica, come saggiamente dichiara il secondo comma dell’articolo 18, non deve permettere l’esistenza di associazioni segrete. Ognuno è libero di associarsi, ma non può farlo celando i suoi scopi e le sue finalità, non può avere un obbiettivo volto a ledere l’ordinamento statale e i principi democratici. L’esempio è la Loggia Massonica P2 che ha tramato contro l’ordinamento dello stato e che è stata debellata con estrema fatica e impegno da parte di tutte le istituzioni, La magistratura, in primis, e poi il parlamento, con la costituzione della commissione parlamentare presieduta dalla compianta Tina Anselmi nel 1981. Le associazioni segrete sono un pericolo non solo per lo stato, ma per tutti i cittadini. La P2 voleva sovvertire l’ordinamento democratico del paese, portando grave nocumento all’intera collettività e rovesciando lo stesso ordinamento costituzionale. Altro punto da sottolineare è l’assoluto divieto di costituire organizzazioni di carattere militare. La forza deve rimanere prerogativa dello Stato. Nessun cittadino deve farsi giustizia da sé. Ma in questo articolo si vuole stigmatizzare la pratica del fascismo e, in alcuni casi, del comunismo, che in passato si sono armati e hanno portato il terrore nel nostro paese. Le organizzazioni paramilitari sono assolutamente bandite. Nessuno può circolare liberamente armato nelle nostre strade per raggiungere finalità politiche e di cambiamento sociale. La prigione è l’unico luogo per persone del genere. Ogni tipo di organizzazione lecita deve farlo sen’armi. Insomma l’articolo 18 è uno dei fondamenti del nostro vivere insieme. L’associazionismo è un universo prezioso. Lo stare insieme, dandosi regole comuni, è un modo per essere persone migliori, per vivere la vita in comune, per sentirsi partecipe di un progetto collettivo che apra le strade a un futuro migliore.       
Testo di Giovanni Falagario                                                                          

