venerdì 31 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 51 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

"Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini.

La legge può, per l'emissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.

Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro"

L'articolo 51 della Costituzione Italiana sancisce che tutti i cittadini hanno la possibilità, se posseggono i requisiti appropriati, di accedere alle cariche e agli uffici pubblici. Non vi possono essere discriminazioni di genere, cultura, religione o di origine geografica. Chiunque è cittadino italiano può diventare parlamentare, se eletto, funzionario pubblico, insegnante o magistrato se vince i concorsi di accesso al ruolo. Nessuna discriminazione è ammissibile. Soprattutto non vi può essere alcuna preclusione dovuta al genere di appartenenza. Sia se si è uomo sia se si è donna si può ricoprire una qualsiasi carica pubblica. In Italia per la prima volta sono state ammesse le donne a ricoprire il ruolo di rappresentanti del popolo proprio in occasione delle elezioni all'assemblea Costituente che nell'arco temporale che va del 2 giugno del 1946 al 22 dicembre del 1947 ha scritto e approvato la legge fondamentale del nostro paese. E' stata la prima volta in cui le donne hanno ricoperto il ruolo di elettrici attive, scegliendo i candidati, e hanno avuto la possibilità di candidarsi, elettorato passivo. E' stata una conquista fondamentale per l'intera comunità nazionale, che ha potuto avvalesi anche nell'ambito della politica della preziosa umanità e sensibilità che caratterizza ogni donna. La Costituzione ha avuto un tocco di bellezza e di sensibilità alle tematiche di solidarietà sociale per l'approccio imposto dalle grandi donne che hanno partecipato all'assemblea fondativa della nostra Repubblica. Come non ricordare Tina Anselmi, staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, deputato e senatore della Repubblica, ma soprattutto membro della Assemblea Costituente il cui contributo ha reso possibile la stesura di molti articoli, fra cui l'articolo 3, quello dedicato all'uguaglianza non solo di genere. Tante altre donne hanno reso lustro alla assemblea eletta nel 1946. Ricordiamo la signora e onorevole Merlin. Insomma fin da subito si è visto che il principio di uguaglianza non solo mette fine a un'ingiustizia millenaria, che pone le donne in uno stato di soggezione rispetto all'uomo, ma permette alla Repubblica di avvalersi del prezioso contributo di persone valenti e valevole, escluse dalla vita istituzionale solo perché donne. Il primo comma dell'articolo 51 è stato integrato con legge costituzionale del 30 maggio 2003. Si è aggiunto "A tal fine (per promuovere l'uguaglianza fra i generi) la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini". Insomma si è voluto sottolineare che non solo la Repubblica deve promuovere l'uguaglianza formale, ma anche quella sostanziale fra i generi. Si deve fare promotrice di azioni sociali volte a superare gli ostacoli alla piena integrazione del genere femminile. Non è uno sconvolgimento dell'articolo 51, ma ne è un rafforzamento. Non solo lo stato deve evitare di discriminare, ma deve anche agire affinché ogni discriminazione nella nostra società sia superata. Per questo si impone che alle elezioni politiche siano candidati in quote paritarie entrambi i generi in ogni formazione politica. Per questo si impone che nei pubblici uffici ci sia in egual numero impiegati ed impiegate. Tanti passi avanti sono stati fatti, altri ancora bisogna farne, ma l'obbiettivo deve essere il superamento di ogni discriminazione legata al sesso. Il secondo comma stabilisce che la legge può equiparare gli italiani che non hanno la cittadinanza italiana, perché figli di migranti, ai cittadini. Anche questi nostri connazionali possono avere la possibilità di partecipare alla vita civile e istituzionale del paese. Possono essere titolari di uffici pubblici, possono svolgere il ruolo di funzionario dello stato, possono essere eletti in parlamento. Questo è stato voluto per mantenere saldo e forte il rapporto con le persone che nei momenti di crisi economica e sociale hanno lasciato il nostro paese per raggiungere terre lontane. Per mantenere il legame con i loro figli. E' un gesto di solidarietà umana e culturale a cui non possiamo che applaudire. I figli di italiani migranti hanno diritto ad essere italiani. Esattamente come avrebbero diritto ad essere italiani coloro che sono nati in Italia da genitori stranieri, un diritto negato dalla politica e dalla cecità istituzionale. E' ora che sia approvato lo ius soli. L'ultimo comma dell'articolo 51 della Costituzione garantisce a chiunque voglia impegnarsi nel servizio verso la società a non perdere il proprio posto di lavoro. Chi è chiamato a cariche pubbliche elettive ha diritto a non perdere il proprio posto di lavoro. Ha diritto a permessi congrui per svolgere le proprie attività istituzionali. Ha diritto a mettersi in aspettativa, se il suo impegno politico è inconciliabile in maniera assoluta con il lavoro quotidiano. L'ultimo comma è stato voluto per dare la possibilità anche a coloro che non hanno rendita, a coloro che vivono solo del proprio lavoro, di partecipare alla vita della nazione. In passato ciò non era possibile. Chi era eletto doveva rinunciare al proprio posto, per tale ragione solo i magnati e i proprietari terrieri sedevano nei parlamenti. Questo è stato considerato inaccettabile dai costituenti. Anche l'operaio, il professore, l'avvocato, l'imprenditore, l'impiegato amministrativo possono dare il loro contributo all'attività pubblica. Per questo motivo c'è la possibilità che siano sostituiti nel lavoro precedentemente svolto, senza che vi sia nocumento per il proprio futuro, una volta finito il proprio mandato istituzionale hanno diritto a riprendere l'attività già'svolta. Un principio fondamentale di eguaglianza sostanziale. Tutti devono essere messi nelle condizioni di avere cariche pubbliche, svolgere attività politica senza che siano discriminate a causa del genere, del lavoro svolto e della preparazione scolastica acquisita. Questo è ciò che l'articolo 51 prescrive.
Scritto da Pellecchia Gianfranco

mercoledì 29 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 50 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”.

L’articolo 50  della nostra carta fondamentale introduce una forma di democrazia diretta all’interno del nostro ordinamento. La comunità dei cittadini possono partecipare alla stesura e al dibattito di provvedimenti legislativi attraverso petizioni. Questo è un aspetto importantissimo del nostro ordinamento. Ognuno di noi, anche se non fa parte delle istituzioni, anche se non è stato eletto, può esporre le proprie idee che saranno dibattute e votate dalle assemblee dei nostri rappresentanti. L’istituto della petizione ha origini antichissime. Fin dall’antica Roma un suddito poteva appellarsi all’imperatore chiedendo grazia o proponendo una soluzione a problemi dell’impero. Con la nascita delle democrazie moderne, il governante o il legislatore deve ascoltare le richieste dei cittadini. Il Parlamento inglese, ad esempio, quotidianamente deve porre orecchio alle interpellanze del popolo compiute attraverso petizioni. Questo dovere è imposto da una tradizione plurisecolare che impone a coloro che detengono il potere di porre orecchio al popolo quale vero signore di fronte a una classe politica che lo deve servire. Negli Stati Uniti gli appelli al Congresso, la camera dei rappresentati americana, sono regolati dalla Costituzione e dagli emendamenti a questa, che raccolgono i diritti dell’uomo e dei cittadini. Insomma la possibilità da parte del popolo di partecipare alla attività normativa dello stato è una delle caratteristiche comuni a tutti i governi democratici. Purtroppo le proposte di legge a iniziativa popolare non sono molto tenute in considerazione nel nostro parlamento. In realtà non è mai capitato che una legge nascesse da iniziativa dei cittadini. Tutte le proposte di legge del popolo da quando è nata la repubblica non sono mai state approvate. Questo malgrado il dovere che ha il parlamento di dibattere almeno una volta in una commissione competente per materia la proposta. In questi decenni, ad onor del vero, alcune proposte di legge popolare sono state inglobate in provvedimenti legislativi di iniziativa o parlamentare o governativa simili. È un modo per prestare orecchio alla voce del popolo. Ma non basta. Sarebbe necessario che si facesse di più. Sarebbe auspicabile ad esempio che i regolamenti delle due camere imponessero che una proposta di legge o una petizione popolare fosse necessariamente dibattuta in aula. Questo consentirebbe almeno che la proposta sia discussa pubblicamente. Questo sarebbe un modo per attuare l’articolo 50, che nei fatti non è mai stato applicato, pur avendo contenuti ideali e giuridici di grande spessore. Le forme di democrazia diretta, come è appunto la petizione e l’iniziativa popolare di provvedimenti di legge, vanno utilizzate. È bene che ogni cittadini partecipi alla vita delle istituzioni statuali. Solo così potremmo superare quello iato che divide lo stato da noi comuni esseri umani. La partecipazione è uno strumento per esercitare la libertà non scardinando le regole di convivenza. Sapere che si può dire la propria, senza rompere sedie senza fare violenza, è un modo per diventare cittadini migliori e per rendere la nostra Italia migliore.
Scritto da Pellecchia Gianfranco

martedì 28 luglio 2020

MELANCONIA PASCOLIANA


MELANCONIA
Al crepuscolo canta un cardellino
mentre ch'io penso, amici, all'avvenire:
sembrano i pioppi, mentre ch'io cammino,
nell'infinita opacità fuggire.
Amici! Un avvenir penso giocondo
mentre fuggono e vanno i giorni miei,
mentre, nel buio più e più profondo,
amici, esser beato io sognerei!
Canta, o buon cardellino, e m'accompagna
un poco in questa buia eterna via:
addolcisci la pallida campagna
e consola la mesta anima mia:
cantami i canti miei dimenticati
e ritornali al cuor riconoscente:
ridimmi i piacer miei belli e sfumati,
fammi morire consolatamente.
Giovanni Pascoli

PARLANDO DI COSTITUZIONE



NOTE A MARGINE SULL’ARTICO 49 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

TUTTI I CITTADINI HANNO DIRITTO DI ASSOCIARSI IN PARTITI PER CONCORRERE CON METODO DEMOCRATICO A DETERMINARE LA POLITICA NAZIONALE.

