LE SCUOLE COMUNALI
Nel Nell’Alto Medioevo l’istruzione era di fatto monopolio
della Chiesa. Nei conventi e nelle grandi abbazie si studiavano i testi sacri
ma anche i grandi classici del passato, soprattutto latini ma anche greci. Nel
Basso Medioevo,nel 1200, per dare una data indicativa, le cose mutano alquanto.
Nascono le prime grandi università. Bologna e Parigi, ad esempio, ne
possedevano una già da un secolo. Insomma la Cultura non è più nelle mani del
clero, ma anche di un ceto laico che vede nella conoscenza lo strumento per far
progredire socialmente le comunità cittadine e rurali. Le università sono
istituzioni apicali nell’albero della conoscenza. E’ bene che siano curate le
radici, cioè le basi della conoscenza, per poter avere foglie frondose, cioè le
grandi ricerche letterarie e scientifiche. Ecco perché nel 1200 nacquero i
primi ginnasi pubblici e soprattutto laici dell’Età di Mezzo. Il modello era,
inevitabilmente, il modello di erudizione della Roma repubblicana e imperiale.
Durante il periodo classico c’era una duplice presenza di insegnati, i
precettori cioè coloro che educavano alcuni pargoli delle gens, il maestro più
noto fra questi fu Seneca educatore di Nerone, poi c’erano una quantità
innumerevole di insegnati da strada, passatemi il termine, cioè educatori che
letteralmente si fermavano nei crocevia e davano lezione ai ragazzini in grado
di compensarli. Questa duplice forma di insegnamento, abbinata in alcuni periodi
a una vera e propria scuola pubblica pagata con le casse erariali, aveva fatto
in modo che fossero pochissimi gli analfabeti sotto le insegne dell’Impero di
Roma. Lo stesso modello fu cercato di applicare nel comuni italiani dell’età di
mezzo. Esempio fulgido fu Bologna. Il Comune istituì una scuola a sue spese,
primo esempio nel secondo millennio dalla nascita di Cristo. La ricca e dotta
città della Pianura Padana allestì scuole pubbliche di poesia e di retorica, di
diritto e di medicina. In questi consessi per la prima volta si abbinava al
latino classico lo studio del volgare, cioè quella lingua che diventerà l’italiano.
Insomma i comuni non solo tolsero il monopolio della cultura al mondo
ecclesiale, ma cambiarono radicalmente lo strumento di apprendimento. Si
conosceva, si faceva di conto, si discuteva dei grandi eventi del passato,
nella lingua domestica. Si parlava di Giulio Cesare usando di stessi vocaboli
con cui si chiedeva alla propria madre un piatto di minestra. Un cambiamento
epocale, una scelta che mutava tutte le basi della dialettica e della didattica.
Qui comincia la storia dell’Italiano come strumento per raccontare le passioni,
attraverso la poesia, le cronache, attraverso la storiografia, ma anche gli
eventi istituzionali e politici dei singoli stati o città. Da quel momento
perfino le bolle e i decreti delle assemblee e degli uffici monocamerali dei
Comuni venivano scritti e presentati alla cittadinanza in Italiano, o per
meglio dire in quel proto italiano che si parlava in maniera diversa a seconda
di quale landa dell’Italia avesse visto i natali del proferente. Comincia a
nascere la modernità. Il nuovo, il futuro, acquista non solo coscienza di sé ma
anche un proprio linguaggio. Se il medioevo dei barbari aveva visto il latino
quale strumento indispensabile per tutelare la cultura millenaria del
Mediterraneo e non solo, il volgare del medioevo maturo è lo strumento per
costruire una civiltà nuova. E’ il mezzo per porre le fondamenta di un
Rinascimento che vorrà dire monumenti sfavillanti, opere pittoriche magnifiche
e una letteratura capace di rimanere una fonte di ispirazione e di conforto nei
secoli, tanto è vero che ancor oggi si legge Dante, Petrarca, Boccaccio e tutti
i gradi scrittori di quel tempo. Insomma la nascita delle scuole comunali,
soprattutto quella di Bologna, ha posto le basi per la rinascita culturale non
solo di quella città, non solo dell’Italia, ma dell’intera Universtisas Christiana,
come era denominata allora l’Europa. Quei maestri, quei politici, quei borghesi
che hanno creduto nella istruzione dei piccoli quale strumento di progresso
della società, vanno ringraziati. Senza quelle comunità di discenti e insegnati la
storia del mondo sarebbe stata certamente meno bella. E’ bene ricordare che
anche Firenze, quella città che per ragioni oggettive è considerata la culla
del nostro dire, prenderà ben presto l’esempio di Bologna. Lo stesso faranno le
grandi Milano, Torino, Padova e Palermo con Napoli, ma queste due ricordiamolo
erano sotto un re era il monarca che decideva anche dell’istruzione. Federico
II, lo stupor mundi, fece sorgere l’università di Napoli. Malgrado queste
differenze che bisogna annotare, anche il Sud d’Italia partecipò con vigore
allo slancio culturale che fece nascere l’Italiano e la sua cultura. In ultima
battuta è doveroso ricordare realtà più piccole, ma non meno essenziali per lo
sviluppo della cultura e istruzione, come Vicenza e Ferrara.
Testo di Giovanni Falagario
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