POESIA MASCHILISTA



PROVERBIA

Un libello scritto intorno alla metà del 1100 si intitola “Proverbia quae dicitur super natura feminorum”. Non bisogna essere un latinista per capire quale sia l’oggetto del testo. È la natura delle donne. Cioè il loro carattere. L’autore, anonimo probabilmente abitante nel padovano, non è molto gentile con il “sesso debole”. Il testo è un violento libello contro i vizi, presunti, delle donne. Una storiografia delle perfide che hanno segnato la storia dell’umanità. Si inizia raccontando della peccaminosa Eva che ha indotto il povero Adamo a mangiare il frutto del bene e del male, facendo adirare Dio. Per arrivare alle perfide della storia romana e greca, fino a le regine medioevali. Lo schema poetico è simile a un poemetto francese dello stesso periodo, il Chastiemusart. Insomma il misoginismo è una costante della cultura letteraria maschile dell’Età di Mezzo e, urge subito dire, non solo di quel tempo. Dal punto di vista dello studio sintattico e lessicale, il testo de “I Proverbia” è uno strumento prezioso per capire come si stesse evolvendo la forma della lingua volgare. Tanti termini assunti dalla letteratura dotta latina, vengono trasformati e modellati, per adattarsi a un volgare che si appresta a diventare linguaggio scritto e non solo parlato come in passato. Vengono utilizzati gli articoli e le preposizioni articolate, sconosciute nel latino di Cesare e Cicerone, ma già da tempo utilizzati nelle mura domestiche in sostituzione delle complesse declinazioni, che modificando l’ultima parte della parola rendevano in antichità un soggetto diverso da un complemento di luogo, faccio un esempio. Un modello lessicale, quello articolato, non certo sconosciuto in passato, il Greco Antico già conosceva gli articoli, ma non c’è dubbio che è una rivoluzione nell’occidente latino che forgerà anche le lingue germaniche. Infatti anche l’Inglese ed altre lingue non latine acquisteranno lo strumento delle preposizioni semplice o articolate come unico strumento per distinguere la posizione di un nome nella frase e l’azione che descrive. Per paradosso l’unica lingua che conserverà il sistema “dei casi”, come la grammatica chiama l’abitudine antica di modificare l’ultima parte di un nome per individuare la sua posizione grammaticale nella frase, è il Tedesco, la lingua barbara per antonomasia.
Ma torniamo la tema del racconto dei “Proverbia”. La donna è il male. È la causa stessa del peccato. È lo strumento del demonio per portare l’uomo lontano da Dio. Probabilmente è il concretizzarsi poetico dell’opinione che la sessualità è per sua natura una attività peccaminosa. L’autore si dichiara Cristiano. Per tale ragione non pensa minimamente di considerare Maria, la madre di Gesù, come le altre femine. Ma non è da scartare che la caratteristica che per lui rende la Madonna santa sia proprio la sua verginità. Cioè il non aver mai indotto in tentazione, scusate la franchezza, il proprio marito Giuseppe, anche lui casto, e nessun altro. Insomma l’anonimo che scrive questo poemetto considera il genere femminile lo strumento di tentazione del maschio. La Donna nella storia è solo vista come strumento lascivo che induce il guerriero o il dotto al male, a contaminarsi nella perdizione. La femmina è mezzo  del sesso. La donna è lo strumento di Satana, della grande perdizione.  Nessuna è esclusa. Tutte le donne sono pericolose. L’autore fa chiaro riferimento perfino alle suore, coloro che hanno scelto di donarsi totalmente al divino. Anche loro sono delle tentatrici. Sono capaci di far perdere la testa al chierico come al frate. Insomma questo poemetto è la summa dei pregiudizi medievali sul genere femminile. Prima di tutto, per l’autore, la donna non è capace di essere protagonista della Storia. Non è capace di poetare, di lavorare i campi, di avere un’attività artigianale. L’unico scopo è quello di portare al male. L’Anonimo rifiuta, immaginiamo scientemente, di attribuire alla donna la caratteristica che le appartiene fin dalla notte dei tempi. Cioè la capacità di donare la vita, di avere figli. Un pregio indiscutibile, un elemento che la rende assoluta garante della salvezza della specie umana. Un tema assolutamente ignorato dal poemetto. Questo ultimo aspetto è l’epifania definitiva della cultura in cui l’autore è cresciuto e ha nutrito la sua conoscenza. Una cultura che tende ad escludere ogni ruolo sociale del sesso debole. Una cultura che rifiuta di considerare la donna una persona degna di vivere in un consesso maschile. Difficile ora concludere con un giudizio sull’opera. Abbiamo detto che i “Provebia”, come molti altri scritti a loro contemporanei, sono fondamentali per capire l’evoluzione del linguaggio dal Volgare all’Italiano, come sarà quello, per fare un esempio, di Dante. Sono anche strumento per conoscere come era pensata la vita fra uomini e donne in quei tempi. Altro dire, però, quale era realmente. E’ facile pensare che nel Medioevo la donna era sì pensata come sottomessa al maschio, ma avesse comunque un ruolo fondamentale all’interno non solo della famiglia ma anche delle istituzioni comunali e signorili. Insomma le donne erano spesse volte facitrici dei propri destini e di quelli altrui. Un esempio è Costanza di Altavilla, membro della casa regale Normanna che istituì il regno di Palermo e moglie e madre di due imperatori del Sacro Romano Impero: Enrico VI e Federico II di Svevia. Ma ci sono altre solo donne famose e importanti da ricordare: Caterina da Siena, Chiara d’Assisi fra le religiose. Insomma il poemetto “Proverbia” è si il testimone di una cultura e una società di pregiudizi, ma non tutta la comunità e la storia medievale può essere spiegata in base all’assunto che la donna era destinata a un destino di segregazione. La storia, pian piano, da alla donna un destino da protagonista, e forse proprio questo fatto spinge alcuni uomini ad usare la poesia non per osannarla, come faranno gli stilnovisti, ma per denigrarla.