L’articolo 49 della Costituzione Italiana è uno dei capisaldi della nostra democrazia. È l’indicazione perentoria di come si deve esercitare la politica in un ordinamento libero, libertario e democratico. Tutti i cittadini, nessuno escluso, hanno il diritto, che è anche un dovere, di partecipare attivamente alla vita pubblica dello stato. Devono far sentire la propria voce, devono far valere le proprie idee, questo è stato nel 1948 quando è stata promulgata la nostra Carta Costituzionale, questo è un principio ancor oggi saldo a 72 anni dalla nascita della nostra legge fondamentale. La partecipazione, come diceva Giorgio Gaber in una famosa canzone, è il fondamento del nostro stato ed è l’unico reale e tangibile strumento per difendere la nostra libertà. Non c’è libertà se non ci siamo noi che combattiamo con le parole, pacificamente, per difenderla. Come i nostri padri l’hanno conquistata brandendo le armi, penso ai partigiani che hanno combattuto l’invasore tedesco, noi siamo chiamati a difenderla con gli strumenti del dialogo e della dialettica verbale. Allora utilizziamo l’articolo 49 della Costituzione Italiana come un vessillo. Come una guida sicura nei meandri della vita pubblica. Diventiamo protagonisti del vivere, e facciamo della partecipazione il  nostro fondamento etico. Noi vogliamo far del bene al nostro paese operando attivamente per esso. Allora partecipare vuol dire attivarsi. Penso ai parenti delle vittime del Coronavirus al Pio Albergo Trivulzio, potevano piangere in silenzio in propri cari, invece hanno scelto di raccontare il loro dolore e chiedere verità e giustizia a delle istituzioni silenti ed assenti. Penso all’attivismo di medici ed infermieri che non solo hanno salvato vite, ma hanno tracciato un percorso etico e politico da percorrere per uscire insieme dalla crisi, attraverso il loro lavoro indefesso. Anche questa è politica costituzionale, anche questo è concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. È un modo per sopperire le lacune che ci sono, penso con un brivido a cosa sarebbe oggi la Lombardia, la regione più ricca d’Italia, senza lo sforzo dei tanti operatori sanitari. Allora pensiamo a una politica diversa, che in realtà è quella vera e primigenia, ove non contano tanto i voti, gli scambi di favore, l’esercizio del potere. Ma dove conta il servizio. L’aiuto al prossimo è il fulcro dell’azione sociale. Allora da una parte ci siamo noi cittadini che dobbiamo far sentire la nostra voce, gridare cosa reputiamo vada male e proporre soluzioni, attraverso una sana partecipazione democratica. Dall’altra c’è la concreta attività politica che va costruita nel quotidiano. Come? Attraverso l’utilizzo dei partiti, che non devono essere altro che associazioni finalizzate al confronto democratico, come elementi di congiunzione fra le istituzioni (il parlamento, le regioni, il governo) e la società detta civile, che in realtà dovrebbe semplicemente dire “noi tutti” che viviamo le ambasce del quotidiano. Allora partecipiamo, discutiamo, essia!!, a volte litighiamo e scambiamoci male parole, ma proviamo a costruire dal basso una democrazia partecipata che contribuisca attivamente a rendere migliore il nostro paese. La libertà è messa in discussione dalla violenza. Penso alle terribili giornate delle stragi Nere e delle Brigate Rosse. Noi dobbiamo ricordare che ogni forma di aggressività deve essere bandita. Il confronto democratico è il bene assoluto che esorcizza ogni forma di guerra. La partecipazione di tutti è eliminazione di ogni forma di esclusione, ed è l’emarginazione che porta al buio della storia, è l’esclusione che conduce all’assassinio, ecco perché la compartecipazione è l’unico modo per rendere la nostra vita sociale pacifica e fondata su valori che portano inclusione e solidarietà.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”

L’articolo 49 della Costituzione Italiana sancisce il diritto di ogni cittadino a concorrere alla vita democratica del paese. Questo è il concetto cardine che esprime. Nessuno ha diritto a far tacere l’altro. Tutti devono aver pari titolo nel decidere dei destini del paese. Come fare perché questo dettame costituzionale prenda forma? Utilizziamo i partiti, libere associazioni di cittadini, per fare in modo che tutti partecipino alla politica nazionale. Il partito diventa tramite fra stato e cittadino. Il partito è un corpo intermedio attraverso il quale il cittadino fa sentire la propria voce nelle istituzioni. Ma il partito non è solo una “cinghia di trasmissione”, come si diceva in passato, fra istituzioni pubbliche e singolo cittadino. Il Partito è anche luogo di confronto ideale fra le persone. È una palestra ideale in cui si forma un’idea di stato e un modo di governare la nazione. È lampante che non vi possa essere una sola visione del mondo e della società. Non vi può essere un solo partito che governa i destini di un paese. La pluralità di individualità e di idee, caratteristica di ogni società, deve esplicitarsi anche nella politica con la presenza di una pluralità di organizzazioni politiche che si sfidano nell’agone democratico. Quando una visione del mondo e delle cose vuole prevaricare sulle altre. Quando un partito impone l’abolizione degli altri partiti. Così sorgono i regimi totalitari. Ce lo ricorda la triste parabola del partito fascista in Italia nella prima parte del XX secolo. Ce lo ricorda la storia del partito nazista in Germania, con gli esiti tragici che ha prodotto la follia totalitaria di Hitler. Ce lo ricorda la parabola di morte che ha assunto la storia del partito comunista in Russia. Quando un partito e i suoi leader vogliono eliminare ogni avversario, vogliono imporre la loro idea con la forza e non con la ragione, allora si genera solo guerra e morte. Questo i nostri padri costituenti l’avevano ben presente. Scrivevano la Costituzione all’indomani di una guerra tragica, che il duce, Mussolini, aveva voluto incurante dei milioni di morti e delle sofferenze che avrebbe procurato all’intera nazione. Allora è necessario che la democrazia sia preservata. È necessario impedire che un uomo, una sola organizzazione politica, prenda in mano le redini del paese. Sia chiaro non si sta dicendo che se un partito prende il 50% + 1 dei consensi non debba formare e guidare da solo il governo del paese. Si sta dicendo che governare è cosa diversa dal comandare, o dall’imporre con la forza il proprio volere. Un partito che avesse la maggioranza dei consensi deve condurre il paese, ma lo deve fare rispettando i principi cardine di libertà di parola, di libertà di fare opposizione politica. Deve garantire che una volta che finirà il suo mandato sia possibile fare nuove elezioni libere e democratiche. Deve garantire che il paese respiri l’aria di libertà, che consiste nel diritto di dire ciò che si vuole anche se si è minoranza. Questi principi cardine dell’ordinamento democratico non devono essere mai messi in discussione. I partiti devono rendere la vita sociale del paese migliore garantendo la pluralità e il confronto. Ma cosa si intende per partiti? Partiti sono le organizzazioni, che ponendosi come fine plurali finalità sociali, uniscono alcuni cittadini in un progetto comune. L’unico chiaro limite alla formazione dei partiti è che devono essere democratici, cioè devono avere una struttura interna che garantisca che vi siano delle assemblee, dei congressi, degli incontri degli aderenti e degli iscritti per determinare sia la dirigenza del partito o organizzazione politica e le linee politiche più importanti. Questo è necessario. Ogni partito deve garantire la partecipazione interna. Non basta il voto degli elettori per garantire la democrazia, occorrono regole interne che rendano trasparenti gli atti politici delle organizzazioni. Lo stato, la repubblica, considera illegali i partiti che non hanno nella democrazia i suoi cardini fondamentali. L’articolo XII delle disposizioni Transitorie e finali della Costituzione vieta tassativamente la riorganizzazione del disciolto partito fascista. È una norma cardine. Partiti che predicano la violenza, che credono che ci sia una “razza” migliore delle altre, che ha diritto di comandare e di sterminare gli altri, partiti che perseguono gli oppositori, non possono avere posto nell’arco costituzionale, devono essere sciolti. La libertà di formare partiti non deve tracimare nella possibilità di violare i principi di dignità umana, di pluralità, di rispetto per il prossimo cardine dello stato repubblicano. I Partititi devono essere democratici, se no, non sono. Non hanno diritto a cimentarsi alle elezioni, e non solo, non hanno diritto a partecipare alla vita sociale del paese. Questo vale anche per i pseudo partiti di sinistra estrema che predicano la violenza e la prevaricazione. Fa rabbia la dichiarazione del leader politico di destra Silvio Berlusconi. Davanti alle critiche rivolte a Forza Italia, Lega ed alleati di essere di estrema destra, il cavaliere ha risposto facendo notare che l’alternativa allo schieramento di destra, che annovera esponenti del fascismo, sono i centri sociali che assaltano le camionette della polizia. Fa rabbia costatare che ha ragione. Che il dibattito politico in queste elezioni sia monopolizzato dall’estrema destra di lega e Forza Italia e dalla violenza dell’estrema sinistra. Dove sono i partiti costituzionali? Dov’è il PD? Dov’è il Movimento Cinque Stelle? Queste organizzazioni devono dare una risposta forte, ancora solo blaterata. Devono dire che una democrazia in Italia è ancora possibile! Che il dibattito politico non è relegato ai violenti. Che la democrazia e il principio di pluralismo scritto nell’articolo 49 è ancora raggiungibile. Che Berlusconi ha torto nel dire che il confronto politico si fa fra chi spara ai migranti, come ha fatto un esponente della Lega a Macerata qualche giorno fa, e chi assalta le camionette delle polizia.

