venerdì 29 settembre 2017

ROMA PROTESTA CONTRO UNA PERSONA DI COLORE

PERIFERIE DEGRADATE
E' successo a Roma, ieri 28/09/2017. La folla ha visto entrare l'assegnatario di una casa popolare. La gente la guarda: E' una negra, grida Giuliano Castellino esponente di Forza Nuova. E' vero! Clelia Bassano, colei che deve abitare la casa popolare assieme al figlio disoccupato, non ha il sangue puro. E' nata, cittadina italiana, ad Addis Abeba da padre italiano e da madre etiope. Quanto basta per suscitare lo sdegno della destra romana. Basta! Gridano! Casa e terra agli italiani. Non importa che Clelia sia a Roma dal 1991, e come tutti gli abitanti della capitale ha aspettato decenni per avere una casa popolare, il suo sangue non è puro, non ha diritto ad avere diritti pari agli italiani.Il quartiere di Roma denominato "Il Trullo" è con gli esponenti di destra. Fuori la negra! Fa impressione notare il degrado culturale dei nostri quartieri popolari. Ormai la xenofobia, l'odio razziale, è diventato l'elemento connotante delle nostre borgate. Il degrado urbano non fa altro che accentuare il pregiudizio, costruendo barriere che diventano di natura culturale. La causa del disagio è l'altro, il diverso. Ci stiamo chiudendo in noi stessi, rinunciando al dialogo. Le comunità straniere vivono in assoluto isolamento, senza alcuna possibilità di interagire con il contesto urbano. Questo provoca dissapori e tensioni. Noi non crediamo infatti che coloro che ieri protestavano contro l'attribuzione della casa popolare a Clelia, siano tutti sostenitori delle formulazioni filosofiche di Massimo Carminati. Il grande pensatore della destra romana e italiana, colui che anni fa ha permesso l'ascesa di Alemanno, Polverini e Storace ai massimi vertici laziali, ha formato la classe dirigente di Forza Italia Lega Casa Pound Forza nuova sull'idea della razza. Se non ci fosse stato il suo pensiero, Silvio Berlusconi non avrebbe definito mai Mussolini "grande statista", pensando alle leggi razziali del 1936. Ma la gente non è solo destra, non crede solo nel sangue italiano, è anche turbata per una realtà degradata. Se le istituzioni dessero risposte vere al degrado popolare, non ci sarebbe al deriva xenofoba che porta voti a partiti estremisti come Lega e Forza Italia. Bisogna provare a far cambiare punto di vista a coloro che vivono nel disagio. Il nemico non è Clelia. Il nemico è questo stato di cose che nega dignità a tutti, a prescindere dal colore della pelle.Massimo Carminati è un intellettuale di pregio. Le sue idee hanno ridato linfa vitale a partiti come Lega e Forza Italia, che hanno trovato nella xenofobia la loro ragione d'essere, hanno trovato le radici, la loro storia. Ma malgrado il tributo dovuto a un grande intellettuale, Carminati, che ha dato spessore filosofico al pensiero della destra italiana. Noi, chi vi scrive, pensa convintamente che quella filosofia portata avanti da Berlusconi e Salvini sia sbagliata. per quanto elaborata e fondata su una cultura alta la teoria della razza, la teoria che il sangue italiano sia migliore di un altro sangue, la riteniamo profondamente sbagliata e riteniamo che chi vota Lega e Forza Italia sbagli profondamente perché non è sull'odio razziale che si può fondare la politica. Ecco perché sono a favore della introduzione di una legge che condanni la propaganda fascista.
testo di Giovanni Falagario



mercoledì 27 settembre 2017

UNIVERSITA' E BARONI



UNIVERSITA': SCANDALO ABILITAZIONI
Fu un'innovazione voluta dall'allora ministro dell'istruzione e Università Mariastella Gelmini. Fu il fiore all'occhiello del governo Berlusconi, di cui il ministro faceva parte. Il procedimento per abilitare all'insegnamento universitario doveva battere il privilegio e il nepotismo. Basta con i privilegi, tuonò il governo allora di Forza Italia e Lega, da ora in poi le università funzioneranno come le aziende. E infatti a distanza di un decennio le università funzionano come le aziende (aggiungiamo a conduzione familiare). Le commissioni universitarie che abilitano all'insegnamento, volute dalla Gelmini, sono diventate uno strumento per mettere in cattedra figli, mogli e nuore. Come in fininvest Berlusconi dà le redini del comando ai suoi pargoli, così nelle università i docenti lasciano in eredità ai propri figli le cattedre. E' lo spirito imprenditoriale entra nelle aule universitarie. A parte i paradossi, rimane il dato che le commissioni di abilitazione all'insegnamento universitario non hanno dato buoni risultati. Invece di premiare coloro che hanno un curriculum adeguato al ruolo che dovrebbero svolgere, premiano i cosiddetti "figli di". A nulla è servita la "incompatibilità parentale", cioè il divieto di lavorare nello stesso dipartimento universitario per i consanguinei. Lo scambio di favori, tu piazzi mio figlio qui, io piazzo tua figlia lì, ha permesso che fossero elusi tutti i controlli. Quello che ha fatto saltare il banco, almeno così si spera, è la denuncia di un aspirante docente, bocciato dalla commissione dell'università di Firenze. Questo dottore, che si era formato in Italia, prima, e poi in Inghilterra, poteva sfoderare una serie immensa di pubblicazioni e attestati scientifici, insomma è un vero e proprio luminare del suo campo d'insegnamento. Questo "cervello" non ha avuto l'abilitazione, scalzato da colleghi che la commissione di Firenze reputava più degni. Il ricercatore ha fatto un esposto alla magistratura, e questa ha aperto un indagine, che coinvolge addirittura un ex ministro della Repubblica, nonché docente universitario in pensione, Augusto Fantozzi, che comunque si dichiara estraneo ai fatti. Ora la procura di Firenze ha mandato alcuni avvisi di garanzia ai baroni universitari. Raffaele Cantone, presidente dell'autorità anticorruzione, dichiara di volere approfondire la questione e di portare trasparenza e integrità in ambito universitario. Il mondo della formazione scolastica e universitaria italiana è scosso. Ancora una volta c'è stato un duro colpo che mette in discussione la sua credibilità.
testo di Giovanni Falagario

