ARTICOLO 88
“Il Presidente della
Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una
sola di esse.
Non può esercitare
tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano
in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Uno dei poteri più rilevanti del Presidente della Repubblica
è quello sancito dall’articolo 88 della Costituzione Italiana. Con questa norma
fondamentale si attribuisce al primo cittadino dello stato il potere di
sciogliere le Camere dei rappresentanti. È una facoltà che offre la possibilità
al Presidente di ingerire nelle attività del potere legislativo. L’Italia è una
Repubblica Parlamentare. Nella Camera dei deputati e nel senato risiede la
sovranità popolare. Questo potere presidenziale, quindi, può apparire
un’eccezione al principio di sovranità popolare sancito dall’articolo uno della
nostra stessa Costituzione. Un organo monocratico, per di più non eletto
direttamente dai cittadini, può decidere delle sorti delle assemblee
legislative. Alla luce di questo appare evidente che il presidente della
repubblica debba utilizzare questa sua prerogativa con estrema prudenza. Sia
chiaro il Presidente deve sciogliere i rami del parlamento quando si è giunti
alla naturale conclusione della legislatura, dopo cinque anni di vita
istituzionale, in forza dell’articolo 61 della Costituzione, le Camere devono
rinnovarsi davanti all’elettorato. In questo caso il presidente della
repubblica deve sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Ma il potere si
scioglimento delle assemblee va oltre a un atto burocratico da svolgere alla
scadenza del mandato parlamentare. Il Presidente può sciogliere le camere, o
una sola di esse, prima della naturale conclusione della legislatura. Può farlo
quando costata che ci sia uno stallo politico istituzionale tale che la stessa
Repubblica non è in grado di funzionare. Normalmente il Presidente della
Repubblica sceglie di sciogliere le camere, sentiti i loro presidenti, quando
costata l’impossibilità di formare una maggioranza politica che appoggi
l’esecutivo o quando costata che la maggioranza parlamentare che appoggia il
governo in carica è venuta meno. Insomma lo scioglimento anticipato delle
Camere avviene quando si viene a rompere il sodalizio fra forze politiche che
ha dato la possibilità di dare la fiducia parlamentare al governo e non vi è
nessuna possibilità di formarne un altro. L’atto di scioglimento delle Camere
è formalmente e sostanzialmente
presidenziale. Il Governo non deve influire sulle decisioni del Presidente.
Anche perché l’esecutivo è una delle parti in causa. Spesso le crisi
parlamentari sono causate dalla volontà di censurare il suo comportamento. Alla
luce di questo, sapendo che l’esecutivo in questi frangenti ha perso la fiducia
parlamentare, apparirebbe bizzarro che
contribuisse alla decisione di sciogliere le assemblee parlamentari. Il
Presidente della Repubblica è solo in questa delicatissima incombenza. Lo
scioglimento anticipato deve essere giustificato da ragioni obbiettive. Deve tendere
a ristabilire il corretto funzionamento del meccanismo costituzionale. Lo
scioglimento delle Camere potrebbe essere necessario anche in caso di lampante
frattura fra il corpo elettorale e le forze politiche presenti in parlamento.
Il Presidente della Repubblica potrebbe essere indotto a sciogliere le Camere a
causa di pressanti e imponenti manifestazioni popolari contro la classe
politica. Queste sarebbero la manifestazione di malcontento verso una classe
politica incapace o non propensa a fare gli interessi generali. In questo caso
le elezioni potrebbero essere una soluzione volta ad evitare sollevamenti
popolari che potrebbero far scorgere moti rivoluzionari. Ovviamente siamo a
tesi di scuola. Ci auguriamo che le fratture istituzionali non scadano mai in
situazioni così estreme.