sabato 18 aprile 2020

IL RE E' NUDO


IL GIULLARE
E' d'obbligo, prima di parlare della figura storica del giullare, ricordare il maggiore studioso e il più grande rievocatore del XX secolo di tale figura. Parlo di Dario Fo. Le sue commedie di ambientazione medievale, fra le quali la più conosciuta "Mistero Buffo", hanno come protagonista questa figura arcaica. Il Giullare è il libero. Libero di dire ciò che vuole al re come al papa. Libero di girovagare nelle province, essendo intoccabile, perché latore di un messaggio che ha quasi le sembianze del divino. Un divino che è quasi classico, il Giullare è il Fauno o Dionisio, non è certo una figura cristiana. Il Giullare è colui che può prendersi beffe di qualunque persona. Colui che può infrangere le rigide regole del Medioevo, l'età in cui opera. Colui che può parlare al nobile come al contadino, in un tempo in cui la convivenza fra persone di diverso censo era considerata addirittura sacrilega. Dario Fo scrive diverse commedie in cui il giullare diviene il creatore di un linguaggio nuovo, capace di sfondare tutte le barriere sociali e di farsi capire da tutti. Probabilmente anche i giullari storicamente vissuti avevano tali caratteristiche. Erano capaci di parlare nelle città comunali nascenti, in cui il ceto artigiano cominciava a prendere le redini del potere, e nei castelli in cui la rigidità della scala sociale imponeva che tutti dovevano essere sottomessi al signore. Il Giullare aveva invece diritto, come matto cioè libero dalle rigidi regole censuarie e nobiliari, di non "avere peli sulla lingua". Il re poteva essere sbeffeggiato, si potevano raccontare le sue storie d'amore illecite, le sue malefatte, i suoi atti di ingiustizia. Il Giullare aveva una sorta di nullaosta, non gli era negato, quando recitava, di raccontare il vero anche se questo fosse composto di oscure realtà. Insomma il teatro diventa uno strumento per disvelare le realtà più crude. Mi viene di rievocare il tema "del sipario spezzato" di Luigi Pirandello. L'autore siciliano dell'Ottocento/Novecento chiama con questo temine la capacità di lambire il vero, pur essendo questo quasi inafferrabile, da parte dell'arte. Il teatro riesce a raccontare l'essenza delle cose e degli esseri umani, rompendo le regole non solo sceniche ma anche sociali e riuscendo a raccontare cosa c'è, anche nella sua pochezza, dietro la figura del giudice, del politico, dell'intellettuale ma anche dietro la figura della mamma o del papà. Insomma l'arte teatrale nella sua finzione riesce a raccontare che la vita è finzione e a spronare alla ricerca dell'essenziale dell'esistenza. In ultima analisi il provocare, il dissacrare, il rompere gli equilibri sociali è il modo per scoprire quello che i filosofi chiamano l'Essere. E' questo l'obbiettivo dei Giullari. Vogliono raccontare una verità che va oltre gli schemi sociali della loro epoca. Vogliono raccontare non il contadino o il mercante del 1200, ma vogliono raccontare l'Uomo e la Donna nella loro valenza assoluta. Vogliono raccontare la Donna? Si! Perché bisogna aggiungere che il Giullare, in un contesto patriarcale e maschilista, riesce a sbarazzarsi anche dei pregiudizi sessisti. Tanto è vero che nelle compagnie girovaghe comincia ad avere un ruolo anche la donna. Insomma la poesia giullare è nel Medioevo, come ancora oggi, un modo per rompere tutto ciò che artificiale, E' la capacità di incrinare la finzione con la finzione.E' insomma la capacità di raccontare quello che non funziona e soprattutto la verità attraverso la finzione scenica e la poesia. E' quell'arte di mezzo, La Commedia, che Dante Alighieri considererà lo strumento migliore per poetare, che racconta ai propri lettori o spettatori i mali e il bene della cultura comunale. Un ultima considerazione: l'arte giullaresca è libera dagli schemi. Per questo motivo è l'unico mezzo poetico che utilizza sia il latino classico che il volgare per esprimersi. Al Giullare, quando esercita la sua arte, tutto è concesso, anche fare una miscellanea di stili e di linguaggi. Insomma il suo lavoro anche nella rettorica e nella sintassi è sempre libero.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 17 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”

