SCUOLA POETICA SICILIANA
Siamo nel 1200. A Palermo c'è la più importante e illustre corte del tempo. Il re di Sicilia è Federico II. Il monarca dell'isola è anche incoronato imperatore di tutto il mondo cristiano. Sarà denominato dai suoi contemporanei "Stupor Mundi", lo stupore, lo splendore, del Mondo. Si attornia di decine di centinaia di intellettuali. Scienziati, cartografi, poeti, giuristi affollano la sua corte. Attorno a lui nasce una nuova poetica. Lo stesso Federico II si diletta nello scrivere. A lui sono attribuiti sonetti e saggi, il più famoso è "ars venandi cum avibus", un interessantissimo trattatello di come si deve addestrare e utilizzare per cacciare i falconi. Federico II è un dotto. Conosce diverse lingue. E' sedotto dalla cultura scientifica e matematica del mondo arabo. Non è certo, ma è probabile che il Castel del Monte, la monumentale struttura sorta su una collina vicino Andria, abbia voluto che sia stata costruita secondo i canoni dell'allegoria alchemica, al fine che ogni parte del monumento rappresenti o la natura o uno strumento uso all'uomo per conoscere i misteri naturali. Insomma il Castello è una enorme e criptica enciclopedia naturale. Ma la scuola siciliana non è solo il suo fondatore. Si annoverano fra i suoi adepti autori come Guido Colonna. Il dotto è stato a Messina giudice fra il 1243 e il 1248. Ha scritto decine di componimenti poetici ispirati al modello dei trovatori provenzali che operavano al tempo nella Francia Meridionale. E' l'esemplificazione dell'intellettuale siciliano del tempo. Allo stesso tempo uomo di lettere, di scienza e di diritto. Infatti tutti gli uomini di Federico erano allo stesso tempo finissimi scrittori e tecnici della macchina statale. Bisogna ricordare che i poeti quando scrivevano i propri sonetti lo facevano in siciliano, in lingua volgare, ponendo così le basi per la nascita dell'Italiano, cioè una lingua della poetica comune a tutti gli artisti della penna della penisola. Si dilettavano a cantare il proprio amore per le donne, osannavano le loro innumerevoli virtù, ma erano anche strumenti preziosi utilizzati dall'imperatore per mettere a punto un sistema statale nato in pieno Medioevo, ma che aveva le fattezze e le finalità di uno stato moderno. Federico aveva una visione direi quasi profetica del suo regno. Le terre che dominava dovevano essere tutte funzionali, si, a reggere il suo potere, ma anche a rendere possibile lo sviluppo armonico di ogni attività umana. I commerci erano garantiti e incentivati dall'attività statuale. L'agricoltura e la pastorizia, da sempre fonte di non solo di sostentamento ma anche di ricchezza per tutto il Meridione Italiano, erano razionalizzati. I fondi dei signori locali erano armonizzati ai bisogni dalla Curia, la corte di Federico II. Artefice di questo miracolo è il più grande dei poeti siciliani. Nato a Capua intorno al 1190. Fu un giurista di indubbia fama. Fu un fine conoscitore della scuola giuridica napoletana, che fondava le sue radici direttamente nella tradizione dello ius romano. Conobbe i dettami della scuola medica salernitana, la prima palestra di medici e anche intellettuali che il mondo medievale abbia mai conosciuto, nata ancor prima delle grandi università. Federico II lo volle a Palermo. Era lui che doveva guidare la Magna Curia Imperiale. Doveva gestire sia le finanze sia ogni tipo di attività del regno. Potremmo dire, ovviamente per semplificare, che svolgeva il ruolo di Primo Ministro. Mi rendo conto che utilizzare questo termine per un regno del 1200 è un po' arrischiato. Tutti i poteri erano e rimarranno per lungo tempo in mano al solo monarca. Ma certamente Pier delle Vigne aveva il prezioso compito di coordinare ogni attività a Palermo.E' lì che scrisse i suoi sonetti, i più famosi legati alla comunione di intenti intellettuali con Jacopo da Lentini, un altro grande intellettuale e sensibile poeta. E' triste la fine della fortuna di Pier delle Vigne. L'imperatore, sempre sospettoso, lo tacciò di essere traditore. Federico II aveva maturato addirittura la convinzione che fosse un corrotto. Paradossalmente il cantore del potere imperiale, Pier delle Vigne fu accusato di essere in combutta con il papa Innocenzo IV, allora terribile avversario del monarca siciliano. Per questo fu arrestato a Cremona, dove si trovava per svolgere le proprie funzioni di funzionario imperiale. Fu accecato e imprigionato. Ignota è la causa della sua morte avvenuta in un maniero - prigione toscano nel 1249. Secondo Dante Alighieri, Pier delle Vigne si sarebbe suicidato. Il poeta non avrebbe retto all'accusa infamante di tradimento. Non avrebbe accettato l'idea di essere marchiato come colui che aveva voltato le spalle a Federico II, il grande imperatore e re chiamato a riequilibrare le sorti dell'intera umanità. Ecco perché Dante lo fa personaggio tragico e potente del canto XIII dell'Infermo, la parte della Commedia dedicata a coloro che "volgono la violenta mano contro se stessi", cioè i suicidi. Pier delle Vigne così non è solo un personaggio storico, non è solo un dotto poeta dell'amore cortese, non è solo uno dei più importanti giuristi dell'età di mezzo, ma è anche uno dei protagonisti assoluti dell'opera del Fiorentino che ha avuto l'ardire e l'abilità di cantare l'Oltretomba. I versi che l'Alighieri gli dedica rimangono fra i più importanti dell'intera letteratura italiana e mondiale. Che cosa dire? Rimaniamo solo fascinati dal grande Pier delle Vigne. Ad onore del vero, secondo alcune ricerche storiche sembra che il Notaio di Capua avesse realmente allungato le mani su qualche rilevante somma dello stato siciliano. Insomma secondo alcuni storiografi avrebbe veramente rubato, e non sarebbero state del tutto peregrine le accuse di Federico II. Questa tesi contrasta fortemente dalla tradizione storica, abbracciata anche da Dante, che vede Pier delle Vigne quale martire delle dicerie cortigiane e Federico un insensibile al vero, almeno in questo frangente, influenzato dalle male lingue. Il dibattito è lungo e complesso. Agli scienziati della storiografia l'ardua ricerca. A noi semplici lettori rimane l'arte e l'umanità di un Pier delle Vigne sommo rappresentante della scuola poetica siciliana.
La poesia trobadorica nella Sicilia di Federico II è bellissima
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