ARTICOLO 101
“La giustizia è
amministrata in nome del popolo.
I giudici sono
soggetti soltanto alla legge”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 101 della Costituzione Italiana è il primo del
Titolo IV, seconda parte. Questa parte della nostra Carta Fondamentale è
dedicata prettamente e unicamente al Potere Giudiziario. La Magistratura è l’istituzione
statale che ha l’alto compito di amministrare la giustizia e di garantire il
rispetto delle leggi. La giustizia è amministrata in nome del popolo, dice il
primo comma dell’articolo 101. Cosa vuol dire? Che il senso di giustizia e di
legalità è l’elemento fondante del nostro vivere civile. La Magistratura
esercita il potere di punire chi infrange le leggi in nome di un sentimento
comune di legalità. Il rispetto delle norme è il fondamento del nostro
aggregato sociale. Noi italiani siamo popolo proprio perché ci sono un’insieme
di norme, di regole, il cui rispetto ci rende un corpo sociale unico. Insomma i
magistrati trovano nel popolo la legittimità ad amministrare la legge. Il
Popolo, noi tutti, siamo comunità proprio perché riconosciamo nelle legge e
nella legalità il fondamento e la legittimazione del nostro vivere comunitario.
Non è solo il reciproco legittimarsi del concetto di popolo e magistratura la
base del primo comma della costituzione. Esso esprime anche il concetto
democratico del nostro ordinamento statuale. Ogni azione dello stato, anche
quella di amministrare la giustizia, è l’espressione plastica della sovranità
popolare. È l’esplicitazione del principio esposto nell’articolo uno della
Costituzione: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme stabilite
dalla legge. Uno degli strumenti per esercitare la sovranità popolare è la
giustizia. Attraverso i magistrati il popolo manifesta uno dei suoi poteri. I
magistrati, nell’adempimento delle loro funzioni, devono ricordarsi sempre di
essere prezioso strumento per produrre l’epifania del potere democratico. La
giustizia è lo strumento per giungere all’eguaglianza. Tutti devono rispettare
le norme, se si è ricchissimo e se si è poverissimo si è comunque soggetto alla
legge. È un principio basilare, troppo spesso messo in discussione. In realtà l’Italia
è un paese di ingiustizie. È vano negarlo. Troppo spesso la giustizia si fa
sommamente ingiusta. La durata troppo lunga dei processi arriva a negare la
possibilità di giungere a una verità processuale. I processi divengono
strumenti per difendere i privilegi dei potenti, capaci di giungere a sentenze
a loro favorevoli, anche senza arrivare a pratiche illegali, soltanto sapendo
utilizzare al meglio la professionalità degli avvocati al loro servizio. È difficile
cambiare questo stato di cose. Il denaro, il potere, hanno un ruolo
fondamentale nella gestione della vita sociale, anche in ambito giudiziario. La
Costituzione, però, chiama tutti noi e soprattutto la magistratura a tentare di
rovesciare questo stato di cose. I magistrati, alti funzionari pubblici, devono
essere soggetti soltanto alla legge. Non devono sentirsi influenzati dalle
forze economiche, politiche e sociali. Devono avere come punto di riferimento
lo stato, la Repubblica e i cittadini. Devono garantire che il diritto è
strumento di giustizia e uguaglianza. Non vi deve essere l’Azzeccagarbugli, di manzoniana
memoria, che usa il diritto per servire il potente e prendere in giro il
povero. La legge è uno strumento di democrazia. La legge rende gli stati più
funzionali e democratici. “C’è un giudice a Berlino” è la famosa frase espressa
da un popolano Tedesco che nell’Ottocento si ribellava al potere di un
signorotto locale. La consapevolezza che la magistratura applicherà solo e
unicamente la legge, senza guardare in faccia nessuno, è il motore che ha mosso
tutta la società liberale Europea e mondiale in questi ultimi due / tre secoli,
gli stati moderni hanno fatto del diritto lo strumento fondamentale di
emancipazione e giustizia sociale. Devono finire le barriere di censo e di
estrazione sociale che hanno caratterizzato il Medioevo. La Magistratura è un
potere dello stato, che deve essere esercitato con il popolo e per il popolo. La
politica, l’economia, la cultura non devono essere strumenti di privilegio. Il
professore universitario non deve essere giudicato diversamente da me, che sono
umile e ignorante. La Legge, che è la fonte del potere giudiziario esercitato
dalla magistratura, non deve prevedere privilegi. Tutti siamo uguali, tutti
siamo sottomessi non a degli uomini, i giudici, ma al diritto che è espressione
di quella comunità di persone che è la nostra Repubblica, fondata su valori di
libertà giustizia ed uguaglianza. Chi tenta di utilizzare il potere, il suo
status sociale, per sottrarsi alla legge, compie un atto di barbarie, si
comporta come un violentatore delle norme sociali. Troppe volte vediamo questi
ceffi all’azione, dobbiamo esprimere la nostra ferma indignazione, anche se ciò
vuol dire pagare un fio. Quanti evadono le tasse. Quanti dichiarano il falso.
Quanti utilizzano la politica per loschi affari. Noi stessi, nel quotidiano, ci
abituiamo alla illegalità. Magari lavoriamo a nero. Dichiariamo il falso per
avere un qualche ingiustificato privilegio. Magari non facciamo fatture se
siamo liberi professionisti. Magari accettiamo fatture false per pagare di
meno. Facendo così non prestiamo servizio alla giustizia, distruggiamo le
fondamenta della Repubblica e del nostro vivere comune. Cambiare è un dovere.
Il rigore morale è un obbiettivo da raggiungere. Come i giudici devono essere
soggetti solo alla legge, senza alcuna interferenza, noi dobbiamo rendere il
nostro ordinamento giuridico faro della nostra vita, lanterna che ci guida nell’oscurità
che spesso la vita ci manifesta.
Scritto da Gianfranco Pellecchia
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