Il diritto di riunirsi è sancito dalla Costituzione nell’articolo 17. Questo principio è fondamento della partecipazione democratica di ogni cittadino alla vita sociale. Incontrarsi in uno stesso luogo per discutere di argomenti di diversa natura è una palestra per accrescere lo spirito di confronto e il senso di appartenenza civica che deve caratterizzare ogni comunità di persone. Scegliere di partecipare a delle riunioni è la manifestazione della capacità di ogni singola persona di voler vivere un’esperienza di cittadinanza attiva. Il diritto di riunirsi durante il regime fascista era disincentivato. Le forze di polizia regie avevano indicazione di considerare il dialogo fra più persone in pubblica piazza quale atto di per sé sedizioso. Se un numero, anche esiguo,  di cittadini discuteva pubblicamente di argomenti vari poteva essere condotto in caserma e accusato di cospirazione. I padri costituenti hanno voluto rovesciare questa tesi. Hanno inciso nella Carta Costituzionale la libertà di riunione quale diritto fondamentale del cittadino. Niente più barriere al dialogo, niente più ostacoli al confronto in Italia si può e si deve proferire parola liberamente, esprimere le proprie idee, manifestare la propria formazione culturale e ideale liberamente. Le riunioni dei cittadini possono essere definite in più modi. Si dice che le riunioni occasionali causate da una situazione eccezionale e imprevista siano da denominare “assembramenti”. Questi avvengono in caso di repentina riunione di moltitudini di persone a casa di eventi di richiamo improvvisi. Può definirsi assembramento l’accalcarsi di persone che guardano sgomenti un incidente stradale. In questi casi le forze dell’ordine possono ritenere necessario allontanare gli accorsi per evidenti motivi di sicurezza. Ma assembramento può essere anche il precipitarsi nelle strade di fronte a un atto grave condotto da diversi soggetti che ha prodotto la repentina indignazione di coloro che assistevano all’episodio increscioso. In questo caso sta alla sensibilità delle autorità di sicurezza determinare se è il caso o meno di sgombrare i luoghi. Devono tener conto che è loro dovere rispettare la manifestazione popolare di indignazione, eventuali atti di sgombero dovrebbero essere compiuti solo e unicamente se c’è l’imminente e chiaro pericolo per l’incolumità e la quiete pubblica. Le dimostrazioni invece sono incontri di persone preventivamente organizzato da un gruppo di persone denominato “comitato promotore”. Se avvengono in un luogo pubblico e all’aperto (in spazi non privati), devono essere comunicate alle autorità di polizia, queste ultime non possono proibirle, devono eventualmente predisporre tutti gli strumenti pubblici per garantirne il loro pacifico svolgimento. Una manifestazione può essere proibita solo e unicamente se potrebbe essere latrice di atti violenti e di sommovimenti sociali. La costituzione è chiara ci si può riunire ma solo senz’armi. La violenza è assolutamente bandita dalla vita italiana, almeno così dovrebbe essere. La libertà di riunirsi cessa se la ragione dello stare insieme è volta a enfatizzare l’odio razziale, l’odio sociale, etnico e contro determinate minoranze. Le riunioni in luogo chiuso non necessitano dell’autorizzazione della questura. Non ci sono in questi casi le necessità volte a garantire l’ordine pubblico. Il riunirsi, ad esempio, in un teatro non necessita dello sforzo dell’autorità di mettere a disposizione un apparato di vigilanza pubblica atto al normale fluire dell’evento, di conseguenza non serve il preavviso. Insomma le riunioni al chiuso, anche se pubbliche, non necessitano di autorizzazione. Tanto più vale lo stesso principio per le riunioni private, non segrete, in cui partecipano, ad esempio, i soli iscritti a circoli culturali o partiti politici. Insomma si può vietare una manifestazione pubblica solo se è considerata sediziosa. Volta ad accendere l’odio e la violenza. Il diritto di riunirsi liberamente è una conquista democratica di inestimabile valore. La democrazia si arricchisce quando ha una comunità di cittadini disposta ad impegnarsi con afflato etico e con impegno sociale e politico scendendo in pizza, esprimendo le sue idee, divulgandole all’intera comunità. I grandi moti sociali, quali ad esempio le manifestazioni palermitane dopo la brutale uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, sono la manifestazione dell’impegno solidale della cittadinanza volto a costruire una società più giusta. Ho fatto solo un esempio di manifestazione volta al bene collettivo. Ce ne sono state altre, molteplici, nella storia repubblicana. Ricordiamo le manifestazioni degli anni ’70 del secolo scorso contro il terrorismo politico di qualsiasi colore. Insomma l’esercizio del diritto di riunione è un modo per crescere dal punto di vista coscienziale. Chi partecipa a queste manifestazioni, con lo spirito giusto, accresce la propria anima e la collettività.

