giovedì 5 aprile 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 90



ARTICOLO 90

“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Il Presidente della Repubblica, nell’esercizio del suo mandato, gode dell’immunità per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Il Presidente della Repubblica è irresponsabile dei sui gesti dal punto di vista della giustizia civile, amministrativa e penale. Non può essere perseguito. Nel caso abbia compiuto reati al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni il procedimento penale è sospeso fino a quando rimane in carica. Al momento della cessazione del suo mandato potrà subire il procedimento penale necessario per definire le sua responsabilità. Questo status presidenziale è sancito dall’articolo 90 della Costituzione. Tale norma, però, fa una importantissima eccezione. Il Presidente della Repubblica può essere perseguito anche quando è in carica se compie atti di alto tradimento verso lo Stato e per aver violato i dettami costituzionali. La dottrina è divisa nella definizione dei reati presidenziali. Difficile configurare nell’ambito di una precisa fattispecie normativa il concetto di “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione”. Molti giuristi sembrano orientati ad intendere tali concetti come la manifestazione di una palese violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica, attraverso atti che concretamente violano l’integrità e l’indipendenza dello stato. Altri fanno risalire la fattispecie di “alto tradimento del Presidente della Repubblica” alla norma 283 del Codice Penale che punisce chiunque attenti alla Costituzione dello Stato. Altri la fanno risalire all’articolo 77 del Codice Penale Militare che puniscono i delitti contro la personalità dello stato. Però la maggioranza dei costituzionalisti è concorde nel dire che il reato presidenziale non può essere ricondotto a tali norme penali. Le peculiarità delle funzioni presidenziali renderebbero il reato di “alto tradimento” da lui compiuto non pienamente riconducibile a fattispecie normative. Il Presidente della Repubblica sarebbe privo della garanzia costituzionale che impone che nessuno possa essere condannato penalmente senza che abbia infranto una specifica e determinata norma. L’alto tradimento rimarrebbe un concetto giuridico vago, che non ha fondamenti nell’ordinamento penale. Il Parlamento in seduta comune, l’organo che mette in stato d’accusa il Presidente, dovrebbe esaminare i comportamenti del primo cittadino e definire compiutamente l’atto censurabile e censurato che la corte costituzionale dovrebbe giudicare. Il Parlamento in seduta comune infatti vota l’incriminazione del Presidente, la Consulta è l’organo giudicante che punisce o assolve l’inquilino del Quirinale. Questo è in estrema sintesi l’iter costituzionale. Il parlamento a maggioranza assoluta dei componenti mette in stato d’accusa il presidente, come ricorda il secondo comma dell’articolo 90. Ma quali sono gli atti presidenziali perseguibili? L’aver confabulato con politici stranieri contro la nazione italiana, può essere un reato. L’aver attentato ai principi democratici incisi nella Costituzione, può essere un reato perseguibile. Insomma i reati presidenziali sono gesti volti a sovvertire l’ordine Repubblicano. Magari possono essere non soltanto atti specifici, ma comportamenti ripetuti volti a denigrare e infangare quelle che sono le istituzioni repubblicane.

Ricordiamo succintamente il procedimento di messa in stato d’accusa del presidente. Quando viene presentata da un gruppo di parlamentari la richiesta formale di messa in stato d’accusa del presidente, si riunisce d’urgenza un comitato di 20 deputati e senatori scelti d’intesa fra i due presidenti delle Camere. Questa prima commissione decide se archiviare l’accusa, ritenuta inconsistente, oppure se proporla al voto delle Camere. In tal caso il Presidente della Camera, letta la valutazione della Commissione, convoca il Parlamento in seduta comune che voterà a maggioranza assoluta l’Impeachment, questo è il termine giuridico anglosassone che definisce il processo penale a carico del capo dello stato, istituto conosciuto anche negli Stati Uniti d’America. In tal caso tutti gli atti saranno inviati alla Corte Costituzionale che istruirà il processo contro il Presidente della Repubblica. La Consulta istituirà, a norma dell’articolo 135 ultimo comma della Costituzione, un collegio giudicante composto non solo dai quindici magistrati ordinari, ma anche da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse lodabilità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. Ricordiamo che l’elezione sia dei giudici ordinari che di quelli straordinari è fatta dal Parlamento in seduta comune. Dopo le operazioni istruttorie la Consulta si chiude in camera di consiglio e vota, in caso di parità fra due verdetti possibili si sceglie quello più favorevole all’imputato. In caso di scelta fra assoluzione o condanna, in caso di parità, si assolve l’imputato.

L’istituto di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è stato utilizzato solo nel caso dello scandalo Lockheed. Una azienda aereonautica americana  aveva pagato delle ingenti tangenti a membri del governo, arrivando a lambire l’onorabilità della Presidenza della Repubblica. Il processo si svolse fra l’aprile del 1977 e marzo del 1978. Allora rispondevano davanti alla consulta per reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni anche i ministri del governo. Oggi invece i ministri rispondono davanti al giudice ordinario dei propri reati. Per questo motivo il processo Lockheed vide sfilare membri dell’esecutivo, ma non Giovanni Leone, l’allora presidente della Repubblica dimessosi dalla carica a causa dello scandalo. Ad onor del vero Leone non fu coinvolto direttamente nel processo. Il presidente si dimostrò scevro da ogni colpa. Ad essere imputato era il figlio. A questo punto ricordiamo il mutare dei tempi. La vicenda Paolo Berlusconi, il fratello del Presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Paolo Berlusconi fu condannato per tangenti. Il Popolo della Lega e di Forza Italia, i sostenitori della destra, sostennero Paolo. Lo difesero strenuamente. Premiarono elettoralmente Lega e Forza Italia che avevano condotto alacremente un duello contro l’autorità giudiziaria che stava processando Paolo Berlusconi. Tutto diverso il comportamento dell’elettorato di sinistra pronto a punire Matteo Renzi, segretario del Partito democratico, per i reati, presunti, compiuti dal padre. Poco importa che il genitore è stato assolto. Alla luce di questo il popolo di sinistra appare il vecchio, legato ai valori di legalità e rispetto delle leggi, mentre la Lega e Forza Italia appaiono il nuovo che propugna il prevalere dei legami familiari sulle responsabilità civili e democratiche. Basta vedere come Matteo Salvini, segretario della lega, rivendichi con orgoglio gli atti del suo partito volti a finanziare amici e parenti dei leader. Insomma la terza repubblica, come si chiama quella uscita dalle ultime elezioni, sembra lontana dalla prima che si scandalizzava per le vicende Lockheed.

Scritto da Gianfranco Pellecchia


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