venerdì 3 luglio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 41 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“L’iniziativa economica è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

L’articolo 41 riconosce la libertà economica. Chiunque può agire liberamente al fine di creare o condurre attività a fini di lucro, purché non infrangano le leggi civili e panali dello stato. Questo è un principio proprio della cultura liberale che ha caratterizzato l’Europa fin dai primi secoli dell’età moderna. La borghesia, la classe imprenditrice, con la sua iniziativa ha contribuito alla crescita delle nazioni. Adam Smith, ritenuto il fondatore dell’economia politica liberale, dedica al tema il suo libro più famoso “La ricchezza delle nazioni”, siamo nell’America del 1776, fra pochi anni nasceranno gli Stati Uniti frutto della prima grande rivoluzione borghese. Insomma la libertà d’impresa e la libertà finanziaria è uno dei capisaldi del sistema produttivo moderno. La libertà economica è vista come strumento per l’emancipazione dei popoli a quelle servitù proprie del Medioevo. Nel cosiddetti “secoli bui” si doveva pagare dazi e balzelli al signorotto locale. Il lavoro si prestava al nobile locale, spesso gratuitamente, questo tipo di attività era detta corveè. Con la rivoluzione liberale le imposizioni feudali crollano. Non è un caso che sia stata l’America il luogo ove in primo luogo sono crollate queste imposizioni. Una terra nuova, una terra in cui non esistevano i millenari laccioli della cultura europea, ha visto nascere una nuova frontiera di libertà. Basta imposizioni, basta rigidi dettami, la libera iniziativa scavalca ogni ostacolo. Bisogna dire che la libertà economica non è libertà dell’essere umano. Negli Stati Uniti, nella terra della libera iniziativa, era consentita la schiavitù, gli uomini e le donne non erano uguali, ma discriminate secondo l’appartenenza etnica. Paradossalmente la libertà di contrattare aveva prodotto più catene non le aveva spezzate. Il liberalismo, se da un lato aveva sconfitto la forza prevaricatrice dello stato che impone dazi e gabelle a chi vuole svolgere attività economiche, dall’altro non aveva liberato l’uomo dalla logica della prevaricazione del più forte sul più debole. Chi era più bravo, sostanzialmente il bianco ricco, aveva diritto a porre sotto il suo giogo il povero, l’incapace, cioè l’uomo di colore. Questa logica della schiavitù è stata il motore della cultura liberale per secoli. La libera iniziativa vuol dire, ancor oggi, il soggiogare colui che non ce la fa a stare al passo. La Repubblica italiana è consapevole di questo dato di fatto. Sa che libertà economica non vuol dire necessariamente libertà dell’umanità. Per questo motivo, pur riconoscendo il diritto di ogni cittadino a svolgere un’attività lavorativa, mette dei paletti. L’attività economica non può essere tutelata se porta al degrado e al vilipendio della persona. La dignità umana, come afferma il secondo comma dell’articolo 41, deve essere un valore da tutelare prima di ogni libertà economico imprenditoriale. Un’industria di qualsiasi tipo non deve umiliare e degradare la persona umana. Pensiamo ai lavori usuranti, degradanti, che sviliscono la persona umana compiuti al fine di guadagnare. Questi sono incompatibili con i principi repubblicani. Non parliamo dello schiavismo, fortunatamente abolito in quasi tutti i paesi del mondo, la Costituzione lo ripudia come uno dei fenomeni più orrendi della storia umana. Insomma la libertà economica non deve essere svolta recando danno alla sicurezza e alla salute del singolo. Ora pensiamo a ciò che avviene oggi nel nostro paese. Quanti incidenti sul lavoro ci sono! Quante persone sono oggetto di scherno all’interno dell’ambito lavorativo. Quante persone vivono nei fatti una realtà aziendale in cui la voglia di prevaricare prevale sullo spirito solidale dei lavoratori. La dignità viene calpestata ogni giorno. Guardando i campi coltivati ove lavorano contadini super fruttati, guardando le fabbriche ove il lavoro umano è degradato dalle macchine, invece di essere fatto proprio dalla comunità, il concetto di dignità sembra lontanissimo. La cultura cattolica e socialdemocratica, che per secoli hanno predicato l’emancipazione del lavoratore e la sua