mercoledì 8 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 46 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”

Il lavoro è dignità. Questo è uno dei principi cardine della Costituzione Italiana che si fonda sul lavoro, come dice il primo articolo della nostra legge fondamentale. Alla luce di questo assioma l’articolo 46 è un corollario necessario. I lavoratori devono essere protagonisti del loro destino. Devono essere parte necessaria nella conduzione e nella gestione del progetto d’impresa di cui fanno parte. Il lavoro serve ad elevare l’uomo. Serve a offrirgli gli strumenti per realizzare la propria esistenza. Serve a dargli un reddito. Serve a offrirgli una vita serena e a formare una famiglia. È necessario che l’impegno profuso sia in armonia con la vita e con il progetto di un futuro migliore. Ecco perché è giusto che i lavoratori siano compartecipi delle scelte aziendali. Devono fare proprie quelle che si definiscono politiche aziendali, devono concordarle con il proprio datore di lavoro.  E’ possibile ottenere questo scopo creando spazi di dialogo fra consiglio d’amministrazione aziendale e rappresentanti dei lavoratori. E’ possibile creare raccordi fra il managment e l’operaio. Questi coordinamenti sono stati sperimentati in molte industri, con ottimi risultati, vedi il caso Olivetti degli anni ’50 del secolo scorso.   L’elevazione economica e sociale dell’intera società italiana è perseguibile attraverso un proficuo rapporto dialettico fra le parti sociali. Il lavoratore deve essere parte in causa delle politiche aziendali, locali e nazionali. Questo principio è scardinato dalla realtà che viviamo oggi. Le imprese industriali sono sorde ai valori umani. Si permettono di compiere scelte economiche senza tenere conto degli effetti che hanno sul territorio. Le fabbriche inquinano, incuranti della salute degli operai e dei cittadini che vivono vicino al sito industriale. Abbiamo sotto gli occhi i casi drammatici che leggiamo sui quotidiani. L’Ilva, acciaieria di Taranto, per decenni ha ammorbato con i suoi fumi la città incurante degli effetti malefici sui propri dipendenti e oggi vive una crisi legata all’acciaio che rischia di far perdere migliaia si posti di lavoro. Il caso della Wirpool , fabbrica di frigoriferi sita in Piemonte, che sceglie di portare la produzione all’estero, incurante dei propri operai che perderanno il posto di lavoro. In molte fabbriche e aziende si procede a licenziamenti e ad espulsioni incuranti dei valori di solidarietà e di comunanza propri della Costituzione. Il lavoro non solo è inascoltato e perfino vessato. Pensiamo alle migliaia, forse milioni, di persone che hanno perso il lavoro. Alle genti che hanno perso tutela e sicurezza. Persone la cui dignità è messa in discussione da meri interessi economici. Ove sei costituzione! Perché solo i cattolici oggi si elevano a difesa di coloro che perdono il lavoro? Perché solo papa Francesco a speso parole forti a favore dei più deboli, dei meno fortunati, di coloro che vivono una vita precaria. La solidarietà verso chi perde il lavoro, perde certezze, non deve essere solo appannaggio del cattolicesimo. È la Costituzione che impone a tutti, anche a chi non professa la fede in Cristo, ad essere solidali con chi è in procinto di perdere il posto di lavoro. È ora di reagire. È ora di imporre una politica economica fondata sull’etica. Niente licenziamenti. Niente politiche economiche escludenti. Niente chiusure di fabbrica. La gestione dell’impresa deve essere compartecipata. La produzione, le leggi del guadagno, devono fare i conti con gli interessi dei lavoratori. Interessi che consistono semplicemente nell’avere un’occupazione e una retribuzione adeguata. I lavoratori devono essere protagonisti della loro vita. I lavoratori devono partecipare alle scelte del consiglio d’amministrazione dell’impresa di cui fanno parte. A questo punto urge affermare con forza una cosa. Basta con l’idea che noi italiani siamo solo consumatori. Noi siamo cittadini. Siamo compartecipi di un progetto nazionale che si fonda anche su una sana economia industriale. E’ ora di dire: se l’azienda di frigoriferi non vuole fabbriche in Italia, noi Italiani non compriamo quei frigoriferi. Se un’azienda telefonica ha callcenter o uffici all’estero non ci serviamo di lei per chiamare. Anche questa è compartecipazione al lavoro. Essere cittadini consapevoli che le nostre scelte di consumatori possono determinare i nostri destini. Deve essere chiaro che se un’azienda rinuncia a produrre in Italia, rinuncia al mercato italiano. Solidarietà è questo. Avere la capacità di condividere le tragedie dei nostri concittadini. Chi perde il proprio posto di lavoro subisce un trauma gravissimo. Le leggi di mercato non possono giustificare il dolore inferto a un uomo o una donna che con il posto perde anche la propria dignità. Cambiare è necessario. Pensare ad un’economia che tiene al centro la persona è possibile. Basta che si facciano propri i dettami della Costituzione Italiana che mette al centro il lavoro come mezzo per tutelare la persona umana e non come mero atto speculativo fondato sui guadagni e sui dividendi da dare agli azionisti, che incuranti mettono in tasca soldi magari acquistati sulla pelle dei lavoratori. L’Italia deve avere gli strumenti necessari per rendere il lavoro migliore. È d’obbligo che lo stato vegli sull’economia. È necessario pensare una strategia collettiva che sia in grado di affrontare e superare le sfide che il secolo XXI ci impone. L’Italia deve essere unita, deve pensare al domani come una marcia in cui nessuno deve essere lasciato indietro. Deve pensare ad affrontare le difficoltà come se fosse un unico corpo sociale. Questa è anche compartecipazione. L’idea che è possibile lavorare insieme, ognuno nei propri ambiti e con le proprie competenze alla crescita del paese. Alla luce di questo non appare impossibile, anzi appare auspicabile, che i lavoratori partecipino attivamente alla gestione delle aziende in cui prestano il loro servizio, magari partecipando agli utili e subendo le perdite che i marosi finanziari possono comportare, ma sempre con lo spirito di corpo che deve caratterizzare il lavoro. Io sono accomunato dallo stesso destino del mio collega, io sono solidale con lui e sono fedele all’azienda in cui lavoro. È questo il pensiero che deve vibrare nel cuore di ognuno!
Scritto da Pellecchia Gianfranco

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