VI. DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
“Entro cinque anni
dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli
organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni
del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari.
Entro un anno dalla
stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale superiore
militare in relazione all’articolo 111.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Le disposizioni transitorie e finale, scritte all’epilogo
della Carta Costituzionale, avevano il compito di disciplinare il passaggio dal
regime monarchico a quello repubblicano. Ambito delicatissimo era la
giurisdizione. Gli organi giurisdizionali sono lo strumento di applicazione
della legge. Attraverso di essi lo stato manifesta la sua potestà. Le leggi
diventano effettive quando c’è un giudice che richiama chi non le rispetta. L’articolo
102 della nostra Legge Fondamentale è chiarissimo. Esso dice: “La funzione
giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle
norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici
straordinari o speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi
giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la
partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”. Alla luce di questo articolo è obbligo dello
stato smantellare tutti quei tribunali speciali sorti durante il fascismo. Tribunali
politici nati per controllare il pensiero delle persone, più che fermare il
crimine. In realtà molti tribunali speciali sono rimasti ancora vigenti nel
nostro ordinamento. Anzi se ne sono aggiunti altri, pensiamo al Tribunale
Amministrativo Regionale, perno della giustizia amministrativa repubblicana. Insomma
i tribunali speciali esistono, rimangono lo strumento per gestire delicate
materie. Faccio l’esempio del “tribunale delle acquee” che ha il delicatissimo
compito di regolamentare e di censurare l’utilizzo sbagliato di un bene preziosissimo
quali le nostre risorse idriche. Tali tribunali speciali restano anche nella
nostra repubblica. Quello che cambia rispetto al regime monarchico è che anch’essi,
come i tribunali ordinari, devono essere “terzi”, cioè al momento in cui
esercitalo la funzione giudiziale devono essere indipendenti dal potere
esecutivo. Ecco perché, ad esempio, anche i tribunali amministrativi hanno un
organo di autogoverno, che svolge le stesse funzioni che il Consiglio Superiore
della Magistratura esercita per i giudici ordinari. È l’organo di autogoverno
amministrativo che decreta i trasferimenti dei magistrati, su loro richiesta o
per motivi di gravi incompatibilità ambientale. Insomma la magistratura
speciale è ordinamentata sullo stesso modello della magistratura ordinaria. Non
vi può essere ingerenza della politica. Il Consiglio di Stato, ad esempio, è la
massima assise del tribunale amministrativo. Ha la doppia funzione di servire l’esecutivo,
offrendogli suggerimenti e ammonimenti su come governare la macchina statale,
ma allo stesso tempo ha il delicatissimo compito di essere massimo giudice e ultimo
appello nelle vertenze giudiziarie che
vertono di questioni amministrative. Il suo duplice ruolo impone che sia
conforme al principio di imparzialità e di autonomia da ogni fonte di influenza
politica. Insomma tutti i tribunali speciali che ancora vigono nel nostro
paese, compresa la corte dei conti, che si occupa di censurare un illecito o
inadeguato utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche, devono essere
indipendenti da ogni altro potere dello stato. Devono essere assolutamente
scevri da ogni tipo di influenza parlamentare. Bisogna che sia debellata la
prassi monarchica di un potere giudiziario prono al potere del re, o meglio del
presidente del consiglio. L’articolo VI delle disposizioni transitorie impone
un tempo di cinque anni dal 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione,
per riformare radicalmente l’ordinamento giudiziario. Questa operazione di
altra politica dello stato è stata compiuta, anche se con grosse difficoltà.
Pian piano sono stati rimossi gli uffici di collegamento fra politica e
magistratura, non solo grazie all’intervento del legislatore, ma anche grazie
alle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale che hanno
smantellato molti orpelli giuridici incompatibili con la costituzione, rendendole
inapplicabili (la corte di cassazione) è incostituzionali, quindi espellendole
dall’ordinamento( la Corte Costituzionale).
Il secondo comma di questa disposizione transitoria si
occupa dei tribunali militari. Impone che ci sia una radicale riforma dell’ordinamento
giudiziario militare al fine di garantire che si rispetti l’articolo 111 della
costituzione che impone che anche nei tribunali militari siano garantiti i
diritti dell’imputato. Questo vuol dire che devono essere garantiti i diritti
di difesa, il diritto alla terzietà del giudice chiamato a giudicare, rispetto
alla accusa. Il tribunale militare deve ricalcare i principi di giustizia
propri di quello civile. Anche sotto le armi i valori della Costituzione e i
principi di libertà devono valere. Una serie di riforme negli anni hanno
compiuto questo passo di avvicinamento del tribunale militare a quello
ordinario. Un gesto importantissimo, sia simbolicamente sia per i suoi risvolti
pratici, è la cancellazione della pena di morte anche come pena in caso di
guerra. Originariamente prevista e definitivamente cancellata con norma
costituzionale. Insomma tutti i tribunali, anche quello militare, devono essere
orientati alla difesa della dignità della persona. Devono essere improntati al
rispetto dei valori fondanti che la Costituzione Italiana fa propri. Nessun
cittadino, nessuna persona, può essere oggetto di soprusi in un sistema
giudiziale e penale oppressivo. Alla luce di questo bisogna tenere in gran
conto lo sforzo di garantire i diritti della persona anche all’interno delle
carceri. Il condannato, il recluso, è un essere umano, anche se sta scontando
una pena. Bisogna ricordare che la colpa deve essere espiata, ma non può essere
celata l’umanità che caratterizza ogni persona, anche quella chiamata ad
espiare un torto contro l’intera società.