ARTICOLO 19 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria
fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associativa, di farne
propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si
tratti di riti contrari al buon costume”
L’articolo 19 della costituzione fonda la propria ragion
d’essere nell’articolo 3 della stessa carta. Il principio di uguaglianza,
iscritto nel terzo articolo costituzionale, dà il diritto a tutti i cittadini
di professare il proprio credo religioso. Nessuno deve essere discriminato in
base alle sue credenze sull’aldilà. L’articolo 19 offre a ogni cittadino una
libertà personale, un diritto universale e inviolabile di libertà religiosa che
non può essere intaccato da nessuno, né da altre persone né dall’autorità
statuale. Questo articolo è legato all’articolo 8 della stessa carta che
afferma che tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge. Il 19
dice qualcosa di più e di diverso. Afferma che il singolo uomo e la singola
donna sono libere di credere o di non credere. Afferma la libertà del singolo
di professare una fede religiosa, una libertà che spezza ogni catena e
costrizione causata da un’entità esterna che sia statuale o abbia le sembianze
di un’autorità religiosa. Quindi dà la libertà di professare una fede
religiosa. Offre la possibilità di professare il suo agnosticismo e il suo
ateismo. Insomma l’uomo è nella piena potestà di manifestare il suo rifiuto
assoluto del divino (ateismo) o la sua indifferenza verso tutte le credenze
metafisiche (agnosticismo) esattamente come è libero di professare qualsiasi
forma di credo e di venerare qualsiasi divinità. Non c’è più la religione di
stato. Nel periodo della Monarchia Sabauda lo stato riconosceva la religione
cattolica come religione di stato. Alla luce di questo i cattolici avevano nei
fatti privilegi, rispetto a coloro che avevano altre credenze. La religione del
papa e i suoi segni liturgici erano presenti nella vita pubblica dello stato,
le manifestazioni istituzionali erano accompagnati da riti cristiani. Oggi la
sensibilità verso le diverse credenze ha portato lo stato a considerare ogni
rito religioso degno di essere rispettato e inserito nel protocollo
istituzionale. La Repubblica non ha scelto di essere atea, cioè di considerare
ininfluente la religione, ma ha scelto di rispettare ogni forma religiosa. E’
un importante cambiamento di prospettiva. Malgrado l’oggettivo riconoscimento
della Chiesa Cattolica come interlocutore religioso meglio radicato nel
territorio italiano, la Repubblica dà pari dignità ad ogni religione presente
nel territorio. Il patti lateranensi, che regolamentano i rapporti fra stato e
chiesa, sono la naturale conseguenza del fatto che il cattolicesimo è la
religione della maggioranza dei cittadini italiani. Ma questo dato non deve
comportare uno svilimento del ruolo degli altri credi che sono rispettati
egualmente alla quello cristiano. Infatti lo stato sta conducendo da decenni
una politica di dialogo con tutte le istituzioni religiose di ogni credo al
fine di definire i rapporti istituzionali con esse e di rendere possibile la
libertà di fede dei singoli aderenti a queste fedi in forza dell’ultimo comma
dell’articolo 8 della stessa costituzione. La libertà di culto è un diritto
universale. Non è riservato a una parte del genere umano, i cittadini italiani
ad esempio, ma all’intero genere umano. La Repubblica non fa discriminazioni di
alcun genere chi vive nel nostro paese può e deve professare la propria fede. A
questo proposito è da citare la disputa del crocifisso, come la stampa l’ha
chiamata. Il tema era se fosse opportuno appendere il simbolo cristiano nei
luoghi pubblici, soprattutto nelle aule scolastiche. La questione è stata
sollevata da alcune famiglie con bambini in età scolare non di religione cattolica.
Le madri di questi pargoli hanno espresso la loro perplessità davanti
all’imposizione di un simbolo cristiano, appeso nel luogo ove si insegna, al
propri bambini. La questione è stata
risolta dalla corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si sono appellate le
parti, che ha invitato tutti a una maggiore tolleranza. Da una parte ha
invitato le autorità scolastiche a rispettare le singole diverse sensibilità.
