LA VITA NELLO SGUARDO ALTRUI
Primo Levi ne "se questo è un uomo" racconta di come lo sguardo di un altro uomo gli ha salvato la vita. Primo Levi era imprigionato a Auschwitz nel 1944. Era di religione ebraica quindi era un condannato a morte. La brutalità nazista considerava gli ebrei esseri inferiori da dover opprimere. Prima di spirare, però, dovevano subire umiliazioni e dovevano lavorare, quali schiavi, per il terzo Reich. L'autore racconta le indicibili torture che doveva subire, identiche ai suoi compagni di sventura. La maestria e la sensibilità di Levi però riescono a narrare la speranza anche in un luogo di disperazione. La speranza, la voglia di vivere, è personificata in un italiano, Stefano, prigioniero politico. I due si guardano attraverso il filo spinato che separa i "politici", cioè coloro che venivano segregati ad Auschwitz "solo" per lavorare, rei di essere renitenti alla leva, cioè di non essere stati collaborazionisti dei nazisti nelle loro terre natie, dai credenti nell'ebraismo destinati alle camere a gas. Uno sguardo che per Primo Levi è stato strumento di salvezza. Uno sguardo che non manifestava ripugnanza per un uomo umiliato, sporco, malmesso quale era Primo Levi sotto il giogo nazista. Uno sguardo di amore. Un messaggio di solidarietà umana in un contesto di infinito dolore. Primo Levi ricorderà nei suoi libri che quello sguardo è stato la molla che l'ha fatto sopravvivere. Il quello sguardo d'amore ha acquistato la consapevolezza che il mondo non è solo l'orrore dei campi di sterminio. Il mondo può ospitare il senso di solidarietà umana. Si può essere umani, si può conservare il senso di solidarietà, anche nei contesti più tragici. Quel prigioniero, anch'esso italiano, che passava a Primo Levi quel poco di cibo che poteva dargli, che custodiva le lettere che l'autore de "La Tregua" scriveva per la sua famiglia, è stato il motivo che l'ha indotto a sopravvivere nei momenti di più oscuro sconforto, l'ha spinto a rimanere in vita fino alla liberazione del campo operato nel 1945 dall'armata rossa. Quel prigioniero che non aveva timore di scambiare una parola e un sorriso a un reietto, a un subumano, come chiamavano i nazisti gli ebrei, è stata l'ancora di salvezza per lo scrittore. Oggi Auschwitz è un ricordo lontano. Negli stadi di calcio italiano si dileggia chi è morto, innocente, per la violenza nazista. Sembra che si sia perso quel senso di umanità che ha spinto quel "prigioniero comune" a guardare Primo Levi come una persona e non come uno scarto. Invece di piangere per il dolore che l'uomo può infliggere a un altro uomo, si inneggia a quei latori di morte che sono stati i seguaci di Hitler. Certo, grazie a Dio, non ci sono più i lager, almeno nel nostro paese, ma traspare chiaro che non c'è neanche lo sguardo di Stefano, lo sguardo che vede nell'altro, nel diverso per motivi di etnia, cultura religione, o per tanti altri motivi, non un reietto, non un rifiuto, ma un altro essere umano. Primo Levi riuscì a sopravvivere grazie allo sguardo di Stefano, siamo sicuri che Stefano ha trovato beneficio nello sguardo di Primo. Nell'amore solidale si può scoprire un modo per essere persone migliori. L'accoglienza, l'affetto, la compassione verso gli altri è il modo per essere persone migliori e per vivere meglio la vita. Ecco l'insegnamento che Stefano, l'uomo che riconosce la dignità umana nel prigioniero ebreo Primo Levi. ci ha lasciato.
Testo di Giovanni Falagario
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