ARTICOLO 94
“Il governo deve
avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera
accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello
nominale.
Entro dieci giorni
dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la
fiducia.
Il voto contrario di
una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di
dimissioni.
La mozione di
sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e
non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il governo, dopo aver prestato giuramento davanti al
presidente della repubblica, deve entro dieci giorni presentarsi alle camere
per chiedere la fiducia. Si denomina fiducia il voto delle Camere che dichiara
l’assenso verso la formazione del nuovo esecutivo. Tale procedura rende il
nostro ordinamento “parlamentare”. Intendendo con tale termine l’attribuzione
alle assemblee legislative, camera e senato, del potere di indirizzo e
coordinamento politico di tutte le istituzioni dello stato. È il parlamento il
motore dello stato, è dal parlamento che il governo acquista la legittimità. Il
voto di fiducia deve essere compiuto sia dalla Camera che dal Senato, se una
delle due assemblee la nega il governo deve immediatamente dimettersi.
Ricordiamo succintamente che il Governo entra in carica al momento del
giuramento che i suoi componenti professano davanti al presidente della
Repubblica, ma entro dieci giorni dalla nascita dell’esecutivo devono
presentarsi alle camere per ottenere il voto di fiducia, se non la ottengono
tassativamente si devono dimettere.
Il voto di fiducia deve compiersi per appello nominale. Ogni
Parlamentare deve esprimere pubblicamente la sua scelta di votare pro o contro
il governo nascente. Non è ammesso il voto segreto il tale frangente. Il senatore
e il deputato deve rendere conto della sua scelta al paese, agli elettori e al
partito politico o movimento di cui fa parte. Il voto di fiducia si deve basare
su una mozione. Su un atto documentale, letto in aula, in cui il parlamentare,
a nome personale o a nome di un gruppo politico, espone le ragioni politiche,
sociali e al limite anche morali che lo spingono a votare a favore o contro la
nascita del governo. Insomma mentre il voto deve essere compiuto da tutti i
parlamentari, la mozione può essere letta da una sola persona a nome di un
gruppo politico, solitamente ogni gruppo parlamentare, espressione istituzionale
dei partiti, esprime un’unica mozione a nome di tutti i suoi componenti.. Vi
possono essere mozioni lette a nome personale, frutto della scelta del
parlamentare di avere una linea politica diversa dal gruppo d’appartenenza. Vi
possono essere mozioni di gruppi parlamentari che non sono espressione di
partiti politici, ma che sono nati per la convergenza ideale di alcuni deputati
e senatori.
In caso di voto contrario è obbligatorio per il governo
presentare le dimissioni. Il governo si deve dimettere anche in caso di “sfiducia”.
La sfiducia è un voto che chiede, o meglio, impone le dimissioni di un
esecutivo in carica. Dopo che il governo ha ottenuto la fiducia, può essere
sfiduciato. Il parlamento può cambiare idea, cioè mettere in minoranza l’esecutivo.
Ciò avviene per il mutare delle alleanze
parlamentari. Può avvenire perché il governo ha tradito la fiducia
parlamentare, non perseguendo e raggiungendo gli obbiettivi prefissati. Può
avvenire in caso di gravi eventi sociali, naturali e politici in cui si costata
l’incapacità dell’esecutivo in carica di gestire la situazione. La mozione di
sfiducia deve essere un documento firmato da almeno un decimo dei componenti
della Camera o del Senato. Come afferma l’ultimo comma dell’articolo 94. Non
può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
Questo è per evitare i cosiddetti “agguati”, cioè votazioni improvvise che
approfittano di eventuali assenze per ottenere un esito favorevole. Bisogna
dare il tempo a tutti i parlamentari di poter raggiungere il parlamento ed
esprimere il loro voto.
Occorre ricordare che non tutti i voti contrari al governo
da parte del parlamento necessitano le dimissioni dell’esecutivo. Solo la
mancata fiducia o la sfiducia impone di rimettere il mandato. Per tutti gli
atti di proposta legislativa o di decretazione non si prevede la caduta del
governo in caso di voto negativo del parlamento. Se una proposta del governo
non è approvata, questi non si deve dimettere. Certo è d’uopo ricordare che
alcune proposte governative sono di rilevanza fondamentale da parte del
governo, tanto che questi mette la cosiddetta “questione di fiducia”, cioè
ricorda alla maggioranza che lo sostiene che quest’atto è fondamentale per il
perseguimento degli obbietti politici preposti. Anche in questo caso l’esecutivo
non è tenuto a dimettersi se la sua proposta viene bocciata. Va da sé, però,
che il Presidente del Consiglio davanti a una così cocente bocciatura dovrebbe
trarre la conclusione che meglio è presentarsi al capo dello stato con le
dimissioni in mano. Insomma se vengono bocciati decreti legge o disegni di
legge il governo può rimanere in carica, anche se dovrebbe fare i conti con una
maggioranza parlamentare poco propensa a condividere con lui una comune linea
politica.
Con la “scesa in campo” di Silvio Berlusconi, che nel 1994
fondò Forza Italia, si è messo in discussione il rapporto fiduciario fra
esecutivo e parlamento. Quando cadde il primo governo Berlusconi, siamo nel
1995, Forza Italia parlò di golpe, perché il parlamento, sfiduciando l’esecutivo,
non aveva rispettato la volontà popolare che voleva Silvio Berlusconi come capo
della nazione. Le sue parole di sfregio verso le assemblee legislative
ricordavano molto le parole di un altro esponente della destra italiana, Benito
Mussolini, che aveva definito, negli anni ’20 del secolo scorso, il parlamento
come “bivacco delle mie legioni”. Insomma quello che lega i due statisti
italiani di epoche storiche diversissime è il comune ribrezzo verso le
assemblee politiche. Chi comanda deve essere uno e lo deve fare perché ha il
consenso del popolo. Insomma è l’ideologia cosiddetta populista, cioè che si
basa sul presupposto che il capo del governo ha il consenso popolare senza l’intermediazione
delle istituzioni di rappresentanza. È d’obbligo dire che Silvio Berlusconi non
è riuscito a cambiare concretamente la struttura istituzionale del paese. I
suoi lamenti non hanno prodotto un cambiamento statuale. Rimane comunque il
fatto che Lega e Forza Italia e per certi versi il Movimento Cinque Stelle sono
attualmente le forze politiche più forti del paese. Tutte e tre, anche se con sfumature
diverse, negano il potere del Parlamento di essere il centro della vita
democratica del paese. Occorre dire che però partono da ottiche diversissime.
Mentre per Forza Italia e Lega è il capo a governare, che sia Matteo Salvini,
segretario leghista, o Silvio Berlusconi. Per il Movimento Cinque Stelle deve
prevalere una forma di democrazia diretta che coinvolge ogni cittadino alla
guida della nazione. Rimane il fatto che tutte e tre le forze politiche hanno
il non velato intento di depotenziare il Parlamento. Il populismo, il rapporto
diretto fra il capo e l’intera nazione, prevarrà? Staremo a vedere. Noi
vorremmo che la saggezza dei costituenti che hanno saputo creare uno stato
repubblicano in cui si miscela con accortezza democrazia rappresentativa
(Parlamento, comuni governo etc.) con la democrazia diretta (referendum,
petizioni etc) fosse presa come esempio, ben sapendo, purtroppo, che i partiti
difensori della Democrazia Rappresentativa (ad esempio il Partito democratico)
hanno lasciato molto a desiderare, per usare un eufemismo, nelle loro
politiche.
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