giovedì 31 maggio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: VI DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE



VI. DISPOSIZIONE TRANSITORIA E FINALE

“Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari.

Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale superiore militare in relazione all’articolo 111.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Le disposizioni transitorie e finale, scritte all’epilogo della Carta Costituzionale, avevano il compito di disciplinare il passaggio dal regime monarchico a quello repubblicano. Ambito delicatissimo era la giurisdizione. Gli organi giurisdizionali sono lo strumento di applicazione della legge. Attraverso di essi lo stato manifesta la sua potestà. Le leggi diventano effettive quando c’è un giudice che richiama chi non le rispetta. L’articolo 102 della nostra Legge Fondamentale è chiarissimo. Esso dice: “La funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”.  Alla luce di questo articolo è obbligo dello stato smantellare tutti quei tribunali speciali sorti durante il fascismo. Tribunali politici nati per controllare il pensiero delle persone, più che fermare il crimine. In realtà molti tribunali speciali sono rimasti ancora vigenti nel nostro ordinamento. Anzi se ne sono aggiunti altri, pensiamo al Tribunale Amministrativo Regionale, perno della giustizia amministrativa repubblicana. Insomma i tribunali speciali esistono, rimangono lo strumento per gestire delicate materie. Faccio l’esempio del “tribunale delle acquee” che ha il delicatissimo compito di regolamentare e di censurare l’utilizzo sbagliato di un bene preziosissimo quali le nostre risorse idriche. Tali tribunali speciali restano anche nella nostra repubblica. Quello che cambia rispetto al regime monarchico è che anch’essi, come i tribunali ordinari, devono essere “terzi”, cioè al momento in cui esercitalo la funzione giudiziale devono essere indipendenti dal potere esecutivo. Ecco perché, ad esempio, anche i tribunali amministrativi hanno un organo di autogoverno, che svolge le stesse funzioni che il Consiglio Superiore della Magistratura esercita per i giudici ordinari. È l’organo di autogoverno amministrativo che decreta i trasferimenti dei magistrati, su loro richiesta o per motivi di gravi incompatibilità ambientale. Insomma la magistratura speciale è ordinamentata sullo stesso modello della magistratura ordinaria. Non vi può essere ingerenza della politica. Il Consiglio di Stato, ad esempio, è la massima assise del tribunale amministrativo. Ha la doppia funzione di servire l’esecutivo, offrendogli suggerimenti e ammonimenti su come governare la macchina statale, ma allo stesso tempo ha il delicatissimo compito di essere massimo giudice e ultimo appello  nelle vertenze giudiziarie che vertono di questioni amministrative. Il suo duplice ruolo impone che sia conforme al principio di imparzialità e di autonomia da ogni fonte di influenza politica. Insomma tutti i tribunali speciali che ancora vigono nel nostro paese, compresa la corte dei conti, che si occupa di censurare un illecito o inadeguato utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche, devono essere indipendenti da ogni altro potere dello stato. Devono essere assolutamente scevri da ogni tipo di influenza parlamentare. Bisogna che sia debellata la prassi monarchica di un potere giudiziario prono al potere del re, o meglio del presidente del consiglio. L’articolo VI delle disposizioni transitorie impone un tempo di cinque anni dal 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione, per riformare radicalmente l’ordinamento giudiziario. Questa operazione di altra politica dello stato è stata compiuta, anche se con grosse difficoltà. Pian piano sono stati rimossi gli uffici di collegamento fra politica e magistratura, non solo grazie all’intervento del legislatore, ma anche grazie alle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale che hanno smantellato molti orpelli giuridici incompatibili con la costituzione, rendendole inapplicabili (la corte di cassazione) è incostituzionali, quindi espellendole dall’ordinamento( la Corte Costituzionale).
Il secondo comma di questa disposizione transitoria si occupa dei tribunali militari. Impone che ci sia una radicale riforma dell’ordinamento giudiziario militare al fine di garantire che si rispetti l’articolo 111 della costituzione che impone che anche nei tribunali militari siano garantiti i diritti dell’imputato. Questo vuol dire che devono essere garantiti i diritti di difesa, il diritto alla terzietà del giudice chiamato a giudicare, rispetto alla accusa. Il tribunale militare deve ricalcare i principi di giustizia propri di quello civile. Anche sotto le armi i valori della Costituzione e i principi di libertà devono valere. Una serie di riforme negli anni hanno compiuto questo passo di avvicinamento del tribunale militare a quello ordinario. Un gesto importantissimo, sia simbolicamente sia per i suoi risvolti pratici, è la cancellazione della pena di morte anche come pena in caso di guerra. Originariamente prevista e definitivamente cancellata con norma costituzionale. Insomma tutti i tribunali, anche quello militare, devono essere orientati alla difesa della dignità della persona. Devono essere improntati al rispetto dei valori fondanti che la Costituzione Italiana fa propri. Nessun cittadino, nessuna persona, può essere oggetto di soprusi in un sistema giudiziale e penale oppressivo. Alla luce di questo bisogna tenere in gran conto lo sforzo di garantire i diritti della persona anche all’interno delle carceri. Il condannato, il recluso, è un essere umano, anche se sta scontando una pena. Bisogna ricordare che la colpa deve essere espiata, ma non può essere celata l’umanità che caratterizza ogni persona, anche quella chiamata ad espiare un torto contro l’intera società.

Nessun commento:

Posta un commento