ius soli

ADDIO IUS SOLI

"Alternativa Popolare" toglie la spina. Il partito di Angelino Alfano in una conferenza stampa tenuta ieri, 26/09/2017, dichiara che non ci sono le premesse per approvare la cosiddetta legge del "ius soli" in questa legislatura. La possibilità di dare la cittadinanza a ragazzi nati in Italia ma da genitori stranieri tramonta. Ricordiamo che i padri e le madri devono essere, secondo la proposta di legge, in possesso di regolare permesso di soggiorno da almeno due anni prima dalla nascita del richiedente. Quindi niente cittadinanza per i figli di clandestini. Nonostante questo, i nostri figli potranno avere accanto ancora uno straniero nelle aule di scuola. Nessun bambino nato da genitori nati in terre lontane potrà essere italiano, anche se frequenta un percorso scolastico. E' una vittoria di una gran parte degli italiani che vedono di malocchio l'inflazione della cittadinanza. Uno schiaffo al buonismo di papa Francesco che da mesi invita gli italiani all'accoglienza, non solo dei profughi, ma anche di quei vicini di casa che non hanno gli stessi diritti di noi che formalmente siamo italiani. E' difficile dire dove sta il giusto. Da una parte c'è il valore della dignità umana. Il sentirsi parte di una comune umanità dovrebbe spingere a considerare giusto dare la cittadinanza a quei bambini, adolescenti e giovani adulti che sono nati e vivono nel nostro paese, anche se hanno una colore di pelle diverso. Dall'altro c'è la paura della diversità, la paura dell'altro, che ci spinge a provare ripulsa verso l'altro, che ci spinge a negare a lui diritti che per noi consideriamo dovuti. Sulla questione l'Italia è divisa. C'è chi crede che i diritti dell'uomo siano un bene per tutti. Chi crede nel valore profondo della Costituzione Italiana che promuove l'uguaglianza. Invece c'è chi crede che i diritti siano un bene finito, che non si possano espandere, cioè che non si possano "regalare" ad altri non italiani. Da una parte c'è il Partito democratico che crede nell'articolo 3 della Costituzione italiana, che impone l'uguaglianza sostanziale e formale di tutti, dall'altra c'è Lega, Forza Italia e Movimento Cinque stelle, ai quali si adesso accodato il partito di Alfano, che dice che i diritti non sono di tutti, sono di pochi. Quello che conta è che gli italiani siano per questi ultimi, i sondaggi dicono che i cittadini negano il diritto agli altri di essere cittadini, non vogliono lo ius soli. Questo è un dato oggettivo. Allora la sfida del partito Democratico è provare a cambiare radicalmente il cuore e la mente delle persone. Fargli capire che la persona è un valore per se stessa. Che un bambino anche se di genitori di origini africani è un bene prezioso da tutelare, la persuasione è l'unico modo per togliere consenso a partiti xenofobi e di estrema destra come Lega e Forza Italia. Allora coraggio andiamo avanti, proviamo a spiegare che lo ius soli non è una legge qualunque ma un principio di civiltà, un modo per rendere vivi i principi costituzionali che si fondano sulla dignità di ogni essere umano.
testo di Giovanni Falagario


IUS SOLI E DIRITTI



ADDIO IUS SOLI
"Alternativa Popolare" toglie la spina. Il partito di Angelino Alfano in una conferenza stampa tenuta ieri, 26/09/2017, dichiara che non ci sono le premesse per approvare la cosiddetta legge del "ius soli" in questa legislatura. La possibilità di dare la cittadinanza a ragazzi nati in Italia ma da genitori stranieri tramonta. Ricordiamo che i padri e le madri devono essere, secondo la proposta di legge, in possesso di regolare permesso di soggiorno da almeno due anni prima dalla nascita del richiedente. Quindi niente cittadinanza per i figli di clandestini. Nonostante questo, i nostri figli potranno avere accanto ancora uno straniero nelle aule di scuola. Nessun bambino nato da genitori nati in terre lontane potrà essere italiano, anche se frequenta un percorso scolastico. E' una vittoria di una gran parte degli italiani che vedono di malocchio l'inflazione della cittadinanza. Uno schiaffo al buonismo di papa Francesco che da mesi invita gli italiani all'accoglienza, non solo dei profughi, ma anche di quei vicini di casa che non hanno gli stessi diritti di noi che formalmente siamo italiani. E' difficile dire dove sta il giusto. Da una parte c'è il valore della dignità umana. Il sentirsi parte di una comune umanità dovrebbe spingere a considerare giusto dare la cittadinanza a quei bambini, adolescenti e giovani adulti che sono nati e vivono nel nostro paese, anche se hanno una colore di pelle diverso. Dall'altro c'è la paura della diversità, la paura dell'altro, che ci spinge a provare ripulsa verso l'altro, che ci spinge a negare a lui diritti che per noi consideriamo dovuti. Sulla questione l'Italia è divisa. C'è chi crede che i diritti dell'uomo siano un bene per tutti. Chi crede nel valore profondo della Costituzione Italiana che promuove l'uguaglianza. Invece c'è chi crede che i diritti siano un bene finito, che non si possano espandere, cioè che non si possano "regalare" ad altri non italiani. Da una parte c'è il Partito democratico che crede nell'articolo 3 della Costituzione italiana, che impone l'uguaglianza sostanziale e formale di tutti, dall'altra c'è Lega, Forza Italia e Movimento Cinque stelle, ai quali si adesso accodato il partito di Alfano, che dice che i diritti non sono di tutti, sono di pochi. Quello che conta è che gli italiani siano per questi ultimi, i sondaggi dicono che i cittadini negano il diritto agli altri di essere cittadini, non vogliono lo ius soli. Questo è un dato oggettivo. Allora la sfida del partito Democratico è provare a cambiare radicalmente il cuore e la mente delle persone. Fargli capire che la persona è un valore per se stessa. Che un bambino anche se di genitori di origini africani è un bene prezioso da tutelare, la persuasione è l'unico modo per togliere consenso a partiti xenofobi e di estrema destra come Lega e Forza Italia. Allora coraggio andiamo avanti, proviamo a spiegare che lo ius soli non è una legge qualunque ma un principio di civiltà, un modo per rendere vivi i principi costituzionali che si fondano sulla dignità di ogni essere umano.
testo di Giovanni Falagario



