ARTICOLO 107
“I magistrati sono inamovibili.
Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi
o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della
magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite
dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
Il ministro della
giustizia ha la facoltà di promuovere l’azione disciplinare.
I magistrati si
distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.
Il pubblico ministero
gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme dell’ordinamento
giudiziario”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 107 della Costituzione pone dei principi basilari
per garantire l’indipendenza dei magistrati da altri poteri dello stato e li
pone fuori da ogni logica gerarchica, non sottoponendoli ad alcuna autorità
superiore se non la legge dello stato. Per garantirgli l’indipendenza la nostra
carta fondamentale afferma che sono inamovibili. L’esecutivo non può
trasferirli o defenestrarli per intralciare il loro lavoro. È il Consiglio
Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della magistratura, a
decidere se sospenderli o dispensarli dal servizio oppure trasferirli ad altre
sedi. Ma anche il CSM non può e non deve compiere tali atti arbitrariamente.
Tali azioni devono essere motivate da gravi motivi di incompatibilità ambientale
e da motivi di opportunità volta alla salvaguardia dell’onore dell’ufficio
giudiziario. L’ordinamento giudiziario, il corpus di leggi che regolamenta il
ruolo e le attività dei giudici, deve essere la stella polare su cui orientarsi
per motivare eventuali atti contro un singolo giudice. Non vi è la possibilità
di compiere arbitri. Non si è nel campo dell’attività amministrativa, in cui l’autorità
gerarchica può giustificare un atto d’imperio del superiore rispetto al
subordinato. In magistratura vige il principio dell’uguaglianza, tutti i
magistrati hanno la stessa autorità, si possono distinguere fra loro solo per
diversità di funzioni, come afferma il terzo comma dell’articolo 107. Alla luce
di questo è il CSM che stabilisce come procedere in eventuali casi di indubbia
necessità di trasferimento. A far richiesta di intervento del Consiglio è il
Ministro della Giustizia. Tale organo dell’esecutivo non ha il potere di agire con
azioni disciplinari, ha la possibilità di promuovere l’azione, cioè di chiedere
che il magistrato sia punito, ma sarà il csm a valutare se farlo e come farlo. È
d’obbligo sottolineare che il Consiglio Superiore della Magistratura può
trasferire o dare altro compito a un magistrato con il suo consenso o su sua
richiesta. In questo caso non sono necessarie le garanzie di difesa concesse al
giudice. Ovviamente tali atti non sono da considerarsi censori del suo operato
o punitivi. In tali situazioni l’ordinamento giudiziario è meno rigido nelle
modalità di esecuzione del provvedimento del Consiglio Superiore della
Magistratura. In casi, invece, di trasferimento forzato è bene che il
magistrato esponga in maniera chiara le sue ragioni e ci sia un vero e proprio
contradditorio in sala di consiglio al fine di garantire chiarezza e
trasparenza in un provvedimento che è nei fatti censorio verso l’operato del giudice.
I magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni, per il loro agire
in uffici diversi all’interno del palazzo giudiziario. Chi svolge l’attività
all’interno del tribunale dei minori ha la stessa autorità e ruolo di chi opera
nell’ambito del processo civile, penale etc. Particolare attenzione è posto sul
ruolo del Pubblico Ministero. Non certo perché tale figura sia diversa
giuridicamente e professionalmente dagli altri magistrati. Il Pubblico
Ministero è un magistrato al pari di tutti gli altri. È la sua funzione ad
essere particolare. Il suo compito è quello di preparare le basi per un
processo penale. Il suo compito è appurare i fatti che sono da ritenersi
scaturenti di un reato. Il suo compito è quello di mettere insieme le prove,
gli elementi materiali che raccontano come si sia svolta un’azione che potrebbe
essere censurabile dal punto di vista penale, e presentarle al giudice che
presiede il dibattimento. È d’obbligo precisare che per il nostro ordinamento
il pubblico ministero non è propriamente da considerarsi “parte” di un
processo. Non si può certo dire che agisca contro l’imputato. Come qualsiasi
giudice ha la funzione di appurare la verità, non è il “nemico” dell’accusato.
Svolge un’azione di indagine con il supporto delle forze dell’ordine. Il suo
ruolo è quello di presentare fatti e circostanze davanti al giudice giudicante,
quest’ultimo è chiamato poi a pronunciare sentenza. Questa visione del Pubblico
Ministero come superpartes aveva indotto i costituenti a non ritenere
necessario che fosse chiara e lampante la parità di forze fra il giudice delle
indagini e il reo. Il Pubblico Ministero aveva prerogative e strumenti di
indagine che lo mettevano in una situazione di privilegio rispetto agli
avvocati della difesa. L’introduzione in Costituzione del principio del principio
del “giusto Processo” attraverso il novellare dell’articolo 111, ha cambiato le
cose. Oggi la difesa ha più poteri di contro indagine, ha un ruolo di parità
con i P.M. in caso di interrogatorio dei testi. L’ordinamento italiano ha preso
spunto da quello anglosassone per riformarsi. Ma negli Stati Uniti il
funzionamento della giustizia è diverso. Il procuratore non è organo neutrale,
è un funzionario del governatore dello stato federato. Forse era giusto tener
conto di questo, prima di introdurre nel nostro ordinamento il concetto di
parità assoluta fra accusa e difesa. Questo ovviamente non vuol dire che il
Magistrato dovrebbe prevaricare sull’imputato. È bene che chi è oggetto di
indagine ed è sotto processo abbia tutte le tutele giuridiche necessarie e sia
considerato innocente fino a sentenza definitiva, come afferma solennemente l’articolo
27 della Costituzione. È bene che sia ascoltato e abbia un avvocato che lo
assisti. L’articolo 24 della nostra carta fondamentale ricorda che la difesa è
un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento giudiziario. È bene
che la sua libertà personale sia tutelata. Lo afferma l’artico 13 della Legge
delle Leggi. Quello che ci lascia perplessi è il considerare il Pubblico
Ministero il nemico dell’imputato e non un umile servitore della verità
giudiziaria, quale i costituenti nel 1948 l’hanno voluto.
Scritto da Gianfranco Pellecchia
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