tutela sociale, sembrano lettera morta. In nome del denaro tutto è lecito, perfino umiliare l’altro. “Se questo è un uomo..” diceva Primo Levi parlando della situazione degli ebrei nei lager tedeschi. “Se questo è un uomo” è la domanda che ci dobbiamo porre guardando lo status di molti lavoratori non solo italiani, ma di moltissime nazionalità. In Italia chi è disabile, chi è emarginato, non ha diritto alla dignità, è un dato oggettivo, anche se contrasta con i dettami costituzionali. Bisogna dirselo, bisogna essere chiari, l’Italia vive in uno stato di profonda contraddizione. Da un lato si dice latrice dei valori solidali propri incisi nella costituzione, frutto della cultura cattolica, dall’altra vive nel quotidiano una condizione in cui la prevaricazione. La cattiveria verso il più debole è normalità. Quello che succede nelle strade, nelle fabbriche, nel quotidiano contrattare i beni e servizi è in assoluto contrasto con i fini solidali della nostra Repubblica. Ecco perché è necessario l’ultimo comma dell’articolo 41. La legge, una norma dello stato, deve imporre controlli che scongiurino fenomeni di sfruttamento. Il lavoro nero, causa principale delle moti sul lavoro, deve essere debellato. Il lavoro sfruttato cancellato. Lo stato di degrado sociale e morale che produce lo sfruttamento deve essere vinto. L’economia pubblica, i grandi enti economici di proprietà dello stato, e l’economia privata deve tutelare chi è meno fortunato. Lo stato deve intervenire contro i soprusi. Lo stato deve operare in modo da garantire che la crescita economica produca effetti benefici per tutti, anche per i più deboli. Lo stato deve creare leggi che tutelino chi è oggetto di dileggio. Le leggi sul Mobbing, l’isolamento e la segregazione di alcuni soggetti sul posto di lavoro, le leggi sulle pari opportunità uomo /donna sono un passo avanti, ma non basta. Bisogna cambiare la logica economica. Basta giustificazione dello sfruttamento. Bisogna avviare tutele del lavoro e della dignità umana. Difendere la donna, difendere il disabile, difendere la libertà anche nell’economia  è un dovere. Molti cittadini che lo fanno sono oggetto di continui ricatti ed umiliazioni. La loro opera è meritevole e va supportata. Il ricordo è a Libero Grassi. L’imprenditore siciliano ucciso dalla mafia perché rivendicava i diritti e i valori repubblicani anche in ambito economico. Lo faceva in una realtà ove, ancor oggi, la prevaricazione, il potere criminale, l’omicidio detta legge anche e soprattutto in economia. Sono persone come lui che bisogna ammirare. Sono dei punti di riferimento che ci insegnano che bisogna perseguire un’economia eticamente compatibile. Un’economia fondata sui valori cristiani, sui valori solidali, sui valori costituzionali. L’iniziativa economica deve essere libera. L’economia controllata dallo stato, l’economia comunista, ha portato tanti orrori. Anch’essa ha portato alla mancanza di libertà di parola di pensiero, anch’essa ha ucciso milioni di persone, esattamente come il nazismo e il fascismo. Ma l’economia lasciata a se stessa, senza un’iniezione etica di solidarietà, crea anch’essa brutture. Lo vediamo nel passato, pensiamo al nazismo nato grazie all’appoggio dei grandi potentati industriali. Lo vediamo nel presente con un’economia che non si fa scrupoli di sfruttare e discriminare. Lo stato deve tutelare i cittadini, deve tutelare i più deboli, deve fare politiche che rendano la libertà economica non uno strumento di schiavitù, ma un mezzo di realizzazione delle aspirazioni umane. Semplificando e brutalizzando il concetto: arricchirsi attraverso il lavoro è bello e perfino giusto, chi ha delle capacità è giusto che sia compensato con guadagni adeguati. Allo stesso tempo l’economia non deve schiacciare il più debole. La giungla del mercato non deve giustificare lo sfruttamento. Lo stato deve vegliare affinché la dignità umana sia preservata e non svilita dalle logiche di sfruttamento mercantile ed industriale. Chi è disabile, chi è in stato di difficoltà deve essere aiutato, non abbandonato a se stesso in nome di una visione darwinista dell’economica che giustifica il soccombere, in alcuni casi anche fisico, del più debole.
Scritto da Pellecchia Gianfranco

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