martedì 26 settembre 2017

PORTA PIA

PORTA PIA
Il 20 settembre del 1870 i bersaglieri guidati dal generale Raffaele Cadorna entrarono a Roma e posero fine al millenario potere temporale del papa. Fu un evento epocale. L'Italia, nata nel 1861, conquistava la città simbolo della Penisola, quella che aveva dato vita a una civiltà e a un impero che hanno segnato per sempre la storia dell'intera umanità. La fine dello stato pontificio era però questione molto delicata. Il papa aveva chiesto e ottenuto la protezione dell'imperatore francese Luigi Napoleone Bonaparte. Il ministro degli affari esteri italiano, il marchese Emilio Visconti Venosta, dovette operare dialogando animatamente con la cancelleria tedesca e con il governo francese per avere la certezza che un'eventuale entrata delle truppe italiane nell'Urbe non provocasse una guerra dagli esiti imprevedibili per la giovane monarchia italiana. L'opera diplomatica dell'italiano ottenne la neutralità delle principali superpotenze dell'epoca. La Francia che fino a quel momento si era dimostrata baluardo del papa, o almeno di Roma papale, lascia un laconico quanto eloquente comunicato: non approviamo né difendiamo il potere temporale del papa. Un esplicito via libera all'Italia che manda i suoi bersaglieri a liberare Roma. Alla guida del contingente ci sono, oltre che il già citato Raffaele Cadorna, i generali Emilio Ferrero, Gustavo Mazé de la Roche, e colui che fu il braccio destro di Giuseppe Garibaldi nell'impresa dei Mille, la conquista del sud d'Italia, Nino Bixio. La presa di Roma, l'ingresso attraverso Porta Pia nella Caput Mundi fu l'apoteosi della monarchia sabaudia. Vittorio Emanuele II poté essere il signore della città che dominò nei secoli l'intero globo terraqueo conosciuto. Quale differenza c'era fra la precedente sconfitta papale. Nel 1848 la cacciata del Santo Padre da Roma aveva fatto nascere la Repubblica. In quei mesi di libertà si scrisse la costituzione romana, ancor oggi considerata un'esempio di ciò che di straordinario può produrre l'afflato libertario delle genti oppresse da secoli di assolutismo. Invece la Breccia di Porta Pia segnò la vittoria di un monarca e di un regime liberale che si fondava non sull'uguaglianza, ma sul censo. Garibaldi era a Caprera, l'isola della sardegna dove viveva il suo esilio. Roma era monarchica, era ben diversa da quella che era stata liberata nel 1848 dallo stesso Giuseppe Garibaldi, eroe della Repubblica Romana, e da altri patrioti come Goffredo Mameli, l'autore dell'inno nazionale italiano, morto durante l'assedio romano. Quell'esperienza libertaria fu schiacciata dall'esercito francese che allora intervenne in difesa del potere del pontefice. Ora il potere liberale, fatto di accordi e di interessi tutelati sottobanco, si impossessava anche di Roma. Il censo, la ricchezza e la nobiltà, governavano l'Intera penisola mentre milioni di persone, divenuti italiani, rimanevano ancora sotto il giogo della fame e dell'ignoranza. Bisogna però dirlo, anche Porta Pia è stato un momento fondamentale per la storia dell'emancipazione delle genti italiane. Senza la debellatio del potere temporale del papa non ci sarebbe stata quella tensione culturale che avrebbe portato dopo lunghi e difficili anni alla nascita di un vero e maturo regime democratico quale fu la Repubblica nata dopo la seconda guerra mondiale, con la sua Costituzione i cui fondamenti poggiano anche sull'afflato di libertà che ha caratterizzato il Risorgimento italiano.

LA BRECCIA DI PORTA PIA

PORTA PIA
Il 20 settembre del 1870 i bersaglieri guidati dal generale Raffaele Cadorna entrarono a Roma e posero fine al millenario potere temporale del papa. Fu un evento epocale. L'Italia, nata nel 1861, conquistava la città simbolo della Penisola, quella che aveva dato vita a una civiltà e a un impero che hanno segnato per sempre la storia dell'intera umanità. La fine dello stato pontificio era però questione molto delicata. Il papa aveva chiesto e ottenuto la protezione dell'imperatore francese Luigi Napoleone Bonaparte. Il ministro degli affari esteri italiano, il marchese Emilio Visconti Venosta, dovette operare dialogando animatamente con la cancelleria tedesca e con il governo francese per avere la certezza che un'eventuale entrata delle truppe italiane nell'Urbe non provocasse una guerra dagli esiti imprevedibili per la giovane monarchia italiana. L'opera diplomatica dell'italiano ottenne la neutralità delle principali superpotenze dell'epoca. La Francia che fino a quel momento si era dimostrata baluardo del papa, o almeno di Roma papale, lascia un laconico quanto eloquente comunicato: non approviamo né difendiamo il potere temporale del papa. Un esplicito via libera all'Italia che manda i suoi bersaglieri a liberare Roma. Alla guida del contingente ci sono, oltre che il già citato Raffaele Cadorna, i generali Emilio Ferrero, Gustavo Mazé de la Roche, e colui che fu il braccio destro di Giuseppe Garibaldi nell'impresa dei Mille, la conquista del sud d'Italia, Nino Bixio. La presa di Roma, l'ingresso attraverso Porta Pia nella Caput Mundi fu l'apoteosi della monarchia sabaudia. Vittorio Emanuele II poté essere il signore della città che dominò nei secoli l'intero globo terraqueo conosciuto. Quale differenza c'era fra la precedente sconfitta papale. Nel 1848 la cacciata del Santo Padre da Roma aveva fatto nascere la Repubblica. In quei mesi di libertà si scrisse la costituzione romana, ancor oggi considerata un'esempio di ciò che di straordinario può produrre l'afflato libertario delle genti oppresse da secoli di assolutismo. Invece la Breccia di Porta Pia segnò la vittoria di un monarca e di un regime liberale che si fondava non sull'uguaglianza, ma sul censo. Garibaldi era a Caprera, l'isola della sardegna dove viveva il suo esilio. Roma era monarchica, era ben diversa da quella che era stata liberata nel 1848 dallo stesso Giuseppe Garibaldi, eroe della Repubblica Romana, e da altri patrioti come Goffredo Mameli, l'autore dell'inno nazionale italiano, morto durante l'assedio romano. Quell'esperienza libertaria fu schiacciata dall'esercito francese che allora intervenne in difesa del potere del pontefice. Ora il potere liberale, fatto di accordi e di interessi tutelati sottobanco, si impossessava anche di Roma. Il censo, la ricchezza e la nobiltà, governavano l'Intera penisola mentre milioni di persone, divenuti italiani, rimanevano ancora sotto il giogo della fame e dell'ignoranza. Bisogna però dirlo, anche Porta Pia è stato un momento fondamentale per la storia dell'emancipazione delle genti italiane. Senza la debellatio del potere temporale del papa non ci sarebbe stata quella tensione culturale che avrebbe portato dopo lunghi e difficili anni alla nascita di un vero e maturo regime democratico quale fu la Repubblica nata dopo la seconda guerra mondiale, con la sua Costituzione i cui fondamenti poggiano anche sull'afflato di libertà che ha caratterizzato il Risorgimento italiano.