CI LASCIA L'ULTIMA INTERPRETE DI VIA COL VENTO



CIAO MELANIA

Il 26 luglio 2020, a Parigi, è spirata Olivia Mary de Havilland. È stata la Melania dell’intramontabile film “Via col vento” di Victor Fleming. Ma la sua bravura e duttilità artistica l’ha portata ad interpretare le più diverse personalità nell’ambito della filmografia mondiale. Ha per ben due volte vinto il Premio Oscar per la miglior interpretazione femminile. L’attrice è spirata alla veneranda età di 104 anni. Era nata a Tokyo il 1 luglio 1916. Il padre, Goeffrey, era sempre in viaggio noto avvocato prestava le sue competenze anche alla allora nascente industria nipponica. Era esperto in innovazione. Adoperava le sue conoscenze giuridiche per l’aggiudicazione di brevetti hanno segnato la storia della tecnologia industriale. La mamma di Olivia era la famosissima Liliam Auguste Rose, conosciuta ed applaudita nei teatri di Londra con il suo nome d’arte La Fontaine. Olivia aveva una sorella più piccola, Joan, che anch’essa sarà attrice famosissima assumendo il nome della madre, Fontaine, quale appellativo per farsi conoscere nel mondo dello spettacolo. La rivalità fra le due poi diventò proverbiale. Erano sempre in attrito e competizione. Quando Joan le Fontaine vinse l’Oscar per la partecipazione al film di Alfred Hitchcock “Il sospetto” la sua rivale principale era proprio la sorella Olivia Havilland che era nell’agone con il film “La Porta d’oro” di Mitchell Leisell. La Fontaine disse sarcasticamente: io arrivo prima di mia sorella in tutto, sarà così anche nella morte. Le sue parole furono, credo involontariamente, profetiche l’attrice è morta in California il 15 dicembre 2013, dobbiamo dire anch’essa ad una età ragguardevole anche se prima della sorella. Ma la rivalità fra le due consanguinee non si spegne con l’oscar del 1942. In quella occasione vinse il premio Le Fontaine, ma nel tempo la rivalità si accese e in futuro l’alloro della vittoria spetterà a Olivia, che vince l’Oscar per la sua interpretazione nel film “A ciascuno il suo destino” di Mitchell Leisen, siamo nel 1946, e lo rivinse anche nel “L’ereditiera” di Wiliam Lyeder nel 1949, film in cui è affiancata da un giovanissimo Montgomery Clift.

La stella di Olivia de Hallivard si accende perché è ottima interprete teatrale. Le sue piece dedicate alle opere di Sheakspeare riempiono i teatri di Londra e degli Stati Uniti. Fu a cavallo della seconda guerra mondiale, quando il suo nome era già legato al successo indiscusso di “Via col Vento” girato nel 1939, che decise di acquisire la cittadinanza americana. Assieme a Hitchcock, Chaplin, Stan Loren e tanti altri, fu  attrice inglese che ebbe ai suoi piedi la grande macchina cinematografica di Hollywood. “Via col Vento” resterà il film più famoso che ha interpretato. Nonostante abbia vinto gli Oscar, malgrado le sue strepitose commedie “cappa e spada” girate al fianco di Errol Flynn, altro strepitoso attore, che rimarrà per sempre nella storia per la sua interpretazione di Robin Hood, in cui Olivia faceva la parte di Marian, la partner – fidanzata del famoso ladro gentiluomo d’Inghilterra. Ma quello che ha fermato gli orologi della storia e ha reso la de Hallivard indiscussa Star di tutti i tempi è “Via col vento”. Anch’essa, come i suoi compagni d’opera Clarke Gable, Vivian Leigh e tanti altri, pur avendo carriere magnifiche e compiendo molteplici interpretazioni di primordine, saranno legati alla conturbante storia legata alla tenuta agricola di Tara, nel sud degli  Stati Uniti segnati dalla guerra di secessione, siamo intorno agli anni 60 del XIX secolo. Un film strepitoso, che ha segnato la storia della filmatografia mondiale, è stato girato nel 1939. Ancora oggi è oggetto vibrante di discussione, ad esempio per il modo in cui rappresenta la popolazione di colore, per i critici in maniera troppo sottomessa e rinunciataria, pronta a riconoscere una presunta supremazia bianca. Non a caso il movimento di questi giorni “Black Lives Matters”, che lotta per la dignità e l’uguaglianza formale e sostanziale della popolazione statunitense di colore, ha chiesto il bando del film. Chi vi scrive non è d’accordo. Si è vero il film, come qualsiasi opera d’ingegno umano, non è aliena da incrinature ideologiche anche razziste. Ma non bisogna dimenticare che “Via col Vento” è stato il primo film che ha permesso a un’attrice di colore, Hattie McDaniel, nel ruolo strepitoso della nutrice della protagonista Rossella, di vincere l’Oscar. Insomma ogni componimento, anche il romanzo più importante per dirla chiara, ha degli aspetti censurabili, delle incrinature ideologiche che non sono accettabili in una società democratica e plurale. Ciò da una parte non deve esimerci dal criticare, ma allo stesso tempo è bene non censurare ma conoscere con occhio critico. È la mia posizione personale. Gli atti discutibili, gli atteggiamenti razzisti, non devono indurre a cancellare un componimento, ma a saperlo studiare anche con un occhio, concedetemi il termine, politico. Nel senso che bisogna ammirare l’arte, ma anche saper cogliere i proponimenti ideologici che stanno dietro ad essa, e criticarli se è il caso. Mai si deve cancellare un qualcosa, la cui bellezza può accendere l’animo non solo nostro ma anche dei nostri discendenti. Insomma “Via col vento” rimarrà un film che suscita dibattito. Un componimento controverso che è fonte di reazioni contrapposte. Ma rimane anche un agone artistico in cui si sono messi in gioco artisti, attori, di gran calibro, quali anche la Havilland. Per questo motivo non bisogna lasciarlo nel dimenticatoio.

La carriera di Olivia Mary Havilland prosegue anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma i suoi film hanno sempre meno risonanza nel mondo dello spettacolo. Rimane comunque attrice indiscussa. La sua notorietà e bravura accende gli animi del pubblico e della critica, ma non ci sono per lei i fasti da prima stella che ha avuto a cavallo della metà del XX secolo. È una donna colta, paziente, che si è distinta per le opere di beneficenza e per l’aver accudito il marito prematuramente ammalato e, poi, morto di cancro. Le sue ultime interpretazioni risalgono agli inizi degli anni ’80, in cui interpretò il catastrofico e spettacolare “Airport”. La sua fama rimarrà per sempre insieme a quella della sorella rivale Liliam, che come abbiamo ricordato scelse il nome d’arte La Fontaine. È bene sottolineare che al momento sono le uniche sorelle ad aver vinto entrambe un premio, in verità per Olivia più di uno, Oscar.  Che dire? Per parafrasare una frase di un suo film famosissimo: Domani è un altro giorno, ma senza di lei sarà certamente un po’ più cupo.

