domenica 8 aprile 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 94




ARTICOLO 94

“Il governo deve avere la fiducia delle due Camere.

Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

Il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Il governo, dopo aver prestato giuramento davanti al presidente della repubblica, deve entro dieci giorni presentarsi alle camere per chiedere la fiducia. Si denomina fiducia il voto delle Camere che dichiara l’assenso verso la formazione del nuovo esecutivo. Tale procedura rende il nostro ordinamento “parlamentare”. Intendendo con tale termine l’attribuzione alle assemblee legislative, camera e senato, del potere di indirizzo e coordinamento politico di tutte le istituzioni dello stato. È il parlamento il motore dello stato, è dal parlamento che il governo acquista la legittimità. Il voto di fiducia deve essere compiuto sia dalla Camera che dal Senato, se una delle due assemblee la nega il governo deve immediatamente dimettersi. Ricordiamo succintamente che il Governo entra in carica al momento del giuramento che i suoi componenti professano davanti al presidente della Repubblica, ma entro dieci giorni dalla nascita dell’esecutivo devono presentarsi alle camere per ottenere il voto di fiducia, se non la ottengono tassativamente si devono dimettere.

Il voto di fiducia deve compiersi per appello nominale. Ogni Parlamentare deve esprimere pubblicamente la sua scelta di votare pro o contro il governo nascente. Non è ammesso il voto segreto il tale frangente. Il senatore e il deputato deve rendere conto della sua scelta al paese, agli elettori e al partito politico o movimento di cui fa parte. Il voto di fiducia si deve basare su una mozione. Su un atto documentale, letto in aula, in cui il parlamentare, a nome personale o a nome di un gruppo politico, espone le ragioni politiche, sociali e al limite anche morali che lo spingono a votare a favore o contro la nascita del governo. Insomma mentre il voto deve essere compiuto da tutti i parlamentari, la mozione può essere letta da una sola persona a nome di un gruppo politico, solitamente ogni gruppo parlamentare, espressione istituzionale dei partiti, esprime un’unica mozione a nome di tutti i suoi componenti.. Vi possono essere mozioni lette a nome personale, frutto della scelta del parlamentare di avere una linea politica diversa dal gruppo d’appartenenza. Vi possono essere mozioni di gruppi parlamentari che non sono espressione di partiti politici, ma che sono nati per la convergenza ideale di alcuni deputati e senatori.

In caso di voto contrario è obbligatorio per il governo presentare le dimissioni. Il governo si deve dimettere anche in caso di “sfiducia”. La sfiducia è un voto che chiede, o meglio, impone le dimissioni di un esecutivo in carica. Dopo che il governo ha ottenuto la fiducia, può essere sfiduciato. Il parlamento può cambiare idea, cioè mettere in minoranza l’esecutivo. Ciò  avviene per il mutare delle alleanze parlamentari. Può avvenire perché il governo ha tradito la fiducia parlamentare, non perseguendo e raggiungendo gli obbiettivi prefissati. Può avvenire in caso di gravi eventi sociali, naturali e politici in cui si costata l’incapacità dell’esecutivo in carica di gestire la situazione. La mozione di sfiducia deve essere un documento firmato da almeno un decimo dei componenti della Camera o del Senato. Come afferma l’ultimo comma dell’articolo 94. Non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Questo è per evitare i cosiddetti “agguati”, cioè votazioni improvvise che approfittano di eventuali assenze per ottenere un esito favorevole. Bisogna dare il tempo a tutti i parlamentari di poter raggiungere il parlamento ed esprimere il loro voto.

Occorre ricordare che non tutti i voti contrari al governo da parte del parlamento necessitano le dimissioni dell’esecutivo. Solo la mancata fiducia o la sfiducia impone di rimettere il mandato. Per tutti gli atti di proposta legislativa o di decretazione non si prevede la caduta del governo in caso di voto negativo del parlamento. Se una proposta del governo non è approvata, questi non si deve dimettere. Certo è d’uopo ricordare che alcune proposte governative sono di rilevanza fondamentale da parte del governo, tanto che questi mette la cosiddetta “questione di fiducia”, cioè ricorda alla maggioranza che lo sostiene che quest’atto è fondamentale per il perseguimento degli obbietti politici preposti. Anche in questo caso l’esecutivo non è tenuto a dimettersi se la sua proposta viene bocciata. Va da sé, però, che il Presidente del Consiglio davanti a una così cocente bocciatura dovrebbe trarre la conclusione che meglio è presentarsi al capo dello stato con le dimissioni in mano. Insomma se vengono bocciati decreti legge o disegni di legge il governo può rimanere in carica, anche se dovrebbe fare i conti con una maggioranza parlamentare poco propensa a condividere con lui una comune linea politica.

Con la “scesa in campo” di Silvio Berlusconi, che nel 1994 fondò Forza Italia, si è messo in discussione il rapporto fiduciario fra esecutivo e parlamento. Quando cadde il primo governo Berlusconi, siamo nel 1995, Forza Italia parlò di golpe, perché il parlamento, sfiduciando l’esecutivo, non aveva rispettato la volontà popolare che voleva Silvio Berlusconi come capo della nazione. Le sue parole di sfregio verso le assemblee legislative ricordavano molto le parole di un altro esponente della destra italiana, Benito Mussolini, che aveva definito, negli anni ’20 del secolo scorso, il parlamento come “bivacco delle mie legioni”. Insomma quello che lega i due statisti italiani di epoche storiche diversissime è il comune ribrezzo verso le assemblee politiche. Chi comanda deve essere uno e lo deve fare perché ha il consenso del popolo. Insomma è l’ideologia cosiddetta populista, cioè che si basa sul presupposto che il capo del governo ha il consenso popolare senza l’intermediazione delle istituzioni di rappresentanza. È d’obbligo dire che Silvio Berlusconi non è riuscito a cambiare concretamente la struttura istituzionale del paese. I suoi lamenti non hanno prodotto un cambiamento statuale. Rimane comunque il fatto che Lega e Forza Italia e per certi versi il Movimento Cinque Stelle sono attualmente le forze politiche più forti del paese. Tutte e tre, anche se con sfumature diverse, negano il potere del Parlamento di essere il centro della vita democratica del paese. Occorre dire che però partono da ottiche diversissime. Mentre per Forza Italia e Lega è il capo a governare, che sia Matteo Salvini, segretario leghista, o Silvio Berlusconi. Per il Movimento Cinque Stelle deve prevalere una forma di democrazia diretta che coinvolge ogni cittadino alla guida della nazione. Rimane il fatto che tutte e tre le forze politiche hanno il non velato intento di depotenziare il Parlamento. Il populismo, il rapporto diretto fra il capo e l’intera nazione, prevarrà? Staremo a vedere. Noi vorremmo che la saggezza dei costituenti che hanno saputo creare uno stato repubblicano in cui si miscela con accortezza democrazia rappresentativa (Parlamento, comuni governo etc.) con la democrazia diretta (referendum, petizioni etc) fosse presa come esempio, ben sapendo, purtroppo, che i partiti difensori della Democrazia Rappresentativa (ad esempio il Partito democratico) hanno lasciato molto a desiderare, per usare un eufemismo, nelle loro politiche.

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