GENERE
In ogni vocabolario della lingua italiana ogni nome viene
catalogato, anche, in base al genere: maschile o femminile. Ma al di là delle
forme di catalogazione il termine “genere” ha un significato ben più profondo
se utilizzato per distinguere l’universo femminile da quello maschile all’interno
della specie umana. È un dato acquisito da sempre che l’essere uomo o donna
determina la vita e l’esistenza di ognuno di noi. Non è solamente per motivi
sessuali o culturali. Non è solo perché la natura o il divino ci ha donato
organi di riproduzione diversi e, diciamo così, perfettamente intersecabili
nell’atto sessuale che siamo “donna” o “uomo”. Il genere è anche una condizione
non solo psicologica, ma anche inerente alla ontologia di ognuno di noi. Ogni
persona “è” anche perché è donna o uomo. Questi concetti, me ne rendo conto,
non sono unanimemente condivisi. Ci sono molti che considerano una pluralità di
generi. Si considera il genere profondamente legato e interconnesso alle
preferenze sessuali. Di conseguenza si considera una persona di genere
differente un uomo che ama un altro uomo, rispetto a un uomo che ama una donna.
Io francamente non ho gli strumenti scientifici e, soprattutto, filosofici e
psicologi per avvalorare o confutare questa o quella ipotesi. Quello che
proverei a dire è che bisogna provare a considerare l’elemento sessuale, certo,
una componente del genere, ma non l’elemento più rilevante. Insomma non basta
amare un uomo per identificarsi come genere femminile, e così via. L’appartenenza
a un genere è un aspetto a tutto tondo dell’esistenza umana. È un modo, uno
strumento, per vivere i rapporti interpersonali. È un modo per vivere il proprio
essere genitore. È un modo per approcciarsi agli altri e sentire il bisogno di
affetto. È anche un modo per affrontare i problemi. Davanti a una stessa questione
un uomo e una donna spesso trovano risposte assolutamente differenti. Certo ciò
è dovuto alla formazione culturale, allo spirito etico di ciascun individuo che
si acquista non certo con il genere ma con un processo lento di apprendimento,
con la cultura. Ma anche l’essere donna o uomo, obbiettivamente, offre la
possibilità di avere visioni diverse di stesse situazioni. Faccio un esempio
che è pericoloso. Oggi noi abbiamo un presidente della Corte Costituzionale che
è donna. La Professoressa Marta Catabia è una stimatissima docente
universitaria. I suoi lavori di Diritto Costituzionale sono un punto di
riferimento per la dottrina e per la giurisprudenza. Le sue competenze di uomo
(donna) di legge sono indiscutibili. Rimane il fatto che la sua vita di donna,
madre e compagna ha marcato profondamente il suo essere professore stimato. Le
sue analisi giuridiche non possono prescindere del proprio essere. Ovviamente
ciò vale per lei come per tutti gli esseri umani. Ecco partendo da questa
esemplificazione provo a spiegare cosa sia per me il genere. è un’aspetto
connaturato ed essenziale alla vita di ognuno. Ogni cammino di vita è legato a
ciò che siamo. Nessuno potrebbe fare delle scelte prescindendo dal proprio
essere e l’essenza di ognuno non può essere aliena al proprio genere. Non si è
se stessi senza la coscienza di essere donna e di essere uomo. Non si è un
professionista o un lavoratore senza portare dentro alla propria esperienza
lavorativa l’aspetto fondamentale dell’essere uomo o donna. Non si può pensare
a sé in quanto essere asessuato, non a caso si pensa alla asessualità quando si
pensa alla metafisica, a tutto ciò che non ha corpo. Possono essere asessuati,
e fra l’altro non è un dibattito assodato, gli angeli, ma non possono esserlo
gli esseri umani. Ma come abbiamo detto l’essere donna o uomo non è solo legato
all’atto riproduttivo. È un aspetto che riguarda a tutto tondo la vita e l’essenza
di ognuno di noi. Ecco perché cercare con tutti i mezzi di creare le premesse
perché il genere femminile sia chiamato a svolgere le funzioni istituzionali di
più alto livello è un bene per tutta la società. Perché portare a il modo di
pensare della donna nelle massime assise vuol dire aprile quelle istituzioni
alle visioni legate alla maternità, cioè il prendersi cura ed accudire. Insomma
una donna potrebbe pensare al collettivo, al bene comune, non come un concetto
astratto, come fanno gli uomini, ma un concreto riunirsi in comunità di singole
persone. Un cambio culturale che potrebbe rivoluzionare il tempo e la storia.
Ecco perché l’uguaglianza non è negare la diversità di genere, ma di rendere
ogni singolo uomo e donna capace di compartecipare alla vita collettiva e
pubblica sentendo che è l’altro il fine del proprio angere e non un mezzo.
Esattamente come fa la mamma quando si prende cura della propria bimba o bimbo.
Insomma la compartecipazione di ambedue i generi è strumento per cambiare in
meglio la visione della cosa pubblica, dello stato.
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