martedì 17 aprile 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 101



ARTICOLO 101

“La giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

L’articolo 101 della Costituzione Italiana è il primo del Titolo IV, seconda parte. Questa parte della nostra Carta Fondamentale è dedicata prettamente e unicamente al Potere Giudiziario. La Magistratura è l’istituzione statale che ha l’alto compito di amministrare la giustizia e di garantire il rispetto delle leggi. La giustizia è amministrata in nome del popolo, dice il primo comma dell’articolo 101. Cosa vuol dire? Che il senso di giustizia e di legalità è l’elemento fondante del nostro vivere civile. La Magistratura esercita il potere di punire chi infrange le leggi in nome di un sentimento comune di legalità. Il rispetto delle norme è il fondamento del nostro aggregato sociale. Noi italiani siamo popolo proprio perché ci sono un’insieme di norme, di regole, il cui rispetto ci rende un corpo sociale unico. Insomma i magistrati trovano nel popolo la legittimità ad amministrare la legge. Il Popolo, noi tutti, siamo comunità proprio perché riconosciamo nelle legge e nella legalità il fondamento e la legittimazione del nostro vivere comunitario. Non è solo il reciproco legittimarsi del concetto di popolo e magistratura la base del primo comma della costituzione. Esso esprime anche il concetto democratico del nostro ordinamento statuale. Ogni azione dello stato, anche quella di amministrare la giustizia, è l’espressione plastica della sovranità popolare. È l’esplicitazione del principio esposto nell’articolo uno della Costituzione: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme stabilite dalla legge. Uno degli strumenti per esercitare la sovranità popolare è la giustizia. Attraverso i magistrati il popolo manifesta uno dei suoi poteri. I magistrati, nell’adempimento delle loro funzioni, devono ricordarsi sempre di essere prezioso strumento per produrre l’epifania del potere democratico. La giustizia è lo strumento per giungere all’eguaglianza. Tutti devono rispettare le norme, se si è ricchissimo e se si è poverissimo si è comunque soggetto alla legge. È un principio basilare, troppo spesso messo in discussione. In realtà l’Italia è un paese di ingiustizie. È vano negarlo. Troppo spesso la giustizia si fa sommamente ingiusta. La durata troppo lunga dei processi arriva a negare la possibilità di giungere a una verità processuale. I processi divengono strumenti per difendere i privilegi dei potenti, capaci di giungere a sentenze a loro favorevoli, anche senza arrivare a pratiche illegali, soltanto sapendo utilizzare al meglio la professionalità degli avvocati al loro servizio. È difficile cambiare questo stato di cose. Il denaro, il potere, hanno un ruolo fondamentale nella gestione della vita sociale, anche in ambito giudiziario. La Costituzione, però, chiama tutti noi e soprattutto la magistratura a tentare di rovesciare questo stato di cose. I magistrati, alti funzionari pubblici, devono essere soggetti soltanto alla legge. Non devono sentirsi influenzati dalle forze economiche, politiche e sociali. Devono avere come punto di riferimento lo stato, la Repubblica e i cittadini. Devono garantire che il diritto è strumento di giustizia e uguaglianza. Non vi deve essere l’Azzeccagarbugli, di manzoniana memoria, che usa il diritto per servire il potente e prendere in giro il povero. La legge è uno strumento di democrazia. La legge rende gli stati più funzionali e democratici. “C’è un giudice a Berlino” è la famosa frase espressa da un popolano Tedesco che nell’Ottocento si ribellava al potere di un signorotto locale. La consapevolezza che la magistratura applicherà solo e unicamente la legge, senza guardare in faccia nessuno, è il motore che ha mosso tutta la società liberale Europea e mondiale in questi ultimi due / tre secoli, gli stati moderni hanno fatto del diritto lo strumento fondamentale di emancipazione e giustizia sociale. Devono finire le barriere di censo e di estrazione sociale che hanno caratterizzato il Medioevo. La Magistratura è un potere dello stato, che deve essere esercitato con il popolo e per il popolo. La politica, l’economia, la cultura non devono essere strumenti di privilegio. Il professore universitario non deve essere giudicato diversamente da me, che sono umile e ignorante. La Legge, che è la fonte del potere giudiziario esercitato dalla magistratura, non deve prevedere privilegi. Tutti siamo uguali, tutti siamo sottomessi non a degli uomini, i giudici, ma al diritto che è espressione di quella comunità di persone che è la nostra Repubblica, fondata su valori di libertà giustizia ed uguaglianza. Chi tenta di utilizzare il potere, il suo status sociale, per sottrarsi alla legge, compie un atto di barbarie, si comporta come un violentatore delle norme sociali. Troppe volte vediamo questi ceffi all’azione, dobbiamo esprimere la nostra ferma indignazione, anche se ciò vuol dire pagare un fio. Quanti evadono le tasse. Quanti dichiarano il falso. Quanti utilizzano la politica per loschi affari. Noi stessi, nel quotidiano, ci abituiamo alla illegalità. Magari lavoriamo a nero. Dichiariamo il falso per avere un qualche ingiustificato privilegio. Magari non facciamo fatture se siamo liberi professionisti. Magari accettiamo fatture false per pagare di meno. Facendo così non prestiamo servizio alla giustizia, distruggiamo le fondamenta della Repubblica e del nostro vivere comune. Cambiare è un dovere. Il rigore morale è un obbiettivo da raggiungere. Come i giudici devono essere soggetti solo alla legge, senza alcuna interferenza, noi dobbiamo rendere il nostro ordinamento giuridico faro della nostra vita, lanterna che ci guida nell’oscurità che spesso la vita ci manifesta.

Scritto da Gianfranco Pellecchia

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