venerdì 17 aprile 2020

MORTO LUIS SEPULVEDA



VOLA, CHI OSA FARLO

Sono le parole che Zorba, una gattone soriano a una gabbanella per spronarla a volare. Ma è realtà? No è ancora di più. È un racconto di Luis Sepulveda. La storia la conosciamo tutti. Un micio domestico trova un uovo. Questi si schiude ai suoi occhi. Nasce un piccolo gabbiano femmina. E il grosso felino che fa? Invece di seguire la natura è mangiarla, decide di accudirla e, addirittura, di insegnarli a volare. Questa è la trama, da me narrata succintamente, de “ Storia di una gabbianella e del gatto, che le insegnò a volare”, uno dei libri più famosi dell’autore che purtroppo è morto ieri, 16/04/2020, a causa del Corona Virus, la perfida malattia che sta mettendo sotto scacco l’intera umanità. Purtroppo uno come tanti. E’ di questi giorni la triste notizia dei decessi nelle case di cura Lombarde e di mezza Italia. Sepulveda era poco più giovane delle persone morte nel Pio Albergo Trivulzio. Aveva 70 anni. Ogni vita è preziosa. Quindi noi tutti siamo chiamati a piangere chiunque parti da questa terra. Ma Sepulveda lascia qualcosa per tutti. Lascia i suoi romanzi. Ci affida i suoi racconti. Ha percorso una vita estremamente speciale. E’ nato in Cile, il 4 ottobre 1949, ad Ovalle. E’ nel 1973 studente brillante e scrittore di fama pur essendo giovanissimo, quando nel suo paese Augusto Pinochet fa uccidere il presidente legittimo Salvador Allende e istaura una dittatura. Viene imprigionato e torturato come molti intellettuali e comuni cittadini. Riesce a scappare e trovare rifugio, prima a Mosca e poi in Spagna. Sceglierà di non risiedere più nel suo paese, anche quando nel Cile torna la democrazia. Troppi compromessi con il vecchio regime, troppa ingiustizia mai vendicata, troppi innocenti morti per pensare di trovare la riconciliazione con la sua terra. Nella sua burrascosa vita è stato perfino guerrigliero in Bolivia, entrando nell’esercito di liberazione. Ma è stata la Spagna la sua seconda madre. E’ lì che ha composto i suoi libri più importanti. Ricordiamo fra gli altri “Diario di un Killer sentimentale”, “il mondo alla fine del mondo”, “le Rose di Atacama”. Ma vorrei ricordare “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” un libro profondo. Una meditazione sulla esistenza e sui motivi che spingono gli uomini a continuare ad esistere pur nelle immani difficoltà. E’ un testo che richiama le tematiche di un altro scrittore Sud Americano, Gabriel Garcia Marquez. Un richiamo alla lotta interiore tra la volontà di emergere umano e il bisogno di dormire cullato dai sentimenti e dalle rimembranze familiari. Un libro bellissimo che è la esplicitazione di alcune tematiche che sono a fondamento di ogni filosofia dell’umano. Cosa stiamo a fare sulla terra? Quale destino abbiamo? E come essere felici accontentandosi del poco che la vita ci ha dato, di fronte alle tante promesse che ci aveva fatto. Luis aveva avuto tanto dall’esistenza. Successo, fama, gloria e soldi erano suoi. Ma crediamo che le cose che amasse di più, dei tanti doni che la vita gli aveva dato, erano due: l’amore ricambiato per la poetessa, anch’essa cilena, Carmen Yanez e l’abbraccio del suo pubblico che affettuoso non solo leggeva i suoi libri, ma letteralmente pendeva dalle sue labbra nelle sue conferenze. Proprio l’ultima, in Spagna, gli è stata fatale. Lì ha contratto il Corona Virus che lo ha portato alla morte. Noi non possiamo far altro che piangere un testimone della nostra epoca. Ha raccontato il mondo prima della caduta del muro di Berlino. Ha narrato le paure e le angosce umane dopo il fatidico 11 settembre 2001, quando un aereo fece crollare le Torri Gemelle a New York. Ha parlato di tutte le gioie della nostra epoca, assieme ai dolori. Ed è forse il senso del libro “La gabbianella e il gatto” va proprio cercato nel suo cocciuto convincimento che l’unico modo per diventare migliori, per imparare a volare, è saper ascoltare l’altro anche se il prossimo ha le sembianze di un gatto (il nemico) mentre tu sei un volatile (il gabbiano). E’ un richiamo esplicito all’Albatros di Baudelaire, questo volatile trova la morte a causa dei terrestri crudeli e non può più volare alto, mentre il gabbiano trova il volo e la vita attraverso un paffuto e, apparentemente, famelico felino. La solidarietà è lo strumento migliore per vivere la vita. Louis lascia noi e la sua compagna con un  senso di tristezza infinita che la sua letteratura, che rimane, riuscirà a colmare.

