martedì 26 settembre 2017

SIENA CONTRO FIRENZE



TOSCANA GHIBELLINA
La Toscana fu guelfa, guelfa come la città più importante, Firenze. Ma ci fu un momento in cui le sorti toscane e quelle, forse, dell'Italia intera sarebbero potute cambiare. La Battaglia di Montaperti fu l'episodio che poteva cambiare le sorti della storia consegnando il futuro alla parte ghibellina. Siamo al 4 settembre 1260. La ghibellina Siena, appoggiata da Manfredi, figlio bastardo di Federico II, affronta la guelfa Firenze. In campo ci sono tutte le città toscane. Si formano due enormi fronti. Firenze è spaccata in due. La città è governata dai guelfi, come abbiamo detto. I ghibellini nati fiorentini, però, stanno dall'altra parte del campo. Fra loro c'è Cavalcanti e ser Brunetto Latini, poeta del dolce stil novo maestro di Dante Alighieri, che il sommo poeta incontrerà nel girone degli epicurei, degli atei, nell'inferno. Difficile definire, con gli strumenti euristici di oggi, le motivazioni delle parti in campo. Chi è ghibellino dovrebbe difendere il potere imperiale. Ma Manfredi era si figlio di Federico II, ma non era certo l'imperatore del sacro romano impero, titolo che ricopriva il suo fratellastro Corradino di Svevia. Allora perché Siena sceglie di stare dalla parte di un usurpatore, dalla parte di chi in realtà voleva togliere al legittimo imperatore la corona? La risposta mette in luce l'enorme complessità della politica medievale. Questa era fatta dalla commistione di grandi principi, di grandi idee, l'impero il papato, con piccoli interessi di paese, di comune, di quartiere. Si combatteva per il proprio Gonfalone, per la bandiera del comune, e questa poteva essere difesa al meglio sposando, alla convenienza, una causa o un'altra. Si poteva scegliere di lottare contro la propria città, come ha fatto Latini, in nome di un ideale di giustizia che travalica i confini delle proprie mura e si fa latrice di valori che appaiono universali. Latini prende le armi contro la sua Firenze in nome di un'ideale di lealtà e giustizia che travalica i tempi e può affascinare anche noi che viviamo nel XXI secolo. Dall'altra parte c'è la Firenze "crassa", la Firenze dei "popolani", che in realtà sono commercianti e cambiavalute, non certo poverelli, che cercano di difendere gli interessi non solo commerciali ma anche istituzionali della propria città. Vogliono costruire uno stato fondato sulla partecipazione del popolo alla vita pubblica.Vogliono sostanzialmente sostituirsi alla nobiltà fiorentina, diventata ghibellina proprio per reazione. Il consiglio di Firenze è una sorta di parlamento in cui la borghesia ha un ruolo fondamentale. La Battaglia di Montaperti doveva sconvolgere questi equilibri. La vittoria ghibellina avrebbe portato l'introduzione di rigidi regolamenti aristocratici. La classe nobiliare doveva riprendere le redini della città del giglio. Così in realtà non avvenne. Firenze di guidata per sessantanni da un governo ghibellino, che in realtà non mutò affatto le istituzioni, rimase in vigore perfino il consiglio, simbolo della politica guelfa. Ci furono pochissimi esuli. La maggioranza delle famiglie guelfe preferì compiere abiura e giurare fedeltà al governo ghibellino, in nome di una pacifica convivenza, creata all'indomani di una sanguinosa battaglia, voluta per interessi sociali ed economici che travalicavano le rivalità e gli odi personali. Firenze fu ghibellina per sessantanni, poi un altro rovescio politico riportò al potere quel popolo crasso di fede guelfa che condusse per secoli la città. Si può dire che per il ghibellinismo i sessantanni di potere a Firenze furono un'occasione perduta? Si potevano cambiare le sorti della città, della Toscana e dell'intera penisola italiana in quel lasso di pochi decenni? Difficile trovare una risposta. Probabilmente quella nobiltà imperiale che a Montaperti il 4 settembre 1260 aveva trovato una vittoria storica grazie ai cavalieri senesi era ormai fuori dal tempo. L'impero non era in grado di reggere le sorti del mondo conosciuto. Il potere papale, forte dell'appoggio di alcuni importanti comuni, era destinato comunque a prevalere. Alcuni anni dopo il guelfo Dante Alighieri provò a trovare una soluzione di compromesso. Ideò la cosiddetta dottrina dei due soli il papa, appoggiato dai guelfi, e l'imperatore, campione dei ghibellini, pensava il sommo poeta dovevano essere due soli che parimente illuminavano le menti delle genti. Niente guerre niente lotte per l'egemonia il potere temporale e ieratico dovevano convivere e guidare le sorti umane. Anche questa era un'utopia, Dante fu esiliato anche per questa sua visione stravagante. La verità che sia il potere imperiale sia il potere papale erano destinati a eclissarsi. imperatore e papa non erano più domini, signori, indiscussi del globo terraqueo, ma soggetti politici alla stessa stregua dei monarchi (francesi o inglesi), dei dogi veneziani, dei signori fiorentini. Il sogno di una comunitas che viveva in pace e unita sotto un unico potere era destinato a tramontare.
testo di Giovanni Falagario

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