martedì 3 aprile 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 88



ARTICOLO 88

“Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.

Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.


Uno dei poteri più rilevanti del Presidente della Repubblica è quello sancito dall’articolo 88 della Costituzione Italiana. Con questa norma fondamentale si attribuisce al primo cittadino dello stato il potere di sciogliere le Camere dei rappresentanti. È una facoltà che offre la possibilità al Presidente di ingerire nelle attività del potere legislativo. L’Italia è una Repubblica Parlamentare. Nella Camera dei deputati e nel senato risiede la sovranità popolare. Questo potere presidenziale, quindi, può apparire un’eccezione al principio di sovranità popolare sancito dall’articolo uno della nostra stessa Costituzione. Un organo monocratico, per di più non eletto direttamente dai cittadini, può decidere delle sorti delle assemblee legislative. Alla luce di questo appare evidente che il presidente della repubblica debba utilizzare questa sua prerogativa con estrema prudenza. Sia chiaro il Presidente deve sciogliere i rami del parlamento quando si è giunti alla naturale conclusione della legislatura, dopo cinque anni di vita istituzionale, in forza dell’articolo 61 della Costituzione, le Camere devono rinnovarsi davanti all’elettorato. In questo caso il presidente della repubblica deve sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Ma il potere si scioglimento delle assemblee va oltre a un atto burocratico da svolgere alla scadenza del mandato parlamentare. Il Presidente può sciogliere le camere, o una sola di esse, prima della naturale conclusione della legislatura. Può farlo quando costata che ci sia uno stallo politico istituzionale tale che la stessa Repubblica non è in grado di funzionare. Normalmente il Presidente della Repubblica sceglie di sciogliere le camere, sentiti i loro presidenti, quando costata l’impossibilità di formare una maggioranza politica che appoggi l’esecutivo o quando costata che la maggioranza parlamentare che appoggia il governo in carica è venuta meno. Insomma lo scioglimento anticipato delle Camere avviene quando si viene a rompere il sodalizio fra forze politiche che ha dato la possibilità di dare la fiducia parlamentare al governo e non vi è nessuna possibilità di formarne un altro. L’atto di scioglimento delle Camere è  formalmente e sostanzialmente presidenziale. Il Governo non deve influire sulle decisioni del Presidente. Anche perché l’esecutivo è una delle parti in causa. Spesso le crisi parlamentari sono causate dalla volontà di censurare il suo comportamento. Alla luce di questo, sapendo che l’esecutivo in questi frangenti ha perso la fiducia parlamentare, apparirebbe  bizzarro che contribuisse alla decisione di sciogliere le assemblee parlamentari. Il Presidente della Repubblica è solo in questa delicatissima incombenza. Lo scioglimento anticipato deve essere giustificato da ragioni obbiettive. Deve tendere a ristabilire il corretto funzionamento del meccanismo costituzionale. Lo scioglimento delle Camere potrebbe essere necessario anche in caso di lampante frattura fra il corpo elettorale e le forze politiche presenti in parlamento. Il Presidente della Repubblica potrebbe essere indotto a sciogliere le Camere a causa di pressanti e imponenti manifestazioni popolari contro la classe politica. Queste sarebbero la manifestazione di malcontento verso una classe politica incapace o non propensa a fare gli interessi generali. In questo caso le elezioni potrebbero essere una soluzione volta ad evitare sollevamenti popolari che potrebbero far scorgere moti rivoluzionari. Ovviamente siamo a tesi di scuola. Ci auguriamo che le fratture istituzionali non scadano mai in situazioni così estreme.