TEMPO



IL TEMPO
Troppe volte il tempo diviene un crudele aguzzino. Passa troppo in fretta. Scorre lentamente. Spesse volte ti condanna. Io ad esempio, disabile, vivo la condanna di una società che mi odia e mi disprezza e che ridicolizza i miei sforzi di apparire degno di vivere. Il tempo sta spegnendo la mia vita, che invece di regalarmi qualche gioia, mi sta dando solo le risa di derisione di coloro che mi stanno attorno. L'ammetto mi attacco al cattolicesimo, proprio perché la religione cristiana, quale scandalo!, dà una speranza di emancipazione ai più deboli, quale io sono. E' un'illusione la mia, come è un'illusione credere nella possibilità di vivere meglio. La società italiana degrada sempre più. Niente è considerato un valore, tanto meno la solidarietà. Chi la nomina è solo un derelitto, come me, destinato all'oblio come tutti i perdenti. Il tempo segna il decadimento, è un elemento comune a molti, ma per i più deboli, per coloro che non hanno speranza e che si attaccano disperatamente al cristianesimo nella speranza di un domani di redenzione difronte a un presente di umiliazione, il cristianesimo diventa un'ancora di salvezza davanti alla bruttura della vita.


SIENA CONTRO FIRENZE



TOSCANA GHIBELLINA
La Toscana fu guelfa, guelfa come la città più importante, Firenze. Ma ci fu un momento in cui le sorti toscane e quelle, forse, dell'Italia intera sarebbero potute cambiare. La Battaglia di Montaperti fu l'episodio che poteva cambiare le sorti della storia consegnando il futuro alla parte ghibellina. Siamo al 4 settembre 1260. La ghibellina Siena, appoggiata da Manfredi, figlio bastardo di Federico II, affronta la guelfa Firenze. In campo ci sono tutte le città toscane. Si formano due enormi fronti. Firenze è spaccata in due. La città è governata dai guelfi, come abbiamo detto. I ghibellini nati fiorentini, però, stanno dall'altra parte del campo. Fra loro c'è Cavalcanti e ser Brunetto Latini, poeta del dolce stil novo maestro di Dante Alighieri, che il sommo poeta incontrerà nel girone degli epicurei, degli atei, nell'inferno. Difficile definire, con gli strumenti euristici di oggi, le motivazioni delle parti in campo. Chi è ghibellino dovrebbe difendere il potere imperiale. Ma Manfredi era si figlio di Federico II, ma non era certo l'imperatore del sacro romano impero, titolo che ricopriva il suo fratellastro Corradino di Svevia. Allora perché Siena sceglie di stare dalla parte di un usurpatore, dalla parte di chi in realtà voleva togliere al legittimo imperatore la corona? La risposta mette in luce l'enorme complessità della politica medievale. Questa era fatta dalla commistione di grandi principi, di grandi idee, l'impero il papato, con piccoli interessi di paese, di comune, di quartiere. Si combatteva per il proprio Gonfalone, per la bandiera del comune, e questa poteva essere difesa al meglio sposando, alla convenienza, una causa o un'altra. Si poteva scegliere di lottare contro la propria città, come ha fatto Latini, in nome di un ideale di giustizia che travalica i confini delle proprie mura e si fa latrice di valori che appaiono universali. Latini prende le armi contro la sua Firenze in nome di un'ideale di lealtà e giustizia che travalica i tempi e può affascinare anche noi che viviamo nel XXI secolo. Dall'altra parte c'è la Firenze "crassa", la Firenze dei "popolani", che in realtà sono commercianti e cambiavalute, non certo poverelli, che cercano di difendere gli interessi non solo commerciali ma anche istituzionali della propria città. Vogliono costruire uno stato fondato sulla partecipazione del popolo alla vita pubblica.Vogliono sostanzialmente sostituirsi alla nobiltà fiorentina, diventata ghibellina proprio per reazione. Il consiglio di Firenze è una sorta di parlamento in cui la borghesia ha un ruolo fondamentale. La Battaglia di Montaperti doveva sconvolgere questi equilibri. La vittoria ghibellina avrebbe portato l'introduzione di rigidi regolamenti aristocratici. La classe nobiliare doveva riprendere le redini della città del giglio. Così in realtà non avvenne. Firenze di guidata per sessantanni da un governo ghibellino, che in realtà non mutò affatto le istituzioni, rimase in vigore perfino il consiglio, simbolo della politica guelfa. Ci furono pochissimi esuli. La maggioranza delle famiglie guelfe preferì compiere abiura e giurare fedeltà al governo ghibellino, in nome di una pacifica convivenza, creata all'indomani di una sanguinosa battaglia, voluta per interessi sociali ed economici che travalicavano le rivalità e gli odi personali. Firenze fu ghibellina per sessantanni, poi un altro rovescio politico riportò al potere quel popolo crasso di fede guelfa che condusse per secoli la città. Si può dire che per il ghibellinismo i sessantanni di potere a Firenze furono un'occasione perduta? Si potevano cambiare le sorti della città, della Toscana e dell'intera penisola italiana in quel lasso di pochi decenni? Difficile trovare una risposta. Probabilmente quella nobiltà imperiale che a Montaperti il 4 settembre 1260 aveva trovato una vittoria storica grazie ai cavalieri senesi era ormai fuori dal tempo. L'impero non era in grado di reggere le sorti del mondo conosciuto. Il potere papale, forte dell'appoggio di alcuni importanti comuni, era destinato comunque a prevalere. Alcuni anni dopo il guelfo Dante Alighieri provò a trovare una soluzione di compromesso. Ideò la cosiddetta dottrina dei due soli il papa, appoggiato dai guelfi, e l'imperatore, campione dei ghibellini, pensava il sommo poeta dovevano essere due soli che parimente illuminavano le menti delle genti. Niente guerre niente lotte per l'egemonia il potere temporale e ieratico dovevano convivere e guidare le sorti umane. Anche questa era un'utopia, Dante fu esiliato anche per questa sua visione stravagante. La verità che sia il potere imperiale sia il potere papale erano destinati a eclissarsi. imperatore e papa non erano più domini, signori, indiscussi del globo terraqueo, ma soggetti politici alla stessa stregua dei monarchi (francesi o inglesi), dei dogi veneziani, dei signori fiorentini. Il sogno di una comunitas che viveva in pace e unita sotto un unico potere era destinato a tramontare.
testo di Giovanni Falagario