lunedì 27 luglio 2020

SANTA SOFIA, ISTANBUL E LA LAICITA' DELLO STATO



L’INCROCIO DI FEDI

Istanbul è nata come Costantinopoli. Fu fondata dal grande imperatore romano Costantino nel 333 Dopo Cristo, che gli dette il suo nome. Si chiama anche Bisanzio, perché fu costruita nelle vicinanze, praticamente sulle fondamenta, della antica città fondata dai coloni di Megara, denominata per l’appunto Bisanzio. Nel 1517, a seguito della conquista Turca, divenne Istanbul, che in realtà è un termine che i Turchi presero dalla lingua greca. Infatti è l’acronimo di “Eis ten Polin”, che vuol dice nel linguaggio di Omero “questa è la Città”, la città per antonomasia, il centro del mondo. Poi l’adattamento all’idioma turco l’ha fatta diventare Istanbul. All’interno della città che sorge sullo stretto del Bosforo, c’è Santa Sofia, la cattedrale che i greci dedicarono alla Sapienza, divenuta una santa del Cristianesimo. Santa Sofia durante con l’arrivo dei Turchi e dell’impero Ottomano diventò la moschea Benedetta dalla Sapienza. Una scelta esplicita per provare a creare una continuità di significato storico, pur nella radicale frattura del passaggio dalla fede Cristiano – Ortodossa a quella per Allah. Insomma come i Greci veneravano la sapienza di Dio, gli islamici fanno la stessa cosa, all’interno di quel monumento. Passarono molti secoli. Siamo nel XX. La Turchia perde la guerra, la prima tremenda Guerra Mondiale. È sconfitta, come lo sono gli alti due imperi con lei alleati, l’Austria e la Germania. La Turchia perde il suo dominio sul Mediterraneo. Diventa una repubblica, guidata dal padre della patria turca moderna , Mustafa Kemal Ataturk. Questi riesce a trasformare l’Anatolia, da entità territoriale frustata da una sconfitta assoluta e definitiva, in uno stato moderno repubblica e, soprattutto, laico. Si ispira alla Francia repubblicana nel modellare il suo sistema statuale. C’è libertà di culto, ma lo stato rimane estraneo a tutte le questioni di fede. Ataturk risolve la questione Santa Sofia, moschea o cattedrale cristiana, con una scelta netta. Nel 1935, la chiesa che aveva visto incoronare gli imperatori bizantini, la moschea che aveva visto pregare gli imperatori ottomani, diventa un museo che racchiude in sé gran parte della bellezza e la cultura della penisola Anatolica, che ricordiamolo ha una storia antichissima, per farsi solo una piccola idea, è nell’attuale Turchia che sorgeva la Troia (intesa come la città di Ilio, sia chiaro) cantata da Omero. È un modo per far conoscere ai visitatori gli splendidi mosaici bizantini, coperti da tappeti durante il periodo in cui Santa Sofia è stata mosche. Infatti per un credente islamico è blasfemia raffigurare in qualsiasi forma il divino, di conseguenza i quadri greci erano stati celati. Ma anche un modo per far conoscere gli splendidi e colorati disegni geometrici che caratterizzano l’architettura e la decorazione di ispirazione islamica. L’attuale presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, leader di un partito confessionale e indiscusso leader dell’intera Turchia, ha dichiarato che entro la fine del 2020 Santa Sofia tornerà ad essere una Moschea. I vescovi ortodossi hanno vibratamente protestato. Il papa Francesco ha ricordato il legame profondo fra Santa Sofia e la cultura e la fede cattolica. Bisogna, se è lecito interpretare le parole papali, che Santa Sofia resti un museo per rimanere chiesa o moschea nei cuori dei fedeli aderenti alle diverse fedi monoteiste. Difficile che Erdogan torni indietro. Da diversi anni ha fondato la sua politica sull’essere fautore di una politica confessionale, di ispirazione islamica. Anche questo vuole essere un esperimento: conciliare una democrazia di stampo occidentale con la sua volontà di essere uno stato che orgogliosamente si dichiara devoto di Allah. La Turchia di Erdoan oggettivamente c’è riuscita. Pur con contraddizioni, ad esempio perseguita giornalisti e movimenti politici suoi oppositori, fino a mettere in galera “chi parla troppo”, la Turchia rimane una Repubblica, con libertà di pensiero e di stampa, in cui alcune persone possono anche opporsi al regime, l’esempio è Ferit Orthan Pamuk, premio nobel per la letteratura, che non nasconde la sua avversione per il capo del governo e comunque non è arrestato. Alsi Erdogan, solo omonima del presidente, è invece una scrittrice turca che ha dovuto subire arresti e processi per il suo essere dissenziente. Ma oggi è donna libera, assolta da ogni accusa. Insomma la decisione di far tornare santa Sofia ad essere Moschea non è altro dal disegno autoritario di Erdogan. È bene tenerlo presente. Forse dire no al ritorno del museo di Istanbul ad essere centro di preghiera dell’Islam, non è solo una scelta volta a rispettare la storia del monumento, ma anche un modo per garantire libertà e democrazia piena a tutta la Turchia. Insomma l’incontro tra fedi è anche questa volta una ricerca di pace.

L'IGNORANTE, CHI SCRIVE, IO, E FREUD



ES

Che cosa è “l’es”. Per la psicologia è la presenza della natura nell’animo umano. Una affermazione importante certo. Per me che sono ignorante è difficile mettere in chiaro questo concetto. Prima di tutto bisogna essere consapevoli della dicotomia fra ognuno di noi e la natura che ci circonda. Noi siamo ciò che siamo, siamo una individualità specifica, proprio perché ci mettiamo in contrapposizione con l’altro, con l’altra donna o uomo che ci sono vicini, ma anche con il mondo naturale che ci circonda. L’uomo è diventato tale perché ha preso consapevolezza di essere, certamente parte, della natura, ma allo stesso tempo componente speciale e particolare del mondo naturale. La sua capacità di distinguersi da esso è il frutto della capacità propria del genere umano di pensare e, soprattutto, di pensarsi. L’uomo acquista consapevolezza di se stesso, perché si contrappone a ciò che è naturale. Ma questo non comporta che sia fuori dalla natura. L’uomo è parte del naturale. Il naturale è fondamentale parte della vita dell’uomo. Ecco perché Sigmund Freud concepisce il concetto di “es”. L’uomo è esso, es in latino è il pronome terza persona singolare, cioè è anche naturalità ed istinto. Anzi proprio questi aspetti contribuiscono a formare in maniera esaustiva la singola personalità di ciascuno di noi. È l’incontro scontro dialettico fra “es”, fra gli istinti, e il super ego, cioè la consapevolezza che è bene obbedire alle regole sociali e alle convenzioni che la vita comune degli uomini ha posto, che contribuisco a formare nel bene e nel male l’Ego, cioè la personalità di ognuno di noi. Ma il mio procedere nel pensiero può apparire azzardato. Freud non è Hegel. Per il secondo è “naturale” e benefico  che attraverso il confronto e scontro fra due concetti in antitesi, pervenga una sintesi che vuol dire superamento e soluzione di una controversia. Per Freud non è così. Le molteplici tensioni emotive e razionali che caratterizzano l’essere umano non hanno una soluzione, una tensione a superare il problema e a guardare avanti. Le conflittualità che albergano nella mente dell’uomo, per Freud, sono costanti e in sostanza insuperabili. Si possono sublimare, esattamente come il ghiaccio può diventare immediatamente sostanza gassosa, cioè possono diventare il motore che spinge ogni essere della nostra specie a creare. Ma non possono essere risolte e non possono essere contenute, pena gravissimi danni per la psiche.  Per Freud, infatti, qualsiasi atto razionale dell’uomo è mosso dall’irrefrenabile sete di soddisfare i nostri istinti. La passione istintuale crea l’estro creativo dell’artista. La stessa, però, genera l’istinto omicida dell’assassino. Ogni atto, vile o ottimo che sia, è il compimento del bisogno di soddisfare i nostri istinti più reconditi. Insomma è “ES”, cioè il nostro essere più naturale, brutali, che ci spinge a creare o a distruggere. È la fame di bisogni primari a farci scultori o brutali capi di governo che ordinano efferati omicidi. È la razionalità che ci fa diventare persone illustri o di potere, per spiegare: bisogna essere bravi nell’arte del comando e del governo per arrivare alla cancelleria tedesca anche se ti chiami Adolf Hitler e anche se ordinerai la morte di milioni di persone. Ma è la tua incapacità di trasformare gli istinti primari in bene per gli altri a spingerti ad ammazzare e perseguitare milioni di ebrei e di esseri umani in generale. Allora si può capire come la differenza fra l’omicida e l’artista, parlo per opposti radicalmente incompatibili, la fa l’Ego, cioè la persona, che sa calibrare al meglio i propri istinti, sublimandoli, se è buono in opera d’arte o in capacità di guidare gli altri con saggezza, o se invece materializza i propri bisogni primari in sete omicida. È bene ricordare, per meglio accentrare la questione, che non vi è nell’opera umana, quasi mai, una perfetta separazione fra azione e uomini del bene e fra quelli del male. Ogni opera umana, non solo può essere studiata, ma anche può essere nella sua concretezza sia fonte di bene che di male. Pensiamo in ambito di politica internazionale alle cosiddette “missioni di pace”, queste possono realmente portare pace e benessere, ma anche morte e peggiori sciagure di quelle che volevano combattere. Allora in questo caso è difficile dire se “Es” sublimato abbia prodotto il bene o il male. Allora spetta a noi trovare una risposta. Non solo per analizzare le scelte dei capi di stato, ma anche per valutare come vivere al meglio la nostra vita. L’Es è fonte di litigi anche per noi gente comune. La nostra brama istintuale alla salvezza nostra e dei nostri più stretti congiunti, i figli ad esempio, ci spingono a compiere atti prima di tutto crudeli e cattivi, ma anche non consoni a risolvere i problemi che siamo chiamati ad affrontare. Per semplificare: se abbiamo un problema da risolvere con un’altra persona, molto meglio sarebbe il confronto aperto e l’ascolto, che lo scontro. Meglio ascoltare l’altro che attaccarlo. Sublimare l’Es vuol dire anche la capacità di porsi sulla stessa corrente d’onda dell’ altro, sapere che anche egli ha i suoi bisogni e che possono non necessariamente essere in contrasto insolubile con i tuoi, ma che potrebbero produrre invece una fruttuosa e pacifica collaborazione, sublimando così lo scontro in fruttuosa compartecipazione. Ci proviamo? Proviamo a trovare una sintesi fra Engel e Freud, dicendo si il secondo ha ragione quando sottolinea che alcuni aspetti del nostro animo sono insuperabili e li dobbiamo portare “appresso” per tutta la vita, ma allo stesso tempo possiamo trovare in essi una sintesi, come diceva Engel, ma non tanto per superarli, Freud avrebbe detto rimuoverli, ma per farli diventare elemento comune denominatore della vita collettiva e presupposto per vivere in pace con coloro che interagiscono con noi.