 Il presidente della repubblica deve sentire i presidenti delle camere prima di scioglierne. È l’unico precetto che l’articolo 88 impone al primo cittadino dello stato, prima di mandare gli italiani alle urne. Nella sua scarna affermazione, però, la dottrina e la prassi costituzionale ha riscontrato un rigido ammonimento verso il Presidente della Repubblica. Il suo arbitrio non deve essere assoluto, anzi, obbiettivo dell’operare del primo cittadino dello stato deve essere quello di evitare “la morte” prematura della legislatura. Il suo dialogo con le massime cariche parlamentari deve essere volto alla ricerca di un compromesso politico fra le forze politiche volte a recuperare un comune sentire che faccia scaturire una nuova maggioranza politico parlamentare. Se c’è la possibilità di formare un nuovo governo, bisogna che il presidente la sfrutti. Ad onor del vero la prassi e le convenzioni costituzionali hanno introdotto l’ufficio delle consultazioni. Il Presidente della Repubblica, oltre ad ascoltare i presidenti delle Camere in caso di crisi, incontra anche le delegazioni dei partiti presenti in parlamento. Questa prassi esiste fin da quando l’Italia era una monarchia. Anche il Re, nell’Ottocento, incontrava le forze politiche per creare le condizioni affinché l’esecutivo avesse l’assenso delle Camere  attraverso un voto che anche allora si chiamava “fiducia”, esattamente come oggi. Insomma le “consultazioni” sono una prassi che è nata con lo stesso sorgere dello stato italiano, anzi tale uso era conosciuto anche nel Regno di Sardegna. È giusto sottolineare allora che “le consultazioni” pur non essendo inserite nella Costituzione Italiana sono un preziosissimo strumento per aiutare il presidente della repubblica a trovare la giusta soluzione alle delicatissime crisi politiche.
 
Una curiosità! Fino al 1963 la legislatura del senato durava sette anni, mentre quella della Camera cinque. Fino a quella data era costume del presidente della Repubblica sciogliere anticipatamente il senato, affinché le due Camere potessero essere rinnovate contemporaneamente. Una scelta dovuta al bisogno che vi fosse un rapporto di forze politiche omogeneo sia nella Camera che nel Senato. Una scelta che comunque creava, giustificate, polemiche. Lo scioglimento anticipato del Senato era un evidente modo per non sottostare alla volontà dei Costituenti, che avevano scelto che i due rami del parlamento avessero durata diversa. Per ovviare a questa discrepanza una legge costituzionale nel 1963 ha ridotto la legislatura del senato da sette a cinque anni, equiparandola a quella della Camera.

L’ultimo comma dell’articolo 88 sancisce che il presidente della Repubblica non può sciogliere anticipatamente le camere nel cosiddetto semestre bianco, gli ultimi sei mesi del suo mandato. Fino alla riforma costituzionale del 4 novembre del 1991 non era prevista alcuna deroga a tale divieto. La riforma ha introdotto un’eccezione necessaria. In caso che gli ultimi sei mesi di presidenza coincidano con gli ultimi mesi di legislatura, il presidente può e deve sciogliere le Camere. È una previsione costituzionale volta ad evitare che il parlamento, scaduto il suo mandato naturale di cinque anni, non possa rinnovarsi a causa del fine mandato presidenziale. l’istituto del “semestre bianco” è stato pensato dai costituenti per evitare che vi possa essere un ricatto presidenziale. Il primo cittadino dello stato potrebbe sciogliere le Camere per “mandare a casa” un’assemblea a lui ostile, e far eleggere un’assemblea disposta a confermare il suo posto al Quirinale. Ovviamente è difficile che avvenga una cosa del genere. La dottrina è concorde invece nel leggere il “semestre bianco” come la manifestazione di un depotenziamento dei poteri presidenziali. Il primo cittadino uscente non sarebbe legittimato a compiere un atto così delicato quale lo scioglimento anticipato delle camere. In prossimità di elezioni presidenziali è meglio aspettare il nuovo capo dello stato, legittimato dal consenso del parlamento che lo ha appena votato in seduta comune. Una curiosità. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, primo caso nella storia della Repubblica, si è trovato nel 2012 ad assumere la duplice veste di presidente uscente e presidente subentrante, in quanto è stato rieletto al Quirinale. In questo caso, secondo la dottrina, avrebbe riacquistato il potere di sciogliere le camere appena proclamato nuovamente Presidente, ancor prima di giurare, in quanto il giuramento di fedeltà fatto sette anni prima sarebbe stato ancora valido e quindi il nuovo giuramento non sarebbe servito ad attribuirgli le funzioni presidenziali già acquisite. In realtà Giorgio Napolitano ha preferito giurare nuovamente, non cambiando in nulla le procedure di nomina e di accettazione della Carica. Inoltre le Camere, al momento della sua rielezione, non dovevano essere sciolte, quindi non c’era ragione di novare la prassi consolidata.       

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