giovedì 16 aprile 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



VIAGGIO INTORNO ALLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 16

“ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e rientrarvi. Salvo gli obblighi di legge”

Continua la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana da parte di “Racconto a mano libera”. Per ricordare che sono passati settanta anni fra l’oggi e l’anno della promulgazione della nostra Carta Fondamentale abbiamo deciso di riportare tutti i lemmi del testo giuridico che è a fondamento dell’ordinamento repubblicano. Quest’oggi ci accompagneranno le splendide parole dell’articolo 16. La libertà di movimento, la libertà di viaggiare e sostare nei luoghi che più ci aggradano, è un diritto stupendo. Ci offre la libertà di scoprire nuovi luoghi, di scorgere la molteplice bellezza che caratterizza il nostro splendido paese. Lo spostarsi è uno degli atti che hanno caratterizzato il genere umano fin dalla sua nascita. I nostri avi nella preistoria, per lo più raccoglitori, hanno sempre viaggiato alla ricerca di cibi migliori e di terre amene. I nostri costituenti hanno sentito l’esigenza di scrivere nella nostra carta fondamentale questo diritto inviolabile. Per millenni le convenzioni sociali, i diritti locali, gli usi, le imposizioni statuali hanno reso impossibile la reale libera circolazione delle persona. I confini, che separavano le città comunali le une dalle altre nel nostro Medioevo, hanno reso per millenni impossibile muoversi senza avere un lasciapassare da parte del signorotto locale. L’unità nazionale, faticosamente raggiunta nel 1861, ha reso possibile l’abbattimento delle frontiere che dividevano le nostre regioni. Ma l’avvento della monarchia sabauda non ha abolito l’istituto del confino, una pratica che imponeva a un soggetto di soggiornare obbligatoriamente in un luogo. Questo istituto fu utilizzato largamente dal regime fascista contro coloro che erano considerati oppositori politici del regime. Oggi applicare l’istituto del confino non è più possibile, nessuno può essere costretto a dimorare in un luogo per ragioni legate al suo credo politico, l’articolo 16 nega esplicitamente e con forza la possibilità di applicare l’istituto del confino. Tutti i cittadini italiani possono circolare liberamente all’interno del suolo nazionale. In quanto cittadini europei possiamo anche liberamente circolare nei territori in cui gli stati che hanno aderito al trattato di Schengen esercitano la propria sovranità nazionale. Il Trattato di Schengen è l’accordo fra alcuni stati, non tutti, che aderiscono alla Unione Europea che istituisce la cosiddetta “cittadinanza europea”, che dà ai cittadini dei singoli stati aderenti diritti e doveri nuovi e propri di coloro che fanno parte di questa comunità stras nazionale. Uno di questi diritti, forse il più importante, è quello di stabilirsi in qualsiasi stato aderente senza alcun obbligo di richiedere permessi di soggiorno, di studio o di lavoro, oneri che gli stati impongono agli stranieri. Urge a questo punto notare che la libertà di circolazione, per esplicita enunciazione dei padri costituenti, è un diritto non generale, ma proprio del cittadino italiano, e oggi europeo. Chi è nato in nazioni lontane non ha diritto di circolare e soggiornare liberamente nel nostro stato, la sua presenza nel nostro paese deve essere autorizzata dalla nostra autorità nazionale. Questa visione è il lascito di una cultura in cui la difesa dello stato nazione da invasioni stranieri era sentito come necessità. Lo straniero è visto come un pericolo. La parola “ospite” ha la stessa radice del termine latino di hos (nemico). Lo straniero è il nemico sempre e comunque nella tradizione classica. Da quando ci sono gli stati e i confini, chi proviene da fuori è purtroppo considerato un nemico. L’esistenza di barriere e di controlli che regolamentano i flussi delle persone straniere è purtroppo necessaria. E’ necessario controllare chi proviene da lontano, identificandolo e accogliendolo. Detto questo è giusto sottolineare come