IL CIELO .. E TU


Ti penso quando il sole comincia il suo faticoso cammino nel cielo. So che anche tu stai guardando questa alba, e ciò rende il momento unico. Ti penso quando le nuvole in cielo disegnano strani ghirigori. Ti penso quando il sole si fa cattivo, comincia a bruciare pensieri e passioni, ma non spegne il tuo ricordo. Ti penso nei meriggi assolati. Ti penso quando cala la notte, ed il brunire occulta i raggi solari. Ti penso nelle notti stellate. Questi giorni di tua assenza, sono pieni della tua fulgida presenza.

RIAPRONO I MUSEI



RISCOPRIRE L’ARTE

Dopo il lockdown si sta tentando di tornare alla normalità. Con fatica tutte le attività economiche e commerciali stanno riprendendo la loro serrande. Anche i depositari di cultura, i luoghi ove si custodiscono l’arte e la bellezza, stanno riaprendo. Musei, pinacoteche, castelli e manieri si stanno offrendo agli utenti nella loro, spesso secolare o addirittura millenaria, bellezza. Gli Uffizi, celebre pinacoteca di Firenze, sta donando la possibilità agli avventori di assaporare il bello della pittura, lo stesso stanno facendo gli altri musei, ad esempio il “Museo Egizio” di Torino o la splendida Reggia di Caserta. Certo è difficile ripartire. Si parla di una perdita, causata dal perfido Corona Virus, di 34 mila euro al giorno per ogni struttura museale. Una enormità per attività che normalmente hanno entrate per centinaia di migliaia di euro all’anno. I musei più piccoli sono certamente i più colpiti, perché hanno meno entrate non solo legate agli utenti  ma anche ai cosiddetti sponsor, rispetto ai centri museali più grandi. Certamente, lo dicono tutti gli esperti, sono insufficienti i 50 milioni di euro che il ministro della cultura, Dario Franceschini, ha stanziato per fronteggiare la crisi. Divisi per i vari poli culturali, presenti numerosi nel nostro paese, sono realmente una miseria. Le difficoltà a riaprire producono, per di più, una vera e propria emergenza occupazionale. Sono moltissimi gli addetti alla cultura che sono in cassa integrazione per l’incipiente presenza del Corona Virus. Difficile al momento pensare al un loro pronto reinserimento nelle attività produttive. Non perché la loro competenza non sia preziosa e da considerare tesoro inestimabile per la comunità nazionale. Ma perché la situazione emergenziale impone una modulazione delle risorse tale da non garantire a tutti gli impiegati un pronto reinserimento. Insomma  le difficoltà sono tante. C’è il concreto pericolo che la cultura italiana sia prostrata ulteriormente a causa della crisi contingente che colpisce il nostro paese. A noi, comuni cittadini, non rimane che provare a riscoprire la bellezza del nostro paese. Magari provando a fare richiesta di visitare le nostre strutture museali, anche se ciò richiederebbe un’attesa lunga e molta pazienza. L’invito è quello di sfamarsi di cultura. Bisogna assaporare il gusto del piacere. Conoscere e ammirare l’ingegno degli artisti che hanno reso il nostro paese il giardino di bellezza, che ogni uomo e donna del pianeta apprezza. Proviamo a ripartire dalla nostra tradizione culturale, per affrontare al meglio un futuro incerto, ma che può, malgrado tutto, essere migliore del passato, basta che ci sia lo sforzo di tutti. Allora riscoprire l’arte, riassapora il senso del bello, apprezzare l’ingegno di Galileo, Michelangelo, Leonardo e dei tanti artisti e scienziati del passato, deve essere lo strumento per acquistare consapevolezza dei propri mezzi e fiducia nel domani in uno sforzo collettivo per la rinascita del paese.

domenica 26 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 54 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti i cittadino hanno il dovere di essere fedeli alla repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi.

I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento  nei casi stabiliti dalla legge”.

L’articolo 54 della Costituzione Italiana richiama tutti i cittadini all’obbligo di rispettare le norme di convivenza civile del nostro stato. Ricorda che la fedeltà alla Repubblica è un obbligo giuridico, oltre che morale. Noi Italiani siamo chiamati a servire la patria, come ricorda l’articolo 52, e a rispettare le istituzioni del nostro ordinamento Repubblicano. Le nostre norme giuridiche, le nostre istituzioni, sono il frutto del sacrificio di milioni di uomini e di donne che hanno combattuto e sono morte durante la Seconda Guerra Mondiale. Questi eroi si sono sacrificati in nome di ideali e valori che sono stati incisi nella nostra carta fondamentale. La nostra Costituzione è stata scritta col sangue dei nostri concittadini morti nei lager, morti sulle Alpi per fermare la barbarie nazista, come ricorda il noto giurista Piero Calamandrei. Sono valori di solidarietà, di fratellanza, di senso comune di appartenenza che oggi appaiono lontani. Quell’afflato di solidarietà verso i più deboli, i disabili, i malati, i lontani che hanno acceso gli animi dei nostri nonni e bisnonni sembrano oggi spenti. L’articolo 54 che invita tutti a conformarsi a doveri civici imposti dalle regole di convivenza sociale, sembra lontanissimo da quella che è la quotidianità, fatta di istinti di prevaricazione, brutture e cattiverie. Sono lontani, ammesso che siano mai esistiti, i tempi in cui la solidarietà sociale, il senso di appartenenza a un comune destino spingeva ogni cittadino a rispettare i principi di comunanza propri dell’ordinamento costituzionale. I valori di solidarietà sembrano estranei alla socialità. Le norme dello stato sono calpestate quotidianamente. Si dichiara il falso. Si commettono reati contro la pubblica amministrazione. Si commettono reati contro le persone più deboli e meno fortunate, contro le donne, oggetto di violenza. Tutti atti che lo spirito costituente avrebbe voluto bandire. Sono atti che non dovrebbero più appartenere alle modalità di comportamento comune. Eppure oggi gli istinti più brutali sono nella società. Ancor oggi le donne subiscono violenza, malgrado il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3. Ancor oggi chi ha un problema di natura fisica e neurologica, il cosiddetto disabile, è oggetto di derisione e di offese. Ancor oggi si commettono crimini che esplicitano una cultura e un umus sociale assolutamente estraneo ai cardini fondamentali della nostra Repubblica. Siamo una società frammentata, in cui i legami valoriali sono andati perduti. In cui chi si fa megafono della Costituzione viene deriso e umiliato. “Sono valori tuoi!” Ecco la terribile frase ascoltata da un cittadino che difendeva la Costituzione. Oggi le persone si fanno estranee dai principi costituzionali. Li rifiutano. Sembrano ignorare l’articolo 54 che impone la fedeltà alla Repubblica e l’osservanza delle leggi e dei valori. Cambiare è possibile! Cambiare è necessario! Troppo spesso si afferma che l’essere solidale è solo del cattolico del cristiano. È un modo per dire che la solidarietà è estranea alla comune convivenza fra gli uomini, fondata sulla laicità. Non è vero! Rispettare il più debole, non farlo sentire estraneo, essere solidale non sono solo valori legati alla fede, ma sono valori frutto della saggezza dei nostri padri costituenti che hanno saputo tradurre dettami evangelici, quindi propri di una sola parte della società, in principi costituzionali validi per ogni cittadino, anche per chi non crede in un entità superiore. Sono questi principi che l’articolo 54 impone a tutti di rispettare. Sono le norme che ci fanno essere persone migliori. Sono le norme che ci obbligano al rispetto reciproco. Ecco perché rispettare la Costituzione, rispettare le norme dello stato, sono un modo per pensare a una società più amichevole. Una società in cui la dignità umana è rispettata. In cui nessuno si deve sentire estraneo e reietto. Tutti siamo chiamati a rispettare le norme e le regole del vivere sociale. Il Malaffare, la delinquenza, i reati contro la persona devono essere stigmatizzati. Bisogna che ci sia un apparato repressivo dello stato efficace. Bisogna che noi cittadini impariamo a rispettare le leggi ed ad imporre agli altri che le rispettino. Bisogna farsi sentinelle della sera, persone in grado di scrutare la realtà che ci circonda e di combattere il male nelle sue svariate forme. Noi abbiamo avuto esempi quali Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i tanti che come loro sono caduti a causa della violenza mafiosa. Questi valorosi sono morti perché sono rimasti sempre fedeli alla repubblica e alle sue leggi. Hanno combattuto i nemici dello stato, senza mai chinare la testa. Sono  uomini che hanno lottato per il bene della collettività. Sono uomini dello stato che hanno servito la nazione con disciplina e onore, come impone il secondo comma dell’articolo 54. Tutti i cittadini che hanno funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore. Bisogna onorare la carica, elettiva o di nomina o ottenuta per concorso, che si ricopre. Bisogna avere una integrità morale e un’etica superiore a quella di un qualsiasi cittadini. Ricoprire cariche pubbliche dovrebbe essere un incombenza data solo a persone integre dal punto di vista morale. La realtà nel nostro paese non è quella prospettata dalla Costituzione. Ci sono uomini integri come Falcone e Borsellino, ma ci sono anche persone, funzionari infingardi, che utilizzano il loro ruolo istituzionale per compiere illeciti. Le cronache sono piene di notizie che narrano di atti di corruzione e peculato. Ci sono perfino evasori fiscali e corruttori che hanno governato il paese. Questa è la prova lampante di come le regole costituzionali, i valori sociali e politici di cui si fa latrice, vengono ogni giorno  calpestati. Fa rabbia sapere che un uomo che ha evaso il fisco si candidi alla guida del paese. Fa rabbia che quest’uomo consideri la legge Severino, una legge che espelle dal parlamento chi è condannato per reati penali a una pena definitiva, una legge incostituzionale, ignorando così l’articolo 54, che impone che chiunque ricopre cariche pubbliche sia senza colpa. Fa rabbia sapere che molti di noi, cittadini, condividiamo la sua tesi e andremo a votare partiti come Lega e Forza Italia, che sostengono la sua battaglia contro la legalità. Noi invece sosteniamo che bisogna che la pubblica amministrazione, i membri del parlamento, tutte le istituzioni debbano essere improntate al principio di legalità. Chiunque commette reato deve essere espulso dalla pubblica amministrazione. Chiunque chiede il voto per salvarsi dalla giustizia, come fa Berlusconi, ma anche altri di altri partiti, penso al presidente della regione Campania, esponente del Partito democratico, De Luca, deve vedersi la porta sbarrata da parte dei cittadini. Basta corruzione. Basta concussione. È ora che lo stato volti le spalle a questi uomini infingardi. È ora di legalità. È ora che nelle istituzioni ci siano solo persone che compiono le loro attività con decoro e onore. Persone che non si sognerebbero mai di infrangere il codice penale. Persone che avrebbero il pudore di ritirarsi dalla scena politica se solo aleggiasse su di loro il dubbio che abbiano operato per interesse personale e non per il bene dell’intera collettività. Se la cittadinanza è così riluttante a fare propri modelli di solidarietà e di condivisione dei principi costituzionali è proprio perché sulla scena politica ci sono figuri quali Silvio Berlusconi. Cambiare è possibile. Riscoprire i valori di cittadinanza è un modo per vincere la corruzione. Il degrado sociale, che fa deridere chi è  più debole, è l’altra faccia della medaglia del degrado pubblico e politico, che fa delle istituzioni delle vacche da mungere e non degli strumenti di conduzione della cosa pubblica. Cambiare si può, non solo con il voto, ma anche con una tensione morale che riscopre i dettami costituzionali e i valori di solidarietà che contengono. L’articolo 54 conclude la prima parte della Costituzione, quella dedicata ai diritti e ai doveri del cittadino. È un dovere importantissimo quello di rispettare le leggi ed essere fedeli alla Repubblica. Chi è un funzionario dello stato deve giurare fedeltà alla Costituzione e allo Stato. Deve dichiarare il suo pieno accordo ai valori fondanti della nostra collettività. Deve essere esempio di integrità e trasparenza. È un dovere importantissimo, Essere onesti, essere integri moralmente indispensabile per chiunque servi lo stato, che sia appartenete a un’arma o che sia parte di un ufficio civile. L’onestà è la premessa necessaria a una vita pubblica efficiente ed efficace. Non è un caso che questo articolo sia la premessa necessaria alla seconda parte della costituzione, quella dedicata all’ordinamento della Repubblica, quella che normerà il funzionamento degli organi dello stato dal parlamento alla presidenza della repubblica passando per il governo e gli organi giudiziari. La repubblica deve fondarsi sull’onestà e l’integrità morale di tutti i cittadini e soprattutto su quella dei funzionari  pubblici.
Testo di Pellecchia Gianfranco

