ARTICOLO 41 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“L’iniziativa
economica è libera.
Non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana.
La legge determina i
programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”
L’articolo 41 riconosce la libertà economica. Chiunque può
agire liberamente al fine di creare o condurre attività a fini di lucro, purché
non infrangano le leggi civili e panali dello stato. Questo è un principio
proprio della cultura liberale che ha caratterizzato l’Europa fin dai primi
secoli dell’età moderna. La borghesia, la classe imprenditrice, con la sua
iniziativa ha contribuito alla crescita delle nazioni. Adam Smith, ritenuto il
fondatore dell’economia politica liberale, dedica al tema il suo libro più
famoso “La ricchezza delle nazioni”, siamo nell’America del 1776, fra pochi
anni nasceranno gli Stati Uniti frutto della prima grande rivoluzione borghese.
Insomma la libertà d’impresa e la libertà finanziaria è uno dei capisaldi del
sistema produttivo moderno. La libertà economica è vista come strumento per
l’emancipazione dei popoli a quelle servitù proprie del Medioevo. Nel
cosiddetti “secoli bui” si doveva pagare dazi e balzelli al signorotto locale.
Il lavoro si prestava al nobile locale, spesso gratuitamente, questo tipo di
attività era detta corveè. Con la rivoluzione liberale le imposizioni feudali
crollano. Non è un caso che sia stata l’America il luogo ove in primo luogo
sono crollate queste imposizioni. Una terra nuova, una terra in cui non
esistevano i millenari laccioli della cultura europea, ha visto nascere una
nuova frontiera di libertà. Basta imposizioni, basta rigidi dettami, la libera
iniziativa scavalca ogni ostacolo. Bisogna dire che la libertà economica non è
libertà dell’essere umano. Negli Stati Uniti, nella terra della libera
iniziativa, era consentita la schiavitù, gli uomini e le donne non erano uguali,
ma discriminate secondo l’appartenenza etnica. Paradossalmente la libertà di
contrattare aveva prodotto più catene non le aveva spezzate. Il liberalismo, se
da un lato aveva sconfitto la forza prevaricatrice dello stato che impone dazi
e gabelle a chi vuole svolgere attività economiche, dall’altro non aveva
liberato l’uomo dalla logica della prevaricazione del più forte sul più debole.
Chi era più bravo, sostanzialmente il bianco ricco, aveva diritto a porre sotto
il suo giogo il povero, l’incapace, cioè l’uomo di colore. Questa logica della
schiavitù è stata il motore della cultura liberale per secoli. La libera
iniziativa vuol dire, ancor oggi, il soggiogare colui che non ce la fa a stare
al passo. La Repubblica italiana è consapevole di questo dato di fatto. Sa che
libertà economica non vuol dire necessariamente libertà dell’umanità. Per
questo motivo, pur riconoscendo il diritto di ogni cittadino a svolgere
un’attività lavorativa, mette dei paletti. L’attività economica non può essere
tutelata se porta al degrado e al vilipendio della persona. La dignità umana,
come afferma il secondo comma dell’articolo 41, deve essere un valore da
tutelare prima di ogni libertà economico imprenditoriale. Un’industria di
qualsiasi tipo non deve umiliare e degradare la persona umana. Pensiamo ai
lavori usuranti, degradanti, che sviliscono la persona umana compiuti al fine
di guadagnare. Questi sono incompatibili con i principi repubblicani. Non
parliamo dello schiavismo, fortunatamente abolito in quasi tutti i paesi del
mondo, la Costituzione lo ripudia come uno dei fenomeni più orrendi della
storia umana. Insomma la libertà economica non deve essere svolta recando danno
alla sicurezza e alla salute del singolo. Ora pensiamo a ciò che avviene oggi
nel nostro paese. Quanti incidenti sul lavoro ci sono! Quante persone sono
oggetto di scherno all’interno dell’ambito lavorativo. Quante persone vivono
nei fatti una realtà aziendale in cui la voglia di prevaricare prevale sullo
spirito solidale dei lavoratori. La dignità viene calpestata ogni giorno.
