mercoledì 27 dicembre 2017

FRANKENSTEIN COMPIE DUECENTO ANNI



DUECENTO ANNI DA MOSTRO
Il primo gennaio del 1818 usciva il romanzo di Mary Shelley "Frankenstein ovvero il Prometeo moderno". Il testo era il frutto di una sfida letteraria che la scrittrice aveva ingaggiato con altri illustri letterati comeByron,Polidori e Mary Wollstonecraft. Tutti questi scrittori erano intenzionati a fondere la cultura romantica con la tensione alla ricerca scientifica. Il progresso, per loro, poteva conciliarsi con lo strurm und drang, tempesta e impeto in tedesco, che stava caratterizzando l'afflato romantico dell'Europa del XIX secolo. Come un novello Prometeo il dottor Victor Frankestein sfida le leggi della natura e del divino dando vita a una creatura dalle fattezze mostruose. Questo atto sacrilego ha colpito la fantasia di miliardi di persone in questi due secoli. Sono stati tantissimi i lettori del romanzo della Shelley. Tantissimi coloro che si sono terrorizzati leggendo le pagine del racconto. Tantissimi che ne sono rimasti affascinati. Il cinema, novella arte del XX secolo, si è appropriato del personaggio, creatura unica e magica esattamente come lo è l'arte creata dai Fratelli Lumiere, e ne ha tratto diversi films. La stessa autrice non avrebbe mai immaginato che un romanzo che doveva essere il frutto di un gioco letterario fra gente dotta, avrebbe avuto un successo così diffuso e durevole nei secoli. Certamente la trama di Frankestein si basa su un archetipo letterario che è conosciuto da millenni. L'idea che la creatura, l'uomo, si faccia creatore, faber, ha delle basi finanche nella Bibbia, Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito per farsi dio, lo stesso vale per gli uomini che vollero costruire la Torre di babele. L'idea della sfida al divino è insita in tutte le culture. Non a caso Shelley definisce il suo personaggio "novello prometeo", anche per esplicitare la consapevolezza che la sua storia si poggiava su precedenti letterari di indubbio spessore. Nella cultura Ebraica della diaspora il Golem, creatura misteriosa frutto delle regole alchemiche e della sapiente lettura della Thora attraverso la cabala, non è altro che un Frankestein frutto della capacità di alcuni dotti rabbini di fare propria la vis divina di dare vita attraverso l'interpretazione e la lettura del sacro testo. Secondo la tradizione ebraica dell'Europa Orientale si poteva, attraverso lo studio dei libri sacri e delle leggi della natura, capire come Dio abbia creato la vita e imitarlo, anche se non in maniera piena e precisa, dando vita a un essere quasi umano e mostruoso denominato, appunto, il Golem. Insomma Shelley sceglie un tema che ha affascinato tutto il genere umano, incuriosendo la psiche di tutti coloro che si imbattono nel tema. Il mostro è destinato a perire. Shelley racconta che il suo lento prendere coscienza di sé, il diventare essere sciente da mostro che era, lo induce al suicidio. Le ultime pagine del Romanzo sono dedicate a una straziante lettera che il Mostro scrive al "padre" il dottor Frankestein. In queste parole descrive tutta la sua frustrazione nel costatare che la presa di coscienza di sé, la consapevolezza di essere persona e non una creatura mostruosa, invece di procurargli gioia gli ha dato la consapevolezza di non avere posto in questo mondo. Quando era privo di anima conduce la vita senza senso, distruggendo e procurando morte al prossimo, poteva vivere, ora che sa di essere invece non gli rimane che distruggersi. Il Mostro, cosciente di non avere spazio nella società umana, si uccide dandosi fuoco come se fosse una vittima sacrificale immolata a una società crudele che crea vita ma non la sa tutelare. Chi paga non è il dottor Frankestein che ha sfidato le regole della natura, ma è la sua creatura venuta al mondo non certo di sua volontà. Una fine tremenda che condanna la diversità al dolore, alla emarginazione e alla morte senza alcuna possibilità di riscatto.
Testo di Giovanni Falagario

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