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 53 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario informato a criteri di progressività.”

L’articolo 53 della Costituzione Italiana enuncia chiaramente che tutti coloro che vivono e hanno attività economiche nel nostro territorio, non solo i cittadini del nostro stato, devono pagare le tasse. Chiunque opera transazioni, attività di compravendita, attività finanziarie all’interno della Repubblica deve dare il dovuto allo stato. Anche gli stranieri che operano economicamente nel nostro paese devono contribuire  alle esigenze della nazione che li ospita o/e ospita le loro attività economiche. Insomma tutti devono contribuire, dando parte del loro reddito, a finanziare i servizi pubblici, le opere sociali, la sanità che lo stato offre ai cittadini e a coloro che vivono in Italia. Se gli ospedali e i trasporti pubblici possono funzionare è perché ci sono le tasse. Ogni persona che vive nel nostro paese deve contribuire alla spesa pubblica secondo la sua capacità. Chi non ha reddito non paga le tasse, vi sono molti atti normativi che esentano i cittadini che hanno entrate economiche bassissime a pagare l’Irpef, che sarebbe l’imposta personale, cioè la tassa che ogni hanno ogni singola persona e ogni società giuridica deve pagare allo stato. Ci sono molti sgravi fiscali, cioè riduzione delle imposte, per i genitori che hanno molti figli nella fascia scolare o comunque privi di un reddito proprio. Ci sono molti strumenti di perequazione sociale. Molti modi per permettere che chi ha meno risorse sia aiutato finanziariamente dallo Stato, mentre chi ha un alto reddito deve versare parte dei propri guadagni per finanziare i servizi pubblici. Il modello di tassazione può essere un validissimo strumento per rendere effettivo il principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’articolo 3 della Costituzione. L’Italia rimuove gli ostacoli che impediscono la piena uguaglianza dei cittadini attraverso una saggia tassazione. Sono due gli elementi che hanno impedito, fin dagli albori della costituzione, la piena applicazione di questo articolo: la forte evasione fiscale che caratterizza il nostro paese e l’estrema complessità del nostro sistema contributivo. Crediamo che questi elementi siano due facce della stessa medaglia. L’evasione è favorita dalla farraginosità delle nostre regole. Le nostre norme sono complesse proprio perché sono improntate al, purtroppo vano, tentativo di scoprire gli evasori. L’evasione fiscale italiana è la più alta in Europa. Noi siamo il paese europeo in cui il fisco incassa meno del dovuto. È un problema serio. Chi froda il fisco mette in pericolo il sistema economico finanziario nazionale. Da una parte imbroglia, droga le regole del libero mercato, si mette in una condizione di privilegio e di forza rispetto a coloro che pagano le tasse. Ovviamente chi non paga il dovuto allo stato può utilizzare quelle risorse illecite per vincere la concorrenza. Dall’altro non pagare le tasse priva la comunità dei cittadini di quelle infrastrutture necessarie, quali strade, condutture e servizi, necessarie per una nazione moderna. Anche l’abuso edilizio, la costruzione di case senza il rispetto dei piani comunali di regolazione, è nei fatti un modo per frodare il fisco e per usufruire di servizi non dovuti. È uno scandalo che i governi scelgano di condonare, di perdonare, questi abusi invece di perseguirli. Questi abusi, non dimentichiamolo, causano crolli e morti. Comprendiamo chi si sente vessato dalla forte tassazione nel nostro paese. Rimaniamo sconcertati comunque dal profondo senso di inciviltà che caratterizza coloro che fanno fatture false, fomentano il lavoro nero, operano all’estero, nei cosiddetti paradisi fiscali, per defraudare lo stato e in buona sostanza per rubare la cittadinanza italiana intera. Occorre un cambio di passo. Occorre che in Italia tutti paghino le tasse, una efficace lotta all’evasione può risolvere molti dei problemi di finanza pubblica che attanagliano lo stato. Evasione non vuol dire solo il piccolo commerciante che non emette lo scontrino. Evasione è il ricco industriale che porta i suoi soldi all’estero senza pagare il dovuto allo stato italiano. È la forza politica che utilizza i fondi dello stato per finanziare il fondo sovrano della Tanzania, come ha fatto la Lega. Evasione è sinonimo di corruzione. Gli episodi legati a Banca Etruria, ad esempio, oltre ad aver provocato ammanchi finanziari, hanno prodotto anche evasione. Oggi la Lega e Forza Italia propongono un sistema fiscale non legato alla progressività ma alla proporzionalità. Secondo Salvini e Berlusconi il problema del nostro paese è da ritracciare nel secondo comma dell’articolo 53 della Costituzione, che impone ai cittadini di pagare le tasse non in proporzione al reddito ma in maniera progressiva. Cioè impone che chi più ha più paghi. Oggi la tassazione dovrebbe essere improntata a un principio che chi ha molti soldi dia una parte del suo reddito allo stato percentualmente maggiore rispetto a chi ha poco. La destra vuole scardinare questo principio. Chi è ricco deve pagare le tasse in percentuale uguale a chi possiede minor reddito. Se io guadagno 100 e c’è una tassazione al 10% devo pagare 10. Se il mio amico guadagna 1000 e c’è una tassazione al 10% paga 100. Attualmente invece chi guadagna di più paga proporzionalmente di più. Ha una tassa pari all’11% 12% del suo reddito. Questo per permettere un’adeguata perequazione sociale, una distribuzione di ricchezze. Questo meccanismo è scardinato dalla destra. Difficile dire se realmente questa politica invogli a investire nel nostro paese. Sarebbe più opportuno puntare non sulla difesa del reddito dei più ricchi, ma su agevolazioni nell’investimento. Sei ricco? Paghi meno tasse se investi!Se utilizzi il tuo reddito ultramilionario per creare posti di lavoro e imprese. Questo sistema di sgravi non sarebbe contrario al principio di progressività dell’articolo 52, che è indirizzato a favorire la ricchezza del paese. Più razionale, a mio avviso, è la scelta che fece il Governo Renzi, di ridurre l’irpef, la tassa sul reddito, a tutti i cittadini al disotto di un certo reddito. Quella fu una scelta che riduceva il peso fiscale, ma a beneficio di persone non abbienti. Berlusconi derise quella mossa, il dare 40 euro ai titolari di bassi stipendi. Disse: anche io faccio beneficenza, ricordando quando regalò una dentiera alla vecchietta terremotata dell’Aquila, ma la politica è altro, è difendere le finanziarie e le imprese e i loro guadagni. I cittadini italiani, secondo i sondaggi, daranno ragione a Berlusconi alle prossime elezioni, riporteranno la sua compagine politica al governo. Riprenderanno le azioni volte a difendere le grandi imprese, i grandi finanzieri che hanno fondi all’estero e gli evasori fiscali. Rimane l’articolo 52 che invece vorrebbe un’Italia diversa, più aperta al meno abbiente e meno propensa a difendere gli interessi dei super ricchi .


