ARTICOLO 51 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
"Tutti
i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti
stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini.
La legge
può, per l'emissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai
cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è
chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo
necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro"
L'articolo
51 della Costituzione Italiana sancisce che tutti i cittadini hanno la
possibilità, se posseggono i requisiti appropriati, di accedere alle cariche e
agli uffici pubblici. Non vi possono essere discriminazioni di genere, cultura,
religione o di origine geografica. Chiunque è cittadino italiano può diventare
parlamentare, se eletto, funzionario pubblico, insegnante o magistrato se vince
i concorsi di accesso al ruolo. Nessuna discriminazione è ammissibile.
Soprattutto non vi può essere alcuna preclusione dovuta al genere di
appartenenza. Sia se si è uomo sia se si è donna si può ricoprire una qualsiasi
carica pubblica. In Italia per la prima volta sono state ammesse le donne a
ricoprire il ruolo di rappresentanti del popolo proprio in occasione delle
elezioni all'assemblea Costituente che nell'arco temporale che va del 2 giugno
del 1946 al 22 dicembre del 1947 ha scritto e approvato la legge fondamentale
del nostro paese. E' stata la prima volta in cui le donne hanno ricoperto il
ruolo di elettrici attive, scegliendo i candidati, e hanno avuto la possibilità
di candidarsi, elettorato passivo. E' stata una conquista fondamentale per
l'intera comunità nazionale, che ha potuto avvalesi anche nell'ambito della
politica della preziosa umanità e sensibilità che caratterizza ogni donna. La
Costituzione ha avuto un tocco di bellezza e di sensibilità alle tematiche di
solidarietà sociale per l'approccio imposto dalle grandi donne che hanno
partecipato all'assemblea fondativa della nostra Repubblica. Come non ricordare
Tina Anselmi, staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, deputato
e senatore della Repubblica, ma soprattutto membro della Assemblea Costituente
il cui contributo ha reso possibile la stesura di molti articoli, fra cui
l'articolo 3, quello dedicato all'uguaglianza non solo di genere. Tante altre
donne hanno reso lustro alla assemblea eletta nel 1946. Ricordiamo la signora e
onorevole Merlin. Insomma fin da subito si è visto che il principio di
uguaglianza non solo mette fine a un'ingiustizia millenaria, che pone le donne
in uno stato di soggezione rispetto all'uomo, ma permette alla Repubblica di
avvalersi del prezioso contributo di persone valenti e valevole, escluse dalla
vita istituzionale solo perché donne. Il primo comma dell'articolo 51 è stato
integrato con legge costituzionale del 30 maggio 2003. Si è aggiunto "A
tal fine (per promuovere l'uguaglianza fra i generi) la Repubblica promuove con
appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini". Insomma si
è voluto sottolineare che non solo la Repubblica deve promuovere l'uguaglianza
formale, ma anche quella sostanziale fra i generi. Si deve fare promotrice di
azioni sociali volte a superare gli ostacoli alla piena integrazione del genere
femminile. Non è uno sconvolgimento dell'articolo 51, ma ne è un rafforzamento.
Non solo lo stato deve evitare di discriminare, ma deve anche agire affinché
ogni discriminazione nella nostra società sia superata. Per questo si impone
che alle elezioni politiche siano candidati in quote paritarie entrambi i
generi in ogni formazione politica. Per questo si impone che nei pubblici
uffici ci sia in egual numero impiegati ed impiegate. Tanti passi avanti sono
stati fatti, altri ancora bisogna farne, ma l'obbiettivo deve essere il
superamento di ogni discriminazione legata al sesso. Il secondo comma
stabilisce che la legge può equiparare gli italiani che non hanno la
cittadinanza italiana, perché figli di migranti, ai cittadini. Anche questi
nostri connazionali possono avere la possibilità di partecipare alla vita
civile e istituzionale del paese. Possono essere titolari di uffici pubblici,
possono svolgere il ruolo di funzionario dello stato, possono essere eletti in
parlamento. Questo è stato voluto per mantenere saldo e forte il rapporto con
le persone che nei momenti di crisi economica e sociale hanno lasciato il
nostro paese per raggiungere terre lontane. Per mantenere il legame con i loro
figli. E' un gesto di solidarietà umana e culturale a cui non possiamo che
applaudire. I figli di italiani migranti hanno diritto ad essere italiani.
Esattamente come avrebbero diritto ad essere italiani coloro che sono nati in
Italia da genitori stranieri, un diritto negato dalla politica e dalla cecità
istituzionale. E' ora che sia approvato lo ius soli. L'ultimo comma
dell'articolo 51 della Costituzione garantisce a chiunque voglia impegnarsi nel
servizio verso la società a non perdere il proprio posto di lavoro. Chi è
chiamato a cariche pubbliche elettive ha diritto a non perdere il proprio posto
di lavoro. Ha diritto a permessi congrui per svolgere le proprie attività
istituzionali. Ha diritto a mettersi in aspettativa, se il suo impegno politico
è inconciliabile in maniera assoluta con il lavoro quotidiano. L'ultimo comma è
stato voluto per dare la possibilità anche a coloro che non hanno rendita, a
coloro che vivono solo del proprio lavoro, di partecipare alla vita della
nazione. In passato ciò non era possibile. Chi era eletto doveva rinunciare al
proprio posto, per tale ragione solo i magnati e i proprietari terrieri
sedevano nei parlamenti. Questo è stato considerato inaccettabile dai
costituenti. Anche l'operaio, il professore, l'avvocato, l'imprenditore,
l'impiegato amministrativo possono dare il loro contributo all'attività
pubblica. Per questo motivo c'è la possibilità che siano sostituiti nel lavoro
precedentemente svolto, senza che vi sia nocumento per il proprio futuro, una
volta finito il proprio mandato istituzionale hanno diritto a riprendere
l'attività già'svolta. Un principio fondamentale di eguaglianza sostanziale.
Tutti devono essere messi nelle condizioni di avere cariche pubbliche, svolgere
attività politica senza che siano discriminate a causa del genere, del lavoro
svolto e della preparazione scolastica acquisita. Questo è ciò che l'articolo
51 prescrive.
Scritto da Pellecchia Gianfranco
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