Guardando i campi coltivati ove lavorano contadini super fruttati, guardando le
fabbriche ove il lavoro umano è degradato dalle macchine, invece di essere fatto
proprio dalla comunità, il concetto di dignità sembra lontanissimo. La cultura
cattolica e socialdemocratica, che per secoli hanno predicato l’emancipazione
del lavoratore e la sua tutela sociale, sembrano lettera morta. In nome del
denaro tutto è lecito, perfino umiliare l’altro. “Se questo è un uomo..” diceva
Primo Levi parlando della situazione degli ebrei nei lager tedeschi. “Se questo
è un uomo” è la domanda che ci dobbiamo porre guardando lo status di molti
lavoratori non solo italiani, ma di moltissime nazionalità. In Italia chi è
disabile, chi è emarginato, non ha diritto alla dignità, è un dato oggettivo,
anche se contrasta con i dettami costituzionali. Bisogna dirselo, bisogna
essere chiari, l’Italia vive in uno stato di profonda contraddizione. Da un
lato si dice latrice dei valori solidali propri incisi nella costituzione,
frutto della cultura cattolica, dall’altra vive nel quotidiano una condizione
in cui la prevaricazione. La cattiveria verso il più debole è normalità. Quello
che succede nelle strade, nelle fabbriche, nel quotidiano contrattare i beni e
servizi è in assoluto contrasto con i fini solidali della nostra Repubblica.
Ecco perché è necessario l’ultimo comma dell’articolo 41. La legge, una norma
dello stato, deve imporre controlli che scongiurino fenomeni di sfruttamento.
Il lavoro nero, causa principale delle moti sul lavoro, deve essere debellato.
Il lavoro sfruttato cancellato. Lo stato di degrado sociale e morale che
produce lo sfruttamento deve essere vinto. L’economia pubblica, i grandi enti
economici di proprietà dello stato, e l’economia privata deve tutelare chi è
meno fortunato. Lo stato deve intervenire contro i soprusi. Lo stato deve
operare in modo da garantire che la crescita economica produca effetti benefici
per tutti, anche per i più deboli. Lo stato deve creare leggi che tutelino chi
è oggetto di dileggio. Le leggi sul Mobbing, l’isolamento e la segregazione di
alcuni soggetti sul posto di lavoro, le leggi sulle pari opportunità uomo
/donna sono un passo avanti, ma non basta. Bisogna cambiare la logica
economica. Basta giustificazione dello sfruttamento. Bisogna avviare tutele del
lavoro e della dignità umana. Difendere la donna, difendere il disabile,
difendere la libertà anche nell’economia
è un dovere. Molti cittadini che lo fanno sono oggetto di continui
ricatti ed umiliazioni. La loro opera è meritevole e va supportata. Il ricordo è
a Libero Grassi. L’imprenditore siciliano ucciso dalla mafia perché rivendicava
i diritti e i valori repubblicani anche in ambito economico. Lo faceva in una
realtà ove, ancor oggi, la prevaricazione, il potere criminale, l’omicidio
detta legge anche e soprattutto in economia. Sono persone come lui che bisogna
ammirare. Sono dei punti di riferimento che ci insegnano che bisogna perseguire
un’economia eticamente compatibile. Un’economia fondata sui valori cristiani,
sui valori solidali, sui valori costituzionali. L’iniziativa economica deve
essere libera. L’economia controllata dallo stato, l’economia comunista, ha
portato tanti orrori. Anch’essa ha portato alla mancanza di libertà di parola
di pensiero, anch’essa ha ucciso milioni di persone, esattamente come il
nazismo e il fascismo. Ma l’economia lasciata a se stessa, senza un’iniezione
etica di solidarietà, crea anch’essa brutture. Lo vediamo nel passato, pensiamo
al nazismo nato grazie all’appoggio dei grandi potentati industriali. Lo
vediamo nel presente con un’economia che non si fa scrupoli di sfruttare e
discriminare. Lo stato deve tutelare i cittadini, deve tutelare i più deboli,
deve fare politiche che rendano la libertà economica non uno strumento di
schiavitù, ma un mezzo di realizzazione delle aspirazioni umane. Semplificando
e brutalizzando il concetto: arricchirsi attraverso il lavoro è bello e perfino
giusto, chi ha delle capacità è giusto che sia compensato con guadagni
adeguati. Allo stesso tempo l’economia non deve schiacciare il più debole. La
giungla del mercato non deve giustificare lo sfruttamento. Lo stato deve
vegliare affinché la dignità umana sia preservata e non svilita dalle logiche
di sfruttamento mercantile ed industriale. Chi è disabile, chi è in stato di
difficoltà deve essere aiutato, non abbandonato a se stesso in nome di una
visione darwinista dell’economica che giustifica il soccombere, in alcuni casi
anche fisico, del più debole.
Scritto da Pellecchia Gianfranco
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