MONTAPERTI VITTORIA GIBELLINA



TOSCANA GHIBELLINA
La Toscana fu guelfa, guelfa come la città più importante, Firenze. Ma ci fu un momento in cui le sorti toscane e quelle, forse, dell'Italia intera sarebbero potute cambiare. La Battaglia di Montaperti fu l'episodio che poteva cambiare le sorti della storia consegnando il futuro alla parte ghibellina. Siamo al 4 settembre 1260. La ghibellina Siena, appoggiata da Manfredi, figlio bastardo di Federico II, affronta la guelfa Firenze. In campo ci sono tutte le città toscane. Si formano due enormi fronti. Firenze è spaccata in due. La città è governata dai guelfi, come abbiamo detto. I ghibellini nati fiorentini, però, stanno dall'altra parte del campo. Fra loro c'è Cavalcanti e ser Brunetto Latini, poeta del dolce stil novo maestro di Dante Alighieri, che il sommo poeta incontrerà nel girone degli epicurei, degli atei, nell'inferno. Difficile definire, con gli strumenti euristici di oggi, le motivazioni delle parti in campo. Chi è ghibellino dovrebbe difendere il potere imperiale. Ma Manfredi era si figlio di Federico II, ma non era certo l'imperatore del sacro romano impero, titolo che ricopriva il suo fratellastro Corradino di Svevia. Allora perché Siena sceglie di stare dalla parte di un usurpatore, dalla parte di chi in realtà voleva togliere al legittimo imperatore la corona? La risposta mette in luce l'enorme complessità della politica medievale. Questa era fatta dalla commistione di grandi principi, di grandi idee, l'impero il papato, con piccoli interessi di paese, di comune, di quartiere. Si combatteva per il proprio Gonfalone, per la bandiera del comune, e questa poteva essere difesa al meglio sposando, alla convenienza, una causa o un'altra. Si poteva scegliere di lottare contro la propria città, come ha fatto Latini, in nome di un ideale di giustizia che travalica i confini delle proprie mura e si fa latrice di valori che appaiono universali. Latini prende le armi contro la sua Firenze in nome di un'ideale di lealtà e giustizia che travalica i tempi e può affascinare anche noi che viviamo nel XXI secolo. Dall'altra parte c'è la Firenze "crassa", la Firenze dei "popolani", che in realtà sono commercianti e cambiavalute, non certo poverelli, che cercano di difendere gli interessi non solo commerciali ma anche istituzionali della propria città. Vogliono costruire uno stato fondato sulla partecipazione del popolo alla vita pubblica.Vogliono sostanzialmente sostituirsi alla nobiltà fiorentina, diventata ghibellina proprio per reazione. Il consiglio di Firenze è una sorta di parlamento in cui la borghesia ha un ruolo fondamentale. La Battaglia di Montaperti doveva sconvolgere questi equilibri. La vittoria ghibellina avrebbe portato l'introduzione di rigidi regolamenti aristocratici. La classe nobiliare doveva riprendere le redini della città del giglio. Così in realtà non avvenne. Firenze di guidata per sessantanni da un governo ghibellino, che in realtà non mutò affatto le istituzioni, rimase in vigore perfino il consiglio, simbolo della politica guelfa. Ci furono pochissimi esuli. La maggioranza delle famiglie guelfe preferì compiere abiura e giurare fedeltà al governo ghibellino, in nome di una pacifica convivenza, creata all'indomani di una sanguinosa battaglia, voluta per interessi sociali ed economici che travalicavano le rivalità e gli odi personali. Firenze fu ghibellina per sessantanni, poi un altro rovescio politico riportò al potere quel popolo crasso di fede guelfa che condusse per secoli la città. Si può dire che per il ghibellinismo i sessantanni di potere a Firenze furono un'occasione perduta? Si potevano cambiare le sorti della città, della Toscana e dell'intera penisola italiana in quel lasso di pochi decenni? Difficile trovare una risposta. Probabilmente quella nobiltà imperiale che a Montaperti il 4 settembre 1260 aveva trovato una vittoria storica grazie ai cavalieri senesi era ormai fuori dal tempo. L'impero non era in grado di reggere le sorti del mondo conosciuto. Il potere papale, forte dell'appoggio di alcuni importanti comuni, era destinato comunque a prevalere. Alcuni anni dopo il guelfo Dante Alighieri provò a trovare una soluzione di compromesso. Ideò la cosiddetta dottrina dei due soli il papa, appoggiato dai guelfi, e l'imperatore, campione dei ghibellini, pensava il sommo poeta dovevano essere due soli che parimente illuminavano le menti delle genti. Niente guerre niente lotte per l'egemonia il potere temporale e ieratico dovevano convivere e guidare le sorti umane. Anche questa era un'utopia, Dante fu esiliato anche per questa sua visione stravagante. La verità che sia il potere imperiale sia il potere papale erano destinati a eclissarsi. imperatore e papa non erano più domini, signori, indiscussi del globo terraqueo, ma soggetti politici alla stessa stregua dei monarchi (francesi o inglesi), dei dogi veneziani, dei signori fiorentini. Il sogno di una comunitas che viveva in pace e unita sotto un unico potere era destinato a tramontare.
testo di Giovanni Falagario


