lunedì 6 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 43 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

La proprietà pubblica e privata deve essere finalizzata all’utilità generale. Questo è un principio basilare che la Costituzione Italiana ribadisce esplicitamente sia nell’articolo 41, dedicato all’iniziativa economica, sia nell’articolo 42, dedicato alla proprietà privata. Ogni singolo cittadino è libero di avere un’attività economica, i suoi beni sono di sua proprietà per un diritto giuridico sacrosanto. Affermato questo, però, i costituenti hanno sottolineato che l’interesse collettivo e generale deve essere salvaguardato anche se questo determina un nocumento dei diritti di natura economica del singolo. Vi sono alcune attività imprenditoriali che per la loro natura sono indispensabili per la tutela degli interessi nazionali. Pensiamo alle imprese che gestiscono e producono energia elettrica. Pensiamo alle imprese che si occupano della distribuzione di beni fondamentali per l’uomo, pensiamo alle società che si occupano della gestione della rete idrica. Ci sono servizi che travalicano il semplice gioco della domanda/offerta elemento fondamentale del libero mercato. Penso ai servizi di trasporto. Troppo spesso il mantenimento di un bus navetta, faccio un esempio, da un piccolo centro a una grande città è poco conveniente dal punto di vista finanziario, produce a chi lo gestisce poco profitto. Allo stesso tempo è un servizio indispensabile per la piccola comunità che ne usufruisce. Allora è lo stato che deve farsene carico, ove il privato non ha interesse a farlo. Lo stato deve garantire il servizio alla comunità, anche se è antieconomico. Alla luce di questa affermazione bisogna leggere l’articolo 43. Lo stato in nome dell’utilità generale può, anzi deve, gestire alcune attività economiche. Tali attività devono essere attribuite e ordinate dalla legge. Non può essere un atto amministrativo, atto proprio del potere esecutivo, a regolamentare in maniera generale la gestione dell’attività dello stato nell’economia. Deve essere una legge. Una norma emanata dal parlamento, diretta emanazione della volontà popolare. Questo per garantire che l’azione dello stato non sia frutto di una scelta interessata volta a garantire un’impresa, o un soggetto privato, che potrebbe avvantaggiarsi. La ingerenza dello stato  sull’economia deve essere finalizzata agli interessi generali, non a quelli particolari. Lo stato può espropriare aziende, terreni, imprese per ottenere risultati economici che soddisfano l’interesse generale. Può affidare la gestione delle imprese anche a comunità di lavoratori. La Repubblica aiuta ed incoraggia la cooperazione, cioè il lavoro messo in comune da più soggetti finalizzato a un bene sociale, oppure, semplicemente, a garantire servizi e tutele a cittadini quali consumatori o prestatori d’opera. I lavoratori possono essere protagonisti dell’economia. Saper conciliare il lavoro manuale con le capacità dirigenziali è una sfida che la costituzione affida ai cittadini. Si può superare la divisione fra datore e prestatore di lavoratore. Si può pensare a un’azienda in cui le gerarchie padronali sono superate. La Repubblica prevede che vi possa essere un mercato economico in cui convivano le istituzioni di proprietà privata proprie dell’economia liberista e istituzioni di tipo cooperativo in cui la compartecipazione dei lavoratori è determinante. È una possibilità vincente. Il sistema economico denominato misto è stata l’arma vincente non solo dell’Italia del boom economico, ma di tante altre nazioni europee e successivamente dell’America Latina e dell’Asia. Il cosiddetto “modello emiliano”, chiamato così perché è nella regione Emilia Romagna che è nato, fondato sulla presenza nel territorio di tante piccole e grandi cooperative di lavoratori appare vincente. Sicuramente questo modello non è in contrasto con l’economia di mercato. Sicuramente la libertà degli imprenditori di utilizzare i modelli proprietari per fare impresa non è stata pregiudicata. È la dimostrazione che un’economia plurale è possibile. Che un sistema misto pubblico – privato è vincente. Per migliorare il sistema sarebbe indispensabile una legge che regolasse il “conflitto d’interesse” che in Italia purtroppo manca. Bisogna dirlo con chiarezza. Le storture, gli scandali finanziari, la corruzione che caratterizza il rapporto fra la nostra economia e la politica sono legate alla mancanza di regole rigide che evitino la commistione di interessi. Vediamo lo scandalo legato ad alcuni istituti bancari. La politica non è stata al suo posto, ha voluto essere protagonista e non arbitro dei giochi interbancari e ha prodotto danni. Penso al caso “Banca Etruria” che ha coinvolto tutta la dirigenza del Partito Democratico, il partito di maggioranza in questa legislatura. Ma vediamo anche gli effetti sull’economia della destra. Il cosiddetto conflitto d’interessi di Berlusconi che ha caratterizzato vent’anni di politica italiana ha reso l’economia asfittica. Allora cambiare si deve! Mutare la politica economica del paese rispettando i dettami costituzionali volti difesa della legalità, della trasparenza e della tutela dell’interesse generale, non certo di quello particolare. Bisogna rendere l’economia nazionale più funzionale. Bisogna aver sempre presente gli interessi generali del paese. Bisogna tener presente la tutela del piccolo credito, la tutela del lavoro salariato e di quello del libero professionista e dell’imprenditore. Bisogna rifuggire l’interesse della grande finanza, dei cosiddetti “pirati finanziari” cioè di quelli che ridevano per il terremoto, pensando ai lauti guadagni che il governo di Forza Italia e lega gli avrebbe fatto fare a discapito della povera gente dell’Aquila, senza casa a causa del sisma. Allora lo stato deve operare in economia, lo deve fare per il bene di tutti e per raggiungere tale obbiettivo deve essere trasparente. Bisogna che la pubblica amministrazione sia come un palazzo di vetro. Bisogna che tutti possano giudicare, guardare e mettere all’indice il comportamento scorretto della classe politica. Bisogna avere un moto d’orgoglio. Basta con i politici corrotti. Basta con gli ammiccamenti al potere. Bisogna avere il coraggio di cambiare le cose. Di voltare le spalle a persone come Berlusconi che hanno fatto della politica la latrina dei propri interessi economici. Ribellarsi è giusto. Bisogna farlo dicendo no a certi partiti collusi, non votandoli alle elezioni.

Scritto da Padolecchia Gianfranco


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