ARTICOLO 96
“Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge Costituzionale”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 96 della Costituzione Italiana, novellato dalla Legge Costituzionale del 16 gennaio 1989, regolamenta le procedure volte a chiarire eventuali responsabilità penali dei singoli ministri. Prima della riforma dell’articolo 96, i titolari dei dicasteri erano giudicati per i loro crimini dalla Corte Costituzionale integrata da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, tale elenco è rinnovato ogni nove anni dal Parlamento riunito in seduta comune. Il procedimento era simile a quello previsto nel caso in cui il Presidente della Repubblica è accusato di Alto Tradimento della Patria o Attentato alla Costituzione, in base al dettame dell’articolo 90 della Costituzione. Non a caso l’elenco dei cittadini che integrano la Corte Costituzionale è ancora valido, il Parlamento si riunisce in seduta comune per compilarlo, proprio nell’eventualità che il Presidente della Repubblica possa essere incriminato. Oggi i ministri della Repubblica sono incriminati senza alcuna autorizzazione delle Camere se hanno commesso reati al di fuori delle loro funzioni. Il compito di metterli sotto inchiesta è della magistratura ordinaria, insomma i titolari dei dicasteri sono posti alla stessa stregua dei comuni cittadini. Questa scelta politica fu dovuta all’indignazione dei cittadini che chiedevano un agire più trasparente della politica e un metodo meno macchinoso per imputare i membri del governo se sospettati di crimini. A subire le conseguenze di tale scelta è stato Silvio Berlusconi. Ricordiamo che il capo di Forza Italia e della coalizione di destra, pur ricoprendo a lungo le vesti di Presidente del Consiglio, fu incriminato per reati di natura fiscale, per l’aver creato fondi neri all’estero e per aver fatto patti leonini. Tutti gesti che chi vota Lega e Forza Italia considera atti veniali e facilmente scusabili, ma che purtroppo fanno parte del codice penale italiano. Oggi, infatti, il 35% degli italiani, coloro che votano Forza Italia e Lega, certamente non applaudirebbero alla riforma del 1989. Ad onor del vero anche un ministro del governo di Romano Prodi, presidente del consiglio di sinistra, fu indagato per una vicenda di tangenti. Il governo cadde per lo scandalo, anche se alla fine i ministri indagati, Prodi compreso, furono scagionati. Nessuno a sinistra invocò leggi speciali, leggi che tutelano gli indagati, come invece chiesero Lega e Forza Italia. Insomma i ministri della Repubblica sono indagati, come tutti i cittadini, se commettono reati comuni. Sono perseguiti dalla giustizia ordinaria, previa autorizzazione della camera di cui fanno parte se parlamentari, oppure della Camera dei Deputati se non sono membri del parlamento, nel caso commettano reati nell’esercizio delle loro funzioni di Ministro della Repubblica. Bisogna annotare una cosa. In caso di reati si natura ministeriale. Se la procura costata che un membro del governo potrebbe essere coinvolto in una inchiesta, deve, attraverso il Procuratore della Repubblica, inviare la notitia criminis ad un collegio di tre magistrati, estratti a sorte ogni due anni nel distretto della procura. Tale collegio, se non ritiene la questione infondata e non archivia l’inchiesta, la trasmette al presidente della camera competente che sarà chiamata a dare l’autorizzazione a procedere con voto a maggioranza assoluta dei suoi membri. Bisogna notare che la legge del 7 aprile 2010 aveva introdotto il legittimo impedimento, cioè il diritto del Presidente del Consiglio e dei singoli Ministri di addurre inderogabili esigenze politiche che impediscano di comparire in udienza. Questa norma di fatto bloccava i processi, costringendo a rinviarli per impossibilità dell’imputato a presenziare. Questa norma è stata ritenuta parzialmente incostituzionale dalla sentenza della Consulta numero 23 del 2011, nella parte in cui dava assoluta discrezionalità al ministro nell’addurre eventuali impedimenti a presenziare al processo, poi la norma è stata abrogata dal referendum che si è tenuto nel 2012. Insomma l’articolo 96 della Costituzione è volto a moderare il giusto diritto alla giustizia con il bisogno che siano garantite le prerogative di sicurezza dell’esecutivo in nome della divisione dei poteri che vieta un’indebita ingerenza della politica sulla magistratura e viceversa. Il Ministro non deve essere perseguito penalmente quale ferma di persecuzione contro le proprie convinzioni e attività politiche. Allo stesso tempo non può e non deve utilizzare la propria carica per impedire che vi sia un processo a suo carico. È deprecabile l’azione di Lega e Forza Italia che, durante gli anni che sono stati al governo, hanno scritto ed emanato leggi volte solamente ad impedire inchiesti a carico di propri aderenti. Ricordiamo la norma denominata “processo breve”, che in realtà impediva di indagare su reati di corruzione. È bene ricordare che l’articolo 117 della Costituzione impone al magistrato di esercitare l’azione penale, a prescindere da chi sia l’imputato. Difendere ministri e presidenti del consiglio dal loro giusto processo è atto politicamente disdicevole, anche se a farlo sono forze che coalizzate hanno raggiunto alle ultime elezioni il 35% dei voti dimostrandosi prima forza del paese.
Bisogna aggiungere che in caso di richiesta d’arresto i ministri come i parlamentari possono essere messi in cattività dalla magistratura solo ed esclusivamente se tale grave atto processuale è avallato da voto parlamentare. Non è ammesso che un membro del governo sia privato della propria libertà senza l’avvallo assembleare.
La legge denominata Severino, dal nome del ministro della giustizia che l’ha presentata alle Camere le quali l’hanno approvata, prevede che in caso di condanna definitiva di un ministro o di un parlamentare questo decada dalla propria carica a seguito di un voto, che ha mero carattere di controllo di legittimità, da parte del ramo del parlamento di cui il reo fa parte. Al momento nessun ministro in carica è stato oggetto della nuova norma. Solo l’ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è decaduto dalla carica di senatore a seguito di una vicenda legata a fondi neri ed evasione fiscale. Urge notare che la decadenza ha una durata di sette anni. Attualmente Silvio Berlusconi, libero cittadino perché ha espiato la pena, ma ineleggibile alla carica di parlamentare, è entrato al Quirinale quale componente della delegazione di Forza Italia che partecipa alle consultazioni per il nuovo governo. Al prossimo incontro si presenterà al fianco di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni quale esponente del centrodestra unito. Questo fa trasparire come ben poco appele abbiano le norme anticorruzione su un elettorato che comunque vota una coalizione politica in cui si promette che un incandidabile, perché condannato per reati fiscali.
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