LA "NON VITTORIA" DELLA MERKEL



COSA SUCCEDE IN GERMANIA
La "grande coalizione" che ha retto la Germania in questi ultimi anni volge al tramonto. L'alleanza fra Cristiano Sociali, Cristiano Democratici e Social Democratici che ha formato la maggioranza nell'ultimo parlamento è finita. A lasciare il tavolo sono i socialdemocratici di Shulz, che vista la dura sconfitta sono passati dal 25% al 20% dei consensi, hanno deciso di passare all'opposizione. La cancelliera Angela Merkel sembra decisa ad andare avanti. Il successo di "Alternativa per la Germania" non la spaventa. AFD (alternativa per la Germania) è un partito di destra, nazionalista e con tratti xenofobi, che ha alcuni esponenti al suo interno che rimpiangono il nazismo di Adolf Hitler. Uno dei capi di partito, Siegret Droese, ad esempio ha come targa della macchina la dicitura "AH 1818", cioè ha scelto come elemento riconoscitivo della propria autovettura le iniziali del dittatore nazista. Questo partito ha avuto un successo impensabile. E' il terzo partito in Germania, in alcuni land della Germania Orientale è addirittura il primo scalzando il partito della Merkel. Questo verdetto era in parte preconizzato da alcuni sondaggi. Noi di racconto a mano libera in un precedente pezzo abbiamo anticipato i dati che davano per certo una rilevante affermazione di AFD. Quello che ha stupito è il crollo senza precedenti dei partiti di matrice cristiana, i due schieramenti insieme rimangono maggioranza nel paese, ma perdono quasi dieci punti di consenso, passando dal 40% delle precedenti elezioni al 30% attuale. Le motivazioni? C'è da un lato la sfiducia per le istituzioni europee, sempre difese da Merkel e Shulz, ricordiamo che l'attuale capo dei socialdemocratici tedeschi è stato presidente del parlamento europeo. Questo vedere la Ue come la nemica che difende i paesi più indebitati, Italia e Grecia ad esempio, a discapito dei paesi virtuosi come la Germania è una delle cause degli esiti elettorali. Poi c'è la questione migranti. La Merkel ha provato a fare una politica di accoglienza che ha diviso la Germania. da una parte migliaia di tedeschi hanno accolto a braccia aperte i profughi siriani, che fuggivano da morte certa nel loro paese, dall'altra una parte consistente del paese ha visto questa accoglienza come un sinonimo di invasione. Insomma questo esito elettorale sembra una aperta condanna alla politica di concessioni fatte dalla Germania ai migranti e ai paesi, come Italia, Grecia e Spagna, che hanno un grosso buco finanziario nei loro conti pubblici. Ma una politica di chiusura della Germania alle esigenze di questi paesi potrebbe non portare al risanamento della finanza continentale ma a un crollo definitivo della UE.
testo di Giovanni Falagario

LE PAROLE DI DI MAIO



DI MAIO: SI RIPARTE DAL "NO" AL REFERENDUM
"l'establishment italiano era tutto per il si" queste sono le parole di Luigi Di Maio, rilasciate oggi 25/06/2017, al quotidiano la repubblica: Il candidato premier del movimento Cinque Stelle ricorda la battaglia referendaria condotta insieme a Berlusconi e Salvini contro i poteri forti. Nell'intervista ricorda come tutta la classe dirigente italiana era per il "si", solo Lega Forza Italia e il Movimento Cinque Stelle erano per il "no" alla riforma costituzionale voluta dal Partito democratico di Renzi. Il popolo ha scelto Grillo, berlusconi e Salvini voltando le spalle all''estavlishment. Ha scelto Villa San Martino e non Cernobbio. L'una ricordiamolo è la villa di Berlusconi, l'altro è il luogo dove si ritrovano ogni anno degli economisti a chiacchierare, ops in convegno. Non stupisce che Di Maio rifiuti di considerare il miliardario Berlusconi come "establishment" e invece lo collochi dalla parte dei diseredati. Primo perché ricordare di avere avuto un compagno multimiliardario nella campagna elettorale per il "no" al referendum costituzionale non fa chic. Secondo perché è d'uopo considerare i ricconi paladini del popolo, mentre i plutocrati sarebbero altrove. La domanda da fare sarebbe: dove? Visto che, se c'è un complotto plutocratico, non sarebbe fuori luogo considerare il plutocrate Berlusconi parte del complotto. Comunque Silvio Berlusconi è il prototipo di miliardario dalla parte dei poveri, che ha avuto come emulo perfino l'attuale presidente americano Donald Trump. Quindi non sorprende che Di Maio lo consideri amico, guerriero anch'esso contro la plutocrazia. Il problema: è giusta l'analisi? E' giusto dire che una riforma della carta costituzionale, giusta o sbagliata che sia, sia la cartina di tornasole. Chi è dalla parte del "si", fosse anche il signor nessuno, il disabile senza lavoro, è il plutocrate e chi è dalla parte del "no", fosse anche il plurimiliardario Berlusconi è il paladino dei poveri e dei bisognosi? Non è una semplificazione troppo ardita? Magari fa effetto come slogan elettorale, ma non pone le basi dell'esclusione sociale su criteri peregrini. Chi è "si", è cattivo, chi è "no" è buono. Come se il referendum costituzionale fosse un lavacro che purifica da ogni peccato. Sarebbero allora mondi da ogni pena gli esponenti di Lega e Forza Italia condannati per lo scandalo Mose, solo perché hanno votato "no" al referendum costituzionale? Non farebbe parte dei "poteri forti" Galan o Mantovani indagati e condannati per il loro traffici di favori, solo perché si sono battuti per il "no" al referendum costituzionale? Si potrebbe prospettare un'alleanza con Lega dei rimborsi facili e delle mutande verdi solo perché si è battuta per il "no" al referendum? Io francamente spero di no.
testo di Giovanni Falagario


