LAUDATO SII..
Uno dei più antichi testi in lingua volgare, in italiano, è sicuramente il Cantico delle Creature. Scritto da San Francesco d'Assisi presumibilmente nel 1224. Pochi anni prima di morire, infatti la sua dipartita dal mondo terreno fu nel 1226. Francesco è senza dubbio uno dei più importanti autori in lingua italiana al momento della nascita del nostro linguaggio. Prima della sua generazione la lingua scritta era solo il latino. I volgari erano utilizzati solamente per il linguaggio colloquiale. Come ogni lingua, anche il latino aveva modalità di espressione diverse e parallele a seconda che si proferisse nei mercati o si scrivesse una cantica poetica. L'Italiano, come la totalità delle lingue neoromanze (Francese, spagnolo etc), nasce nelle cucine, nei vicoli, nelle campagne. E' il modo di esprimersi non solo della plebe, ma anche delle famiglie dabbene quando si sta in famiglia. Francesco sceglie questo linguaggio per esprimere la sua ricerca di Dio. E' un modo per mettere in comune la sua tensione spirituale con i fratelli. Francesco racconta l'armonioso equilibrio del creato attraverso una lingua "bassa", cioè utilizzata dal popolino. E' un modo per ricordare che Gesù è venuto non per i dotti, ma per tutti. E' proprio questo che insegue il Poverello: cercare l'armonia fra Dio, l'uomo e il creato. L'uomo è chiamato a custodire e a contemplare la miracolosa opera del Signore che si manifesta attraverso la natura. E' Dio che racconta i suoi disegni attraverso lo sbocciare di un fiore, il crescere di una pianta, il pascolare di armenti. Spetta all'uomo cogliere in questi miracoli insegnamenti per condurre una vita serena. All'umanità spetta il compito di lodare il creatore per le sue splendide creature. Ma il Cantico delle Creature non è un idilliaco quadro poetico di contemplazione. In esso Francesco racconta la propria sofferenza terrena (Laudato sii mi Signore per sora morte corporale), racconta come si sta spegnendo lentamente a causa di una vita donata interamente al prossimo. E' un abbandonarsi a Dio definitivamente, dopo che per tutta la sua predicazione ha confidato in lui. Non è un caso che Francesco sia stato considerato e lo è tuttora, immago Christi (immagine di Gesù). Anche lui, come il Nazareno, si è affidato a Dio nel momento estremo della morte. Francesco sa di non essere Gesù, sa che nessun uomo potrà essere come l'uomo nato a Betlemme, ma vuole incamminarsi sulla strada che il Figlio di Dio ha tracciato. Vuole farsi servo fra i servi, esattamente come fece Gesù lavando i piedi dei propri discepoli. Francesco sa che è questa l'unica strada che lo porterà alla contemplazione del Creatore. Noi sappiamo che Francesco fino all'ultimo rimase fedele all'idea di fedeltà ai dettami evangelici. Veramente fu il novello Cristo aspettato nella sua epoca. Ma Francesco non lo sapeva. Fu fino all'ultimo così umile e parco, da non riconoscere mai la grandezza dei segni che lasciava. Non riconobbe l'elevata riflessione che compiva attraverso le sue opere morali e spirituali. E' proprio per questa sua modestia, per questo suo senso di finitezza che riconosceva in tutta la sua vita, che è uno dei santi più importanti. La Natura come dono di Dio agli uomini è il messaggio fondamentale, ma non l'unico, che ci ha lasciati.
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