l’avversione e l’ostilità verso l’altro ha sempre e solo portato lutti. Quando si sono costruite barriere fra gli stati e i popoli sono crollate rovinosamente provocando morti. E’ d’obbligo ricordare la cosiddetta “Linea Maginot” che doveva separare, confine invalicabile, la Francia e la Germania agli albori del XX secolo, non ha prodotto altro che i milioni di morti della Grande Guerra (1914/1918). I confini non proteggono, uccidono. Pensiamo  ai tanti morti che sono spirati cercando di valicare il “Muro di Berlino”, il terribile confine fra la Germania Est e quella Ovest, cosa che avveniva fino all’anno 1989. E’ d’obbligo pensare, quindi, a una politica saggia volta all’inclusione, non certo all’esclusione. Dare la possibilità a tutti di viaggiare di stabilire liberamente il luogo in cui risiedono è motivo anche di ricchezza. Perché la libertà di circolazione dà la possibilità, anche, di aprire attività, lavori, liberamente in ogni luogo del paese. Un avvocato lombardo può aprire uno studio a Canicattì. Un imprenditore siciliano può aprire una fabbrica in Veneto. Anche la libera circolazione dei beni e delle ricchezze è un elemento legato alla libera circolazione delle persone, è meglio non dimenticarlo. La legge può limitare la libera circolazione dei cittadini solo per motivi di sanità e sicurezza. Urge sottolineare quindi che è solo la legge, una norma scritta che può limitare la libertà di spostarsi. In più questa legge è, come si suol dire con linguaggio giuridico, rinforzata. Nel senso che questa legge, che vieta il libero circolare dei cittadini all’interno dello stato, deve essere motivata da ragioni tassativamente elencate dalla norma costituzionale: queste ragioni sono: la sanità e la sicurezza pubblica o del singolo. In caso contrario la Corte Costituzionale deve farla decadere e renderla inapplicabile con sentenza. Insomma la repubblica può limitare la libera circolazione o per scongiurare epidemie, e quindi per ragioni di profilassi. O per ragioni di sicurezza pubblica, pensiamo al confino imposto a persone che sono state condannati per reati mafiosi, costretti al domicilio coatto dopo aver scontato la propria pena. Sono norme necessarie. Nel primo caso per garantire la salute pubblica. Nel secondo caso per combattere fenomeni criminali, quali le associazioni malavitose, che sono un vero cancro per il tessuto sociale. L’ultimo comma dell’articolo 16 è importantissimo. Proclama la libertà di movimento. Tutti i cittadini italiano hanno piena libertà di uscire e rientrare nel suolo patrio. Non sono ammessi divieti di espatrio, come avveniva ad esempio nei regimi comunisti nell’Europa Orientale. Ognuno è libero di raggiungere terre lontane per motivi di svago, viaggio, lavoro o per accrescere le sue conoscenze culturali. Uniche restrizioni possibili a questa libertà sono gli obblighi di legge, cioè una norma potrebbe limitare questa libertà a persone che hanno svolto particolari atti99vità all’estero tali da essere reputati pericolosi per la Repubblica. Ad esempio coloro che hanno svolto attività diplomatiche per stati stranieri, oppure hanno fatto il servizio militare per potenze straniere, questi potrebbero avare un divieto di ritorno nello stato italiano e, addirittura, perdere la cittadinanza patria. A parte questi casi estremi, in cui la sicurezza nazionale prevale sul diritto di libera circolazione del singolo cittadino, la regola della libertà di movimento è la preminente, non è un caso che le autorità preposte al rilascio del passaporto, quindi che autorizzano l’espatrio, non devono mai sindacare sulle ragioni del viaggio o sulla integrità morale del richiedente, il loro compito è solo appurare che non vi siano condanne penali o altre ragioni di natura fiscale o legate al diritto di famiglia e commerciale che ostano il rilascio del documento d’espatrio al singolo richiedente. Insomma la libertà di circolazione, la libertà di spostarsi, di lavorare, di dormire, di mangiare dove più ci aggrada è una delle più belle conquiste della nostra repubblica.
Testo di Giovanni Falagario