STORIA DI UN LIBRO





MANOSCRITTI DIARI DI VITA
Siamo abituati a pensare ai volumi e ai libri manoscritti come oggetti intoccabili quasi sacri. Oggi ovviamente deve essere così. I libri scritti a mano sono testimoni di epoche ormai lontane che vanno preservati il più possibile da ogni possibile contaminazione. Preservarli non vuol dire solo mantenere intatto un preziosissimo patrimonio librario, vuol dire anche preservare una preziosa testimonianza storica, un monumento a un'epoche lontana. In antichità non era così. Molti manoscritti, soprattutto i cosiddetti libri delle ore", i libri che segnavano lo scandire del tempo in base alla liturgia e alle preghiere della religione cristiana,erano utilizzati anche come una sorta di diario. Specialmente quelli di proprietà di famiglie nobili e borghesi erano utilizzati come una sorta di libro di appunti. Si scrivevano cose legate alle incombenze della casa. I bibliografi hanno individuato ricette dii cucine, schizzi di case e giardini, al loro interno. Insomma i manoscritti sono testimoni di una civiltà che cambia lungo i secoli. Le biblioteche private sono preziose custodi di tomi che non solo racchiudono meravigliose opere letterarie e strabilianti miniature compiute da fini amanuensi. Sono anche testimoni di una quotidianità che solo apparentemente è a noi lontana, ma che se si guarda con attenzione questi schizzi e appunti ci fanno apparire i nostri avi non diversamente affaccendati rispetto a noi. Anche loro erano preoccupati per come la casa avrebbe retto l'inverno, se non fosse necessaria una ristrutturazione. Anche loro erano preoccupati per la spesa. Insomma leggere manoscritti è un modo per tuffarci nella quotidianità del passato.
Testo scritto da Giovanni Falagario

MANOSCRITTI



MANOSCRITTI DIARI DI VITA
Siamo abituati a pensare ai volumi e ai libri manoscritti come oggetti intoccabili quasi sacri. Oggi ovviamente deve essere così. I libri scritti a mano sono testimoni di epoche ormai lontane che vanno preservati il più possibile da ogni possibile contaminazione. Preservarli non vuol dire solo mantenere intatto un preziosissimo patrimonio librario, vuol dire anche preservare una preziosa testimonianza storica, un monumento a un'epoche lontana. In antichità non era così. Molti manoscritti, soprattutto i cosiddetti libri delle ore", i libri che segnavano lo scandire del tempo in base alla liturgia e alle preghiere della religione cristiana,erano utilizzati anche come una sorta di diario. Specialmente quelli di proprietà di famiglie nobili e borghesi erano utilizzati come una sorta di libro di appunti. Si scrivevano cose legate alle incombenze della casa. I bibliografi hanno individuato ricette dii cucine, schizzi di case e giardini, al loro interno. Insomma i manoscritti sono testimoni di una civiltà che cambia lungo i secoli. Le biblioteche private sono preziose custodi di tomi che non solo racchiudono meravigliose opere letterarie e strabilianti miniature compiute da fini amanuensi. Sono anche testimoni di una quotidianità che solo apparentemente è a noi lontana, ma che se si guarda con attenzione questi schizzi e appunti ci fanno apparire i nostri avi non diversamente affaccendati rispetto a noi. Anche loro erano preoccupati per come la casa avrebbe retto l'inverno, se non fosse necessaria una ristrutturazione. Anche loro erano preoccupati per la spesa. Insomma leggere manoscritti è un modo per tuffarci nella quotidianità del passato.
Testo scritto da Giovanni Falagario


