sabato 19 maggio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 132


ARTICOLO 132
“Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con «referendum» dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante «Referendum» e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 132 della Costituzione Italiana prevede le modalità di formazione di nuove Regioni e province. La formazione di nuove Regioni deve avvenire con legge costituzionale. Le regioni sono istituzioni costituzionali necessarie e fondanti dello stato. La Repubblica si connota come uno stato fondato sulle autonomie locali, che hanno come massima espressione istituzionale le Regioni. A causa di questo motivo l’elenco delle Regioni del nostro paese è inciso nell’articolo 131 della nostra Carta Fondamentale e tale lista può essere mutata solo attraverso un procedimento di modifica di tale articolo non solo attraverso le modalità prescritte in caso di riforma costituzionale, cioè di cambiamento del contenuto di un qualsiasi articolo inserito in costituzione, ma anche con la partecipazione attiva dei comuni interessati e, soprattutto, della popolazione che andrà a formare il corpo di cittadini componenti il nuovo assetto regionale. Queste forme di partecipazione si esplicitano con l’obbligo da parte del parlamento di consultare i Consigli regionali delle regioni coinvolte, in caso di progetti di fusione di entità regionali già esistenti o di creazione di nuove istituzioni regionali. La nascita di una nuova regione deve partire dalla richiesta dei consigli comunali Sono i comuni che si devono fare latori della nuova entità territoriale. Le città che propongono la formazione della nuova ragione devono rappresentare almeno un terzo della popolazione. Ma non basta! Tale proposta deve essere approvata con referendum dalla maggioranza della popolazione interessata. Insomma la nascita di una nuova regione o l’accorpamento di regioni già esistenti deve vedere il coinvolgimento del parlamento, che è chiamato a istituire la nuova regione con legge costituzionale, dei cittadini che faranno parte di questa nuova entità regionale, con referendum, dei consigli regionali chiamati ad esprimere il loro parere e, soprattutto, dei comuni chiamati a essere i veri promotori e iniziatori della nascita della nuova regione, attraverso la loro richiesta, motivata, al presidente della repubblica e al governo, che trasmetteranno tale istanza alle camere. C’è un solo precedente. Solo una regione è nata attraverso questo procedimento, il Molise che si è staccata dagli Abruzzi in forza della Legge Costituzionale del 27 dicembre del 1963. Urge sottolineare che allora il Molise non aveva una popolazione superiore o uguale al milione di abitanti. Si derogò allo stesso articolo 132 della Costituzione che impone che la nuova regione abbia un numero di residenti almeno pari al milione. Lo si fece in forza dell’articolo XI delle disposizioni transitorie e finali, cioè quel particolare corpo di norme che servivano come prezioso strumento per permettere di gestire la transizione dall’ordinamento monarchico sabaudo al nuovo regime costituzionale repubblicano. I costituenti costatarono che vi erano entità territoriali che, pur essendo relativamente piccole, meritavano di assurgere a soggetti istituzionali regionali. Erano molte tali realtà. Soprattutto ambiti territoriali montani che per le loro caratteristiche morfologiche esigevano che assumessero lo status regionale. In realtà, alla fine, solo il Molise usufruì di tale deroga, assumendo il ruolo di regione. È d’obbligo notare che le regioni del nord Italia hanno in questi ultimi decenni proposto di unificarsi a formare un’unica entità definita “Padania”, facendo riferimento alla grande pianura che è nata dal Po. È una proposta ampiamente discussa, ma che al momento non ha mai prodotto proposte di revisione costituzionale, rimanendo solo un progetto politico. A dire il vero la Lega Nord, per lungo tempo al governo del paese, pur essendo il partito promotore di questa idea, non l’ha mai prodotta neanche in una proposta di legge costituzionale, il primo passo formale per la nascita di una nuova regione. Al momento le Regioni, soprattutto del Nord, ma non solo, sembrano interessate a rafforzare il loro potere amministrativo, ampliando le loro potestà attraverso l’attuazione dell’articolo 116 terzo comma della costituzione che gli dà la possibilità di avere maggiori poteri nella prestazione di servizi sociali , in materia scolastica e d’istruzione e di tutela ambientale. Comunque l’accorpamento regionale, la creazione della regione del Nord Italia (Padania) è ancora sul tavolo del dibattito istituzionale.
Il secondo comma dell’articolo 132 prevede che province e comuni possano essere staccati da una regione e aggregati ad un’altra. Questo cambiamento territoriale non necessita di una legge costituzionale, quindi di una procedura che imponga la doppia lettura della proposta di legge da parte di ambedue le camere, ma basta una legge dello stato. Tale norma, però, deve avere un procedimento che la dottrina definisce aggravato. Cosa vuol dire? Non basta che sia approvato il testo normativo dalle due camere, tale testo deve essere ratificato dalle popolazioni interessate al mutamento territoriale attraverso referendum. Bisogna notare che il procedimento di approvazione di nuove province è simile nella sostanza a quello della formazione delle nuove Regioni. È d’obbligo da parte del parlamento sentire i consigli regionali di cui fanno parte i territori interessati alla nascita della nuova provincia o dell’accorpamento comunale. È d’obbligo sentire la popolazione attraverso referendum. Chi deve far richiesta della nascita di nuove province, dell’accorpamento di paesi ad altra provincia, dell’accorpamento di una parte del territorio regionale ad altra regione, devono essere i comuni interessati, esattamente come nel caso della nascita della nuova regione. Cosa cambia? Che per far nascere una nuova provincia o per staccare una parte del territorio di una regione per aggregarlo ad un altro, non è necessaria una legge costituzionale. Le province, i comuni non sono enti costituzionali fondamentali. Sono enti costituzionali, perché la loro legittimità ad esistere è nella Carta Fondamentale, ma non sono istituti connotanti del nostro ordinamento, come è invece il caso della regione. Per questo motivo la loro fusione o il loro accorpamento non necessità di un mutamento costituzionale, è sufficiente una legge parlamentare perché tale atto si compia. È bene ricordare che le province sono il motore della vita locale. Sia Lega che Movimento Cinque Stelle, i due attuali partiti che sono chiamati a formare il nuovo governo, si sono battuti tenacemente contro la riforma voluta dal Partito Democratico, che intendeva abolirle. Oggi che sono chiamati al governo devono mantenere le promesse fatte ai loro elettori, prima di tutto riportando la democrazia nelle province, riportando l’elezione diretta dei consigli provinciali, abrogata dai governi di sinistra. Il cambiamento può partire da lì. Pensiamo alla scelta del sindaco di Roma che ha attribuito ad Antonio Marra potestà che ricordano i poteri del Presidente della Provincia. La magistratura ha censurato l’azione del sindaco capitolino, ma la popolazione italiana l’ha applaudita portando m5s ad oltre il 30%. Su questi presupposti bisogna partire per riportare al centro delle istituzioni le province, come i programmi elettorali dicono.

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