I POETI E LA LUNA



CHIEDI ALLA LUNA!

“È tramontata la Luna e sono tramontate le Pleiadi, e la notte è al mezzo”. Questo è l’inizio di un celebre componimento poetico della poetessa di Lesbo, Saffo. La donna è vissuta nel IV secolo Avanti Cristo. Ha fondato una scuola poetica che è ricordata con il suo nome. Ha ispirato poeti che nei millenni hanno composto versi secondo i suoi dettami. Si possono ricordare fra gli altri il poeta latino classico Catullo o il recanatese del XVIII secolo, Giacomo Leopardi. Saffo è la poetessa donna per le donne. Lei ha fondato una scuola che doveva portare il sesso femminile a comporre ed esprimere il proprio pensiero in forma scritta, tutto ciò in un contesto culturale, quello ellenico classico, fortemente maschilista. È stata una vera rivoluzione culturale, che ha influenzato altre donne nei secoli, ricordiamo la fulgida e, allo stesso tempo, triste storia di Ipazia, la filosofa e pensatrice che nel IV secolo dopo Cristo fu uccisa da fanatici cristiani. Insomma Saffo è stata l’anima di quella cultura occidentale che ha fatto della libertà e del diritto ad esprimere il proprio intelletto e i propri sentimenti il fondamento della loro produzione culturale. Ma alla luce di questo appare interessante notare come la Luna, l’astro che da sempre accompagna e fa da ancella al nostro pianeta, sia la principale fonte d’ispirazione di poeti che credono fondamentalmente nel bisogno di giungere alla libertà come univo strumento di cogliere il senso profondo della vita. Ma allora perché la Luna ha questa funzione emancipatrice? Perché gli schiavi infelici di questa terra vedono in lei lo strumento per sciogliere le proprie catene? La risposta potrebbe essere nel sentire l’astro lontano. La Luna è estranea a tutto ciò che sulla terra fa male. La Luna è insensibile ai giochi crudeli del fatto. La Luna è testimone impassibile delle sofferenze umane, come ricorda “Il pastore errante dell’Asia” del celeberrimo Grande Idillio di Giacomo Leopardi. Proprio perché lontano ed estraneo, paradossalmente, rende l’oggetto astrale sacro alla dea Selena l’ideale confessore e confidente dei dolori e delle passioni umane. Non solo i poeti, non solo i letterati, non solo i grandi intellettuali, ma anche le persone comuni, le ignoranti e degradate, come sono io, vedono nella Luna la confidente fidata a cui raccontare dei propri amori perduti, delle delusioni, delle speranze e dei momenti propizi. La Luna è l’amica che ogni essere umano anela ad avere. Paziente, affabile, gentile non rifiuta mai di ascoltare anche se i nostri lamenti, alle volte, appaiono addirittura stucchevoli. Ecco perché se ci sentiamo soli, se il dolore della vita è troppo forte è bene “chiedere alla Luna”. Ma anche se abbiamo gioie intense, amori sbocciati fragorosamente che ci rendono felici, la Luna è l’amica a cui raccontare i sommovimenti del nostro animo. Alla Luna ci si confida da soli. E’ il pianto o la perorazione gioiosa dell’uomo solo che si sfoga con l’astro lontano. Ma alla luna si può anche affidare una vita in comune, è ad esempio il patto eterno d’amore di due amanti che consacrano il loro imperituro sentimento alla dea della notte. Insomma la Luna è la compagna di sempre dell’umanità, a cui raccontare per sempre i nostri destini e  nostri accidenti. Come non ricordare Federico Fellini. L’ultimo suo film, uno dei più toccanti e tormentati, si chiamava “La voce della Luna”. Narrava proprio la dialettica che caratterizza ogni uomo e donna con l’astro che ruota intorno alla Terra. I due protagonisti del film, interpretati da Roberto Benigni e, dal magnifico e sublime, Paolo Villaggio, si ponevano in ascolto mistico della Luna, si rivolgevano ad essa per emanciparsi da un mondo crudele e cinico. Insomma il cielo è la salvezza davanti al mondo triste e latore di dolore. Imploriamo alla Luna, nelle notti, il suo apporto sentimentale, è l’unico modo per trovare la pace dell’anima.

giovedì 23 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 52 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino.

Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né i suoi diritti politici.

L’ordinamento delle Forze armate si ispira allo spirito democratico della nostra repubblica”.

L’articolo 52 della Costituzione è dedicato alla difesa dell’Italia da parte di ogni cittadino. Il dovere più importante e, se vogliamo, più gravoso da compiere è difendere la patria. La Costituzione lo definisce come compito sacro. Difendere la patria vuol dire essere disposti anche a morire per lei. Per questo motivo l’articolo 52 della costituzione usa un termine che richiama alla sacralità di un gesto che ha profonde motivazioni morali ed etiche. Un termine che richiama il sacrificio, l’abnegazione, la consapevolezza di donare la nostra vita per un fine più alto, che travalica la nostra stessa esistenza. La Patria non è solo una parte di territorio del pianeta. La patria è una comunità di persone che hanno la stessa storia e gli stessi valori, difenderli vuol dire sentirsi parte di un percorso storico che poggia le sue radici millenarie nei gloriose gesta dei nostri avi. La Patria è il diritto che i nostri padri, i Romani, hanno lasciato in eredità al mondo. La Patria sono le strade dell’Impero Romano che due millenni fa collegavano tutto l’orbe conosciuto. La Patria è il Rinascimento, con le sue imponenti opere architettoniche, con le sue magnifiche sculture, con i suoi splendidi quadri e con le sue immortali opere letterarie. La Patria è la bellezza del territorio. La Patria sono tutti quei principi di solidarietà, libertà e uguaglianza che sono a base del nostro vivere sociale e sono scritti nella nostra Costituzione. È questo che il cittadino è chiamato a difendere. Queste sono le cose sacre che uniscono il paese, che fanno l’Italia una nazione indivisibile, come dice l’articolo 5 della Costituzione. La Patria è un’idea. La patria è cultura. La Patria è sogno di una civiltà in cui le glorie del passato possano illuminare la strada del futuro che noi siamo chiamati a percorrere. Questo deve difendere il cittadino. Questo dobbiamo difendere tutti noi. Chi ha la cittadinanza italiana ha il dovere morale di difendere il nostro stato. Lo deve fare con le armi se il nostro suolo  è invaso da un esercito straniero, come fecero i partigiani che si sacrificarono nella guerra contro l’esercito nazista, o come fecero i milioni di soldati durante la I guerra mondiale, sul fronte del Piave e del Grappa. Lo deve fare con la forza delle idee, quando un’ideologia o una filosofia intende scardinare i valori di solidarietà, uguaglianza e fraternità posti a base del nostro vivere sociale. Non ci sono solo le pistole per difendere la nazione. Ci sono le idee, le parole, che ben usate devono farsi latrici di un’idea di stato e di comunanza fra persone che si fondano sui valori iscritti nella nostra Costituzione. Ricordiamo con commozione i caduti per la patria in guerra. Ma con altrettanto coinvolgimento emotivo ricordiamo persone come Aldo Moro, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tantissime altre che non sono morte durante un conflitto bellico, ma sono morte per difendere i valori e i principi di legalità del nostro stato, colpiti e caduti per mano del vile terrorismo mafioso o brigatista. Anche quei martiri hanno difeso la patria. Noi siamo chiamati a difendere la nostra Italia non con atti eroici. Siamo chiamati a promuovere la sua bellezza, siamo chiamati a cambiare le cose che non vanno, siamo chiamati a vincere la corruzione e il malcostume che attanagliano le nostre istituzioni fino a farle morire. Questo dobbiamo fare. Cercare di vincere l’abiezione attraverso un comportamento moralmente ineccepibile. Noi siamo l’Italia. Noi siamo la Nazione. Noi dobbiamo difendere quei principi cardine del nostro ordinamento. Non dimenticando mai che è nostro dovere essere pronti anche a prendere le armi, se un nemico interno o esterno della nazione volesse conquistare l’Italia con la forza degli eserciti. Per questo motivo il secondo comma dell’articolo 52 impone il servizio militare obbligatori. Questo nell’ottica di un esercito di popolo chiamato a difendere il suolo patrio. L’Italia chiama i suoi cittadini alle armi quando il pericolo incombe. L’esercito di popolo, la chiamata alle ermi generali, è stata la caratteristica degli stati nazione dell’Ottocento e del Novecento. La Patria ha chiamato all’appello la meglio gioventù e la mandata a morire al fronte. Questo ci auguriamo che non accada più Ci auguriamo che le guerre non siano più usate come strumento per risolvere le controversie internazionali, ma che si usino gli strumenti del dialogo fra stati e la diplomazia, come auspicato dall’articolo 11 della Costituzione. Alla luce di questo si è pensato di dare una lettura più ampia del secondo comma dell’articolo 52. Si può servire la patria adoperandosi nella cooperazione internazionale, scongiurando così le tensioni latrici di guerra. Si può servire la patria anche attraverso il servizio civile, cioè l’impegno in gesti solidali verso le persone più bisognose. Insomma si può essere utili al paese anche senza imbracciare un arma. Ecco il senso della legge del 8 luglio 1998. Una legge che, a decorrere dal gennaio del 2005, sostituisce il servizio di leva obbligatorio con un esercito di soli professionisti, incrementando allo stesso tempo la spinta dello stato che invita donne e uomini al servizio civile. L’esercito è diventato di soli professionisti. Al contempo è stata data alle donne la possibilità di arruolarsi, superando un concetto vetusto che vedeva solo l’uomo in grado di difendere, armi in pugno, le sorti della nazione. Insomma oggi abbiamo un vasto settore sociale che si impegna nel volontariato e un esercito composto da professionisti, da esperti, che ha superato la divisione di genere e che si avvale del prezioso contributo di valenti donne che affrontano brillantemente la carriera militare. Noi che siamo cittadini Italiani, siamo chiamati a difendere la patria con la parola, con l’impegno quotidiano nel lavoro, con lo studio, con la nostra intelligenza che contribuisce a scoprire nuove cose e a combattere le ingiustizie e le brutture che ammorbano la nostra terra. L’ultimo comma dell’articolo 52 dice: L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. L’esercito, la marina, l’aeronautica e i carabinieri sono istituzioni militari. Sono sottoposti a una disciplina ferrea. Sono ordinati gerarchicamente, colui che è situato in una posizione inferire nella scala di comando deve ubbidire al superiore. Questo principio non è messo in discussione dalla Costituzione. Rimane però un punto fermo. I militari non vivono fuori dal nostro sistema istituzionale. I valori fondanti di democrazia libertà e uguaglianza devono entrare nelle caserme. Sono i militari, anzi, che devono difendere con le armi questi principi. Ecco perché questi valori devono essere fatti propri anche nell’interno delle caserme. Si deve avere il coraggio di denunciare il superiore che non fa della Costituzione, della democrazia, il senso ultimo del proprio lavoro. Ci sono stati tanti militari, in molte parti del mondo, che hanno tradito la democrazia, che hanno tradito il proprio popolo, che hanno tradito le leggi del proprio stato compiendo golpe, colpi di stato, che hanno rovesciato l’ordinamento democratico. Ogni militare, dal più piccolo in grado al più alto, è chiamato a vegliare affinché in Italia questo non avvenga. È chiamato a inculcare anche all’interno delle caserme i valori di pluralismo di libertà di pensiero e di parola che la costituzione proclama valevoli per tutti i cittadini, militari compresi. Difendere la patria è un dovere, un dovere che i nostri militi fanno ogni giorno con abnegazione, di questo ne siamo profondamente grati. Difendere la patria vuol dire difendere i cittadini. Rimaniamo sbigottiti ripensando ai terribili gesti di alcuni militari compiuti nel 2001 a Genova, in occasione del G8. Questi hanno picchiato inermi cittadini, li hanno condotti in caserma e picchiati. Questo non è l’esercito italiano, non è la vera Italia. Sia chiaro la ricostruzione storica degli eventi ha chiarito che le vere colpe non furono dei militari, ma del governo allora guidato da Silvio Berlusconi che non è stato in grado di gestire l’ordine pubblico. La colpa è anche dei partecipanti alle manifestazioni che non si sono comportati con ordine decoro e disciplina. Rimane comunque che alcuni nostri militari hanno usato la violenza e ciò non è giusto .Il nostro esercito deve essere democratico, cioè stare vicino al popolo non picchiarlo e fargli violenza, questo è il senso dell’ultimo comma dell’articolo 52.



PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 51 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
"Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini.
La legge può, per l'emissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro"
L'articolo 51 della Costituzione Italiana sancisce che tutti i cittadini hanno la possibilità, se posseggono i requisiti appropriati, di accedere alle cariche e agli uffici pubblici. Non vi possono essere discriminazioni di genere, cultura, religione o di origine geografica. Chiunque è cittadino italiano può diventare parlamentare, se eletto, funzionario pubblico, insegnante o magistrato se vince i concorsi di accesso al ruolo. Nessuna discriminazione è ammissibile. Soprattutto non vi può essere alcuna preclusione dovuta al genere di appartenenza. Sia se si è uomo sia se si è donna si può ricoprire una qualsiasi carica pubblica. In Italia per la prima volta sono state ammesse le donne a ricoprire il ruolo di rappresentanti del popolo proprio in occasione delle elezioni all'assemblea Costituente che nell'arco temporale che va del 2 giugno del 1946 al 22 dicembre del 1947 ha scritto e approvato la legge fondamentale del nostro paese. E' stata la prima volta in cui le donne hanno ricoperto il ruolo di elettrici attive, scegliendo i candidati, e hanno avuto la possibilità di candidarsi, elettorato passivo. E' stata una conquista fondamentale per l'intera comunità nazionale, che ha potuto avvalesi anche nell'ambito della politica della preziosa umanità e sensibilità che caratterizza ogni donna. La Costituzione ha avuto un tocco di bellezza e di sensibilità alle tematiche di solidarietà sociale per l'approccio imposto dalle grandi donne che hanno partecipato all'assemblea fondativa della nostra Repubblica. Come non ricordare Tina Anselmi, staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, deputato e senatore della Repubblica, ma soprattutto membro della Assemblea Costituente il cui contributo ha reso possibile la stesura di molti articoli, fra cui l'articolo 3, quello dedicato all'uguaglianza non solo di genere. Tante altre donne hanno reso lustro alla assemblea eletta nel 1946. Ricordiamo la signora e onorevole Merlin. Insomma fin da subito si è visto che il principio di uguaglianza non solo mette fine a un'ingiustizia millenaria, che pone le donne in uno stato di soggezione rispetto all'uomo, ma permette alla Repubblica di avvalersi del prezioso contributo di persone valenti e valevole, escluse dalla vita istituzionale solo perché donne. Il primo comma dell'articolo 51 è stato integrato con legge costituzionale del 30 maggio 2003. Si è aggiunto "A tal fine (per promuovere l'uguaglianza fra i generi) la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini". Insomma si è voluto sottolineare che non solo la Repubblica deve promuovere l'uguaglianza formale, ma anche quella sostanziale fra i generi. Si deve fare promotrice di azioni sociali volte a superare gli ostacoli alla piena integrazione del genere femminile. Non è uno sconvolgimento dell'articolo 51, ma ne è un rafforzamento. Non solo lo stato deve evitare di discriminare, ma deve anche agire affinché ogni discriminazione nella nostra società sia superata. Per questo si impone che alle elezioni politiche siano candidati in quote paritarie entrambi i generi in ogni formazione politica. Per questo si impone che nei pubblici uffici ci sia in egual numero impiegati ed impiegate. Tanti passi avanti sono stati fatti, altri ancora bisogna farne, ma l'obbiettivo deve essere il superamento di ogni discriminazione legata al sesso. Il secondo comma stabilisce che la legge può equiparare gli italiani che non hanno la cittadinanza italiana, perché figli di migranti, ai cittadini. Anche questi nostri connazionali possono avere la possibilità di partecipare alla vita civile e istituzionale del paese. Possono essere titolari di uffici pubblici, possono svolgere il ruolo di funzionario dello stato, possono essere eletti in parlamento. Questo è stato voluto per mantenere saldo e forte il rapporto con le persone che nei momenti di crisi economica e sociale hanno lasciato il nostro paese per raggiungere terre lontane. Per mantenere il legame con i loro figli. E' un gesto di solidarietà umana e culturale a cui non possiamo che applaudire. I figli di italiani migranti hanno diritto ad essere italiani. Esattamente come avrebbero diritto ad essere italiani coloro che sono nati in Italia da genitori stranieri, un diritto negato dalla politica e dalla cecità istituzionale. E' ora che sia approvato lo ius soli. L'ultimo comma dell'articolo 51 della Costituzione garantisce a chiunque voglia impegnarsi nel servizio verso la società a non perdere il proprio posto di lavoro. Chi è chiamato a cariche pubbliche elettive ha diritto a non perdere il proprio posto di lavoro. Ha diritto a permessi congrui per svolgere le proprie attività istituzionali. Ha diritto a mettersi in aspettativa, se il suo impegno politico è inconciliabile in maniera assoluta con il lavoro quotidiano. L'ultimo comma è stato voluto per dare la possibilità anche a coloro che non hanno rendita, a coloro che vivono solo del proprio lavoro, di partecipare alla vita della nazione. In passato ciò non era possibile. Chi era eletto doveva rinunciare al proprio posto, per tale ragione solo i magnati e i proprietari terrieri sedevano nei parlamenti. Questo è stato considerato inaccettabile dai costituenti. Anche l'operaio, il professore, l'avvocato, l'imprenditore, l'impiegato amministrativo possono dare il loro contributo all'attività pubblica. Per questo motivo c'è la possibilità che siano sostituiti nel lavoro precedentemente svolto, senza che vi sia nocumento per il proprio futuro, una volta finito il proprio mandato istituzionale hanno diritto a riprendere l'attività già'svolta. Un principio fondamentale di eguaglianza sostanziale. Tutti devono essere messi nelle condizioni di avere cariche pubbliche, svolgere attività politica senza che siano discriminate a causa del genere, del lavoro svolto e della preparazione scolastica acquisita. Questo è ciò che l'articolo 51 prescrive.
Scritto da Pellecchia Gianfranco