MEDIOEVO E SAPERE



LE SCUOLE COMUNALI

Nel Nell’Alto Medioevo l’istruzione era di fatto monopolio della Chiesa. Nei conventi e nelle grandi abbazie si studiavano i testi sacri ma anche i grandi classici del passato, soprattutto latini ma anche greci. Nel Basso Medioevo,nel 1200, per dare una data indicativa, le cose mutano alquanto. Nascono le prime grandi università. Bologna e Parigi, ad esempio, ne possedevano una già da un secolo. Insomma la Cultura non è più nelle mani del clero, ma anche di un ceto laico che vede nella conoscenza lo strumento per far progredire socialmente le comunità cittadine e rurali. Le università sono istituzioni apicali nell’albero della conoscenza. E’ bene che siano curate le radici, cioè le basi della conoscenza, per poter avere foglie frondose, cioè le grandi ricerche letterarie e scientifiche. Ecco perché nel 1200 nacquero i primi ginnasi pubblici e soprattutto laici dell’Età di Mezzo. Il modello era, inevitabilmente, il modello di erudizione della Roma repubblicana e imperiale. Durante il periodo classico c’era una duplice presenza di insegnati, i precettori cioè coloro che educavano alcuni pargoli delle gens, il maestro più noto fra questi fu Seneca educatore di Nerone, poi c’erano una quantità innumerevole di insegnati da strada, passatemi il termine, cioè educatori che letteralmente si fermavano nei crocevia e davano lezione ai ragazzini in grado di compensarli. Questa duplice forma di insegnamento, abbinata in alcuni periodi a una vera e propria scuola pubblica pagata con le casse erariali, aveva fatto in modo che fossero pochissimi gli analfabeti sotto le insegne dell’Impero di Roma. Lo stesso modello fu cercato di applicare nel comuni italiani dell’età di mezzo. Esempio fulgido fu Bologna. Il Comune istituì una scuola a sue spese, primo esempio nel secondo millennio dalla nascita di Cristo. La ricca e dotta città della Pianura Padana allestì scuole pubbliche di poesia e di retorica, di diritto e di medicina. In questi consessi per la prima volta si abbinava al latino classico lo studio del volgare, cioè quella lingua che diventerà l’italiano. Insomma i comuni non solo tolsero il monopolio della cultura al mondo ecclesiale, ma cambiarono radicalmente lo strumento di apprendimento. Si conosceva, si faceva di conto, si discuteva dei grandi eventi del passato, nella lingua domestica. Si parlava di Giulio Cesare usando di stessi vocaboli con cui si chiedeva alla propria madre un piatto di minestra. Un cambiamento epocale, una scelta che mutava tutte le basi della dialettica e della didattica. Qui comincia la storia dell’Italiano come strumento per raccontare le passioni, attraverso la poesia, le cronache, attraverso la storiografia, ma anche gli eventi istituzionali e politici dei singoli stati o città. Da quel momento perfino le bolle e i decreti delle assemblee e degli uffici monocamerali dei Comuni venivano scritti e presentati alla cittadinanza in Italiano, o per meglio dire in quel proto italiano che si parlava in maniera diversa a seconda di quale landa dell’Italia avesse visto i natali del proferente. Comincia a nascere la modernità. Il nuovo, il futuro, acquista non solo coscienza di sé ma anche un proprio linguaggio. Se il medioevo dei barbari aveva visto il latino quale strumento indispensabile per tutelare la cultura millenaria del Mediterraneo e non solo, il volgare del medioevo maturo è lo strumento per costruire una civiltà nuova. E’ il mezzo per porre le fondamenta di un Rinascimento che vorrà dire monumenti sfavillanti, opere pittoriche magnifiche e una letteratura capace di rimanere una fonte di ispirazione e di conforto nei secoli, tanto è vero che ancor oggi si legge Dante, Petrarca, Boccaccio e tutti i gradi scrittori di quel tempo. Insomma la nascita delle scuole comunali, soprattutto quella di Bologna, ha posto le basi per la rinascita culturale non solo di quella città, non solo dell’Italia, ma dell’intera Universtisas Christiana, come era denominata allora l’Europa. Quei maestri, quei politici, quei borghesi che hanno creduto nella istruzione dei piccoli quale strumento di progresso della società, vanno ringraziati. Senza quelle comunità di discenti e insegnati la storia del mondo sarebbe stata certamente meno bella. E’ bene ricordare che anche Firenze, quella città che per ragioni oggettive è considerata la culla del nostro dire, prenderà ben presto l’esempio di Bologna. Lo stesso faranno le grandi Milano, Torino, Padova e Palermo con Napoli, ma queste due ricordiamolo erano sotto un re era il monarca che decideva anche dell’istruzione. Federico II, lo stupor mundi, fece sorgere l’università di Napoli. Malgrado queste differenze che bisogna annotare, anche il Sud d’Italia partecipò con vigore allo slancio culturale che fece nascere l’Italiano e la sua cultura. In ultima battuta è doveroso ricordare realtà più piccole, ma non meno essenziali per lo sviluppo della cultura e istruzione, come Vicenza e Ferrara.
Testo di Giovanni Falagario