Il presidente della
repubblica deve sentire i presidenti delle camere prima di scioglierne. È l’unico
precetto che l’articolo 88 impone al primo cittadino dello stato, prima di
mandare gli italiani alle urne. Nella sua scarna affermazione, però, la
dottrina e la prassi costituzionale ha riscontrato un rigido ammonimento verso
il Presidente della Repubblica. Il suo arbitrio non deve essere assoluto, anzi,
obbiettivo dell’operare del primo cittadino dello stato deve essere quello di
evitare “la morte” prematura della legislatura. Il suo dialogo con le massime
cariche parlamentari deve essere volto alla ricerca di un compromesso politico
fra le forze politiche volte a recuperare un comune sentire che faccia scaturire
una nuova maggioranza politico parlamentare. Se c’è la possibilità di formare
un nuovo governo, bisogna che il presidente la sfrutti. Ad onor del vero la
prassi e le convenzioni costituzionali hanno introdotto l’ufficio delle
consultazioni. Il Presidente della Repubblica, oltre ad ascoltare i presidenti
delle Camere in caso di crisi, incontra anche le delegazioni dei partiti
presenti in parlamento. Questa prassi esiste fin da quando l’Italia era una
monarchia. Anche il Re, nell’Ottocento, incontrava le forze politiche per
creare le condizioni affinché l’esecutivo avesse l’assenso delle Camere attraverso un voto che anche allora si
chiamava “fiducia”, esattamente come oggi. Insomma le “consultazioni” sono una
prassi che è nata con lo stesso sorgere dello stato italiano, anzi tale uso era
conosciuto anche nel Regno di Sardegna. È giusto sottolineare allora che “le
consultazioni” pur non essendo inserite nella Costituzione Italiana sono un
preziosissimo strumento per aiutare il presidente della repubblica a trovare la
giusta soluzione alle delicatissime crisi politiche.
Una curiosità! Fino al 1963 la legislatura del senato durava
sette anni, mentre quella della Camera cinque. Fino a quella data era costume
del presidente della Repubblica sciogliere anticipatamente il senato, affinché
le due Camere potessero essere rinnovate contemporaneamente. Una scelta dovuta
al bisogno che vi fosse un rapporto di forze politiche omogeneo sia nella
Camera che nel Senato. Una scelta che comunque creava, giustificate, polemiche.
Lo scioglimento anticipato del Senato era un evidente modo per non sottostare
alla volontà dei Costituenti, che avevano scelto che i due rami del parlamento
avessero durata diversa. Per ovviare a questa discrepanza una legge costituzionale
nel 1963 ha ridotto la legislatura del senato da sette a cinque anni,
equiparandola a quella della Camera.
L’ultimo comma dell’articolo 88 sancisce che il presidente
della Repubblica non può sciogliere anticipatamente le camere nel cosiddetto
semestre bianco, gli ultimi sei mesi del suo mandato. Fino alla riforma
costituzionale del 4 novembre del 1991 non era prevista alcuna deroga a tale
divieto. La riforma ha introdotto un’eccezione necessaria. In caso che gli
ultimi sei mesi di presidenza coincidano con gli ultimi mesi di legislatura, il
presidente può e deve sciogliere le Camere. È una previsione costituzionale
volta ad evitare che il parlamento, scaduto il suo mandato naturale di cinque
anni, non possa rinnovarsi a causa del fine mandato presidenziale. l’istituto
del “semestre bianco” è stato pensato dai costituenti per evitare che vi possa
essere un ricatto presidenziale. Il primo cittadino dello stato potrebbe
sciogliere le Camere per “mandare a casa” un’assemblea a lui ostile, e far
eleggere un’assemblea disposta a confermare il suo posto al Quirinale.
Ovviamente è difficile che avvenga una cosa del genere. La dottrina è concorde
invece nel leggere il “semestre bianco” come la manifestazione di un depotenziamento
dei poteri presidenziali. Il primo cittadino uscente non sarebbe legittimato a
compiere un atto così delicato quale lo scioglimento anticipato delle camere.
In prossimità di elezioni presidenziali è meglio aspettare il nuovo capo dello
stato, legittimato dal consenso del parlamento che lo ha appena votato in
seduta comune. Una curiosità. Il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, primo caso nella storia della Repubblica, si è trovato nel 2012 ad
assumere la duplice veste di presidente uscente e presidente subentrante, in
quanto è stato rieletto al Quirinale. In questo caso, secondo la dottrina,
avrebbe riacquistato il potere di sciogliere le camere appena proclamato
nuovamente Presidente, ancor prima di giurare, in quanto il giuramento di
fedeltà fatto sette anni prima sarebbe stato ancora valido e quindi il nuovo
giuramento non sarebbe servito ad attribuirgli le funzioni presidenziali già
acquisite. In realtà Giorgio Napolitano ha preferito giurare nuovamente, non
cambiando in nulla le procedure di nomina e di accettazione della Carica.
Inoltre le Camere, al momento della sua rielezione, non dovevano essere
sciolte, quindi non c’era ragione di novare la prassi consolidata.
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