lunedì 23 aprile 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 107



ARTICOLO 107
“I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
Il ministro della giustizia ha la facoltà di promuovere l’azione disciplinare.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.
Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme dell’ordinamento giudiziario”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 107 della Costituzione pone dei principi basilari per garantire l’indipendenza dei magistrati da altri poteri dello stato e li pone fuori da ogni logica gerarchica, non sottoponendoli ad alcuna autorità superiore se non la legge dello stato. Per garantirgli l’indipendenza la nostra carta fondamentale afferma che sono inamovibili. L’esecutivo non può trasferirli o defenestrarli per intralciare il loro lavoro. È il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della magistratura, a decidere se sospenderli o dispensarli dal servizio oppure trasferirli ad altre sedi. Ma anche il CSM non può e non deve compiere tali atti arbitrariamente. Tali azioni devono essere motivate da gravi motivi di incompatibilità ambientale e da motivi di opportunità volta alla salvaguardia dell’onore dell’ufficio giudiziario. L’ordinamento giudiziario, il corpus di leggi che regolamenta il ruolo e le attività dei giudici, deve essere la stella polare su cui orientarsi per motivare eventuali atti contro un singolo giudice. Non vi è la possibilità di compiere arbitri. Non si è nel campo dell’attività amministrativa, in cui l’autorità gerarchica può giustificare un atto d’imperio del superiore rispetto al subordinato. In magistratura vige il principio dell’uguaglianza, tutti i magistrati hanno la stessa autorità, si possono distinguere fra loro solo per diversità di funzioni, come afferma il terzo comma dell’articolo 107. Alla luce di questo è il CSM che stabilisce come procedere in eventuali casi di indubbia necessità di trasferimento. A far richiesta di intervento del Consiglio è il Ministro della Giustizia. Tale organo dell’esecutivo non ha il potere di agire con azioni disciplinari, ha la possibilità di promuovere l’azione, cioè di chiedere che il magistrato sia punito, ma sarà il csm a valutare se farlo e come farlo. È d’obbligo sottolineare che il Consiglio Superiore della Magistratura può trasferire o dare altro compito a un magistrato con il suo consenso o su sua richiesta. In questo caso non sono necessarie le garanzie di difesa concesse al giudice. Ovviamente tali atti non sono da considerarsi censori del suo operato o punitivi. In tali situazioni l’ordinamento giudiziario è meno rigido nelle modalità di esecuzione del provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura. In casi, invece, di trasferimento forzato è bene che il magistrato esponga in maniera chiara le sue ragioni e ci sia un vero e proprio contradditorio in sala di consiglio al fine di garantire chiarezza e trasparenza in un provvedimento che è nei fatti censorio verso l’operato del giudice. I magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni, per il loro agire in uffici diversi all’interno del palazzo giudiziario. Chi svolge l’attività all’interno del tribunale dei minori ha la stessa autorità e ruolo di chi opera nell’ambito del processo civile, penale etc. Particolare attenzione è posto sul ruolo del Pubblico Ministero. Non certo perché tale figura sia diversa giuridicamente e professionalmente dagli altri magistrati. Il Pubblico Ministero è un magistrato al pari di tutti gli altri. È la sua funzione ad essere particolare. Il suo compito è quello di preparare le basi per un processo penale. Il suo compito è appurare i fatti che sono da ritenersi scaturenti di un reato. Il suo compito è quello di mettere insieme le prove, gli elementi materiali che raccontano come si sia svolta un’azione che potrebbe essere censurabile dal punto di vista penale, e presentarle al giudice che presiede il dibattimento. È d’obbligo precisare che per il nostro ordinamento il pubblico ministero non è propriamente da considerarsi “parte” di un processo. Non si può certo dire che agisca contro l’imputato. Come qualsiasi giudice ha la funzione di appurare la verità, non è il “nemico” dell’accusato. Svolge un’azione di indagine con il supporto delle forze dell’ordine. Il suo ruolo è quello di presentare fatti e circostanze davanti al giudice giudicante, quest’ultimo è chiamato poi a pronunciare sentenza. Questa visione del Pubblico Ministero come superpartes aveva indotto i costituenti a non ritenere necessario che fosse chiara e lampante la parità di forze fra il giudice delle indagini e il reo. Il Pubblico Ministero aveva prerogative e strumenti di indagine che lo mettevano in una situazione di privilegio rispetto agli avvocati della difesa. L’introduzione in Costituzione del principio del principio del “giusto Processo” attraverso il novellare dell’articolo 111, ha cambiato le cose. Oggi la difesa ha più poteri di contro indagine, ha un ruolo di parità con i P.M. in caso di interrogatorio dei testi. L’ordinamento italiano ha preso spunto da quello anglosassone per riformarsi. Ma negli Stati Uniti il funzionamento della giustizia è diverso. Il procuratore non è organo neutrale, è un funzionario del governatore dello stato federato. Forse era giusto tener conto di questo, prima di introdurre nel nostro ordinamento il concetto di parità assoluta fra accusa e difesa. Questo ovviamente non vuol dire che il Magistrato dovrebbe prevaricare sull’imputato. È bene che chi è oggetto di indagine ed è sotto processo abbia tutte le tutele giuridiche necessarie e sia considerato innocente fino a sentenza definitiva, come afferma solennemente l’articolo 27 della Costituzione. È bene che sia ascoltato e abbia un avvocato che lo assisti. L’articolo 24 della nostra carta fondamentale ricorda che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento giudiziario. È bene che la sua libertà personale sia tutelata. Lo afferma l’artico 13 della Legge delle Leggi. Quello che ci lascia perplessi è il considerare il Pubblico Ministero il nemico dell’imputato e non un umile servitore della verità giudiziaria, quale i costituenti nel 1948 l’hanno voluto.
Scritto da Gianfranco Pellecchia

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