Dall’altro ha riconosciuto che i simboli del cattolicesimo e del cristianesimo
sono parti integranti della cultura secolare della nazione, non possono essere
rimossi senza un grave nocumento per la formazione personale del singolo
bambino che vive in una realtà in cui la religione di Gesù è fondamento del
vivere culturale e collettivo. I segni religiosi cristiani fanno parte
dellostile di vita che si segue nel nostro paese, la loro derubricazione a
semplici moti dell’anima personale che non devono manifestarsi in simboli
esterni è praticamente impossibile. Alla luce del diritto di appendere simboli
cattolici in luoghi pubblici in nome del rispetto della sensibilità religiosa
della maggioranza, c’è il pari diritto di tutti a professare liberamente il
proprio credo. Questa libertà offe il diritto a tutti di indossare simboli della
propria religione e di avere costumi consoni ai dettami dei testi sacri a loro
cari, tranne che non siano contrari al buon costume, che non siano pericolosi o
che non siano perturbatori dell’ordine pubblico. I mussulmani hanno diritto di
vestire come credono. Le donne che credono in Allah hanno il diritto di
coprirsi il viso e il corpo, se lo credono opportuno. Urge sottolineare che la
Costituzione è chiara e precisa. Una persona può essere libera di indossare ciò
che vuole, può essere libera di coprire interamente il proprio corpo,
indossando il Burka. Quello che è vietato tassativamente è l’imposizione.
Nessuna comunità religiosa, nessuna famiglia, nessuna istituzione può imporre
al singolo una particolare condotta pubblica. Nel nostro paese una mussulmana è
libera di vivere, come si dice volgarmente, all’occidentale, nessuno può
imporgli nulla. Ciò in nome dei diritti universali della persona. Diritti che
devono essere portati anche in regioni della terra in cui la donna è oggetto di
discriminazione e di pregiudizi. Il principio di uguaglianza impone che la
donna debba essere considerata libera anche di professare la propria fede
superando i dettami maschilisti che caratterizzano la stragrande maggioranza
delle religioni. La dignità umana è un bene prezioso che non può essere
sacrificato sull’altare di nessun dio. Vorrei citare un episodio. In Italia
appartenenti alla religione sikh hanno chiesto di poter circolare nelle nostre
strade con il Kirpan il coltello rituale che ogni sikh deve portare sempre con
sé. Il kirpan è un’arma estremamente pericolosa. Ha una lama affilata di
diversi centimetri, chi professa la religione asiatica lo indossa per
sconfiggere allegoricamente il male, ma rimane uno strumento di morte che
potrebbe infliggere gravi lesioni in caso di litigi o zuffe. La corte di
cassazione, interrogata sulla questione, ha invitato i credenti a indossare
coltelli di plastica, così da rispettare il loro credo e i valori allegorici di
cui è latore, ma allo stesso tempo di evitare che si vada in giro per strada
con armi pericolose. La comunità sikh in Italia ha reagito con malumore. Per
loro è necessario circolare con coltelli veri per adempiere il volere delle
proprie divinità. La questione è complessa e lungi dall’essere pienamente
risolata. Fortunatamente però i casi in questione sono sporadici, è raro vedere
persone armate di coltello in giro nelle nostre città. Ma è il caso di proporre
questi casi quali rilevatori delle enormi questioni che il principio di libertà
religiosa può sollevare, questioni risolvibili solo con la pazienza e la
tolleranza reciproca. La libertà religiosa, però, è un bene prezioso. Dare a
tutti la libertà di credere nel proprio dio è un modo per accrescere
culturalmente l’intera collettività. La Repubblica diviene più grande se è in
grado di accogliere tutte le filosofie e le religioni del mondo. La crescita
avviene nella sincretica convergenza di più fedi. E’ bene ricordarlo: la
pluralità è ricchezza. Per questo motivo è fondamentale l’articolo 19 che dà la
possibilità ad ogni cittadino di esprimere il proprio credo e la propria fede.
Testo di Giovanni Falagario
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