GUELFI E GHIBELLINI



TOSCANA GHIBELLINA
La Toscana fu guelfa, guelfa come la città più importante, Firenze. Ma ci fu un momento in cui le sorti toscane e quelle, forse, dell'Italia intera sarebbero potute cambiare. La Battaglia di Montaperti fu l'episodio che poteva cambiare le sorti della storia consegnando il futuro alla parte ghibellina. Siamo al 4 settembre 1260. La ghibellina Siena, appoggiata da Manfredi, figlio bastardo di Federico II, affronta la guelfa Firenze. In campo ci sono tutte le città toscane. Si formano due enormi fronti. Firenze è spaccata in due. La città è governata dai guelfi, come abbiamo detto. I ghibellini nati fiorentini, però, stanno dall'altra parte del campo. Fra loro c'è Cavalcanti e ser Brunetto Latini, poeta del dolce stil novo maestro di Dante Alighieri, che il sommo poeta incontrerà nel girone degli epicurei, degli atei, nell'inferno. Difficile definire, con gli strumenti euristici di oggi, le motivazioni delle parti in campo. Chi è ghibellino dovrebbe difendere il potere imperiale. Ma Manfredi era si figlio di Federico II, ma non era certo l'imperatore del sacro romano impero, titolo che ricopriva il suo fratellastro Corradino di Svevia. Allora perché Siena sceglie di stare dalla parte di un usurpatore, dalla parte di chi in realtà voleva togliere al legittimo imperatore la corona? La risposta mette in luce l'enorme complessità della politica medievale. Questa era fatta dalla commistione di grandi principi, di grandi idee, l'impero il papato, con piccoli interessi di paese, di comune, di quartiere. Si combatteva per il proprio Gonfalone, per la bandiera del comune, e questa poteva essere difesa al meglio sposando, alla convenienza, una causa o un'altra. Si poteva scegliere di lottare contro la propria città, come ha fatto Latini, in nome di un ideale di giustizia che travalica i confini delle proprie mura e si fa latrice di valori che appaiono universali. Latini prende le armi contro la sua Firenze in nome di un'ideale di lealtà e giustizia che travalica i tempi e può affascinare anche noi che viviamo nel XXI secolo. Dall'altra parte c'è la Firenze "crassa", la Firenze dei "popolani", che in realtà sono commercianti e cambiavalute, non certo poverelli, che cercano di difendere gli interessi non solo commerciali ma anche istituzionali della propria città. Vogliono costruire uno stato fondato sulla partecipazione del popolo alla vita pubblica.Vogliono sostanzialmente sostituirsi alla nobiltà fiorentina, diventata ghibellina proprio per reazione. Il consiglio di Firenze è una sorta di parlamento in cui la borghesia ha un ruolo fondamentale. La Battaglia di Montaperti doveva sconvolgere questi equilibri. La vittoria ghibellina avrebbe portato l'introduzione di rigidi regolamenti aristocratici. La classe nobiliare doveva riprendere le redini della città del giglio. Così in realtà non avvenne. Firenze di guidata per sessantanni da un governo ghibellino, che in realtà non mutò affatto le istituzioni, rimase in vigore perfino il consiglio, simbolo della politica guelfa. Ci furono pochissimi esuli. La maggioranza delle famiglie guelfe preferì compiere abiura e giurare fedeltà al governo ghibellino, in nome di una pacifica convivenza, creata all'indomani di una sanguinosa battaglia, voluta per interessi sociali ed economici che travalicavano le rivalità e gli odi personali. Firenze fu ghibellina per sessantanni, poi un altro rovescio politico riportò al potere quel popolo crasso di fede guelfa che condusse per secoli la città. Si può dire che per il ghibellinismo i sessantanni di potere a Firenze furono un'occasione perduta? Si potevano cambiare le sorti della città, della Toscana e dell'intera penisola italiana in quel lasso di pochi decenni? Difficile trovare una risposta. Probabilmente quella nobiltà imperiale che a Montaperti il 4 settembre 1260 aveva trovato una vittoria storica grazie ai cavalieri senesi era ormai fuori dal tempo. L'impero non era in grado di reggere le sorti del mondo conosciuto. Il potere papale, forte dell'appoggio di alcuni importanti comuni, era destinato comunque a prevalere. Alcuni anni dopo il guelfo Dante Alighieri provò a trovare una soluzione di compromesso. Ideò la cosiddetta dottrina dei due soli il papa, appoggiato dai guelfi, e l'imperatore, campione dei ghibellini, pensava il sommo poeta dovevano essere due soli che parimente illuminavano le menti delle genti. Niente guerre niente lotte per l'egemonia il potere temporale e ieratico dovevano convivere e guidare le sorti umane. Anche questa era un'utopia, Dante fu esiliato anche per questa sua visione stravagante. La verità che sia il potere imperiale sia il potere papale erano destinati a eclissarsi. imperatore e papa non erano più domini, signori, indiscussi del globo terraqueo, ma soggetti politici alla stessa stregua dei monarchi (francesi o inglesi), dei dogi veneziani, dei signori fiorentini. Il sogno di una comunitas che viveva in pace e unita sotto un unico potere era destinato a tramontare.
testo di Giovanni Falagario


venerdì 22 settembre 2017

PROGETTO PER IL LUNGOMARE A BARI



FITNESS O POLPI?
Il progetto di riqualificazione del lungo mare di Bari è in via di progettazione. Secondo gli architetti che sembra abbiano vinto il bando di gara, la strada che dà sul mare avrà un'enorme passerella in legno e alluminio su cui i baresi potranno fare attività sportiva. Ci saranno migliaia di metri quadrati lungo il mare prospiciente Bari in cui si potrà camminare, fare footing, fare ginnastica, yoga e ogni tipo di attività legata al tempo libero. Questo progetto prevede che non siano accessibili alle persone quelli che i baresi chiamano i "chiangoni", enormi pezzi di cemento armato che hanno la funzione di frangi frutti.Un luogo ove ufficialmente non è possibile andare, ma che di fatto è luogo frequentato da pescatori e da "battitori di polipi", cioè quelle persone che sbattono violentemente il mollusco per renderlo più tenerlo mangiare crudo o cotto. Insomma un'abitudine che fa di bari una città marinaresca, in cui il culto del cibo, dei frutti di mare si manifesta nella quotidianità attraverso il lavoro incessante delle persone che puliscono e preparano alla mensa pesce, frutti di mare e molluschi. Il dibattito sull'opportunità di mutare l'aspetto del lungomare barese si fa di natura antropologica. E' opportuno omologare la città a tante altre città che si affacciano sul mare? E' opportuno rendere Bari uguale a tante altre città portuali? E' opportuno modificare la sky line barese? La risposta è difficile. Bari è una città di porto. E' una città di marinai. Da sempre la città vecchia vive in simbiosi con il mare quasi fosse una estensione naturale della abitazione di chi risiede nel borgo antico. Creare un grande spiazzo, un'area che diventa un immenso spiazzo prospiciente al mare, di fatto snaturerebbe l'anima del borgo antico che sarebbe privato del libero accesso al mare, per sbattere i polpi, ma non solo, è il modo in cui la gente di Bari si interfaccia con l'ambiente marino che da millenni la circonda che verrebbe a cambiare. Il dibattito si allarga. Mentre i progetti sul nuovo lungomare che verrà si fanno sempre più arditi architettonicamente, la gente comune vorrebbe che la città non perdesse il suo millenario legame con il mare da cui da sempre trae ricchezza, benessere e vita. Sbattere i polpi, mangiare le cozze crude non è solo un'abitudine culinaria e anche una cultura cittadina che il nuovo lungomare, asettico e senza chiangoni, potrebbe snaturare.
testo di Giovanni Falagario