domenica 6 maggio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 119



ARTICOLO 119

“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

I Comuni, Le Province, le Città metropolitane e le Ragioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti  dagli stessi contratti”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

 L’articolo 119 della Costituzione, riformato dalla Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, è il perno del cosiddetto “federalismo fiscale”. Le regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno visto riconosciute la loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa. La Carta fondamentale gli riconosce risorse autonome, vedi il secondo comma dell’articolo 119. Tali risorse devono consentire alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Tali enti locali hanno un proprio patrimonio economico, composto di beni materiali e immateriali, di proprietà di immobili e mobili. Hanno la capacità di stabilire e applicare tributi propri, secondo i dettami costituzionali e in armonia con l’intera finanza e sistema tributario nazionale. Possono avere tributi propri o possono compartecipare alla spartizione del gettito prodotto da alcuni tributi nazionali, ad esempio parte delle accise sulla benzina e sui combustibili sono direttamente versati nelle casse delle regioni. Insomma gli enti locali possono gestire sia le loro entrate che le loro uscite in modo da poter avere quella autonomia e quella capacità di manovra che li rende protagonisti autonomi nella vita del territorio che gestiscono. Possono fare scelte di politica territoriale in autonomia a quelle nazionali.
La legge dispone che sia creato un fondo perequativo. Cosa vuol dire? Sappiamo che il nostro territorio nazionale non è omogeneo né dal punto di vista morfologico, né da quello socio-culturale, né da quello economico. La Costituzione per garantire il principio di Uguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 3 della Costituzione, stabilisce che sia creato un fondo nazionale in cui le ragioni più ricche versino parte del proprio gettito fiscale che sarà utilizzato dalle realtà locali meno ricche per compensare il divario finanziario e poter finanziare servizi indispensabili per la popolazione locale. Insomma è un modo per poter garantire lo sviluppo a realtà più sfortunate dal punto di vista finanziario.

Bisogna dire che la costituzione è tassativa. Le regioni, i Comuni e le Province possono finanziarsi mai in debito. La loro politica economica deve essere finalizzata all’equilibrio di bilancio. Le entrate, che come abbiamo detto possono provenire anche dallo Stato, ma che si compongono principalmente di entrate proprie, devono garantire sempre una copertura adeguata delle uscite. In caso di sforamento del bilancio l’ente locale risponde in proprio dei suoi ammanchi, a meno che non siano dovuti ad investimenti straordinari per assicurare lo sviluppo del territorio, investimenti che portino strutturali innovazioni. Solo in tal caso si può investire in deficit, nella prospettiva che tale debito possa fruttare benefici per la collettività.

Bisogna dire che il terzo comma dell’articolo 119 indica che gli enti locali debbono indirizzare le loro finanze per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà. Cosa vuol dire? Le regioni devono operare per vegliare affinché i disabili, gli anziani, le donne, i migranti, i meno abbienti non siano discriminati. È un mandato imposto dalla costituzione. In tutti gli ambiti sociali la Costituzione deve garantire i meno fortunati, per ottenere tale obbiettivo chiede aiuto agli enti locali. La crisi ha prodotto gravi squilibri, ha prodotto molti disoccupati, i più colpiti sono i disabili. Sembra un paradosso, in uno stato sociale che dovrebbe guardare i più deboli, i tagli prodotti dalla crisi hanno colpito principalmente i meno fortunati. Certo questa scelta ha potuto garantire ad atri standard di vita adeguati. Rimane il fatto che mentre l’Italia arranca chi è meno fortunato continua a cadere nel baratro della disoccupazione, della povertà e dell’emarginazione. A poco servono gli appelli di papa Francesco alla solidarietà. A poco servono le leggi dello stato, inapplicate. Il disabile rimane l’escluso, l’emarginato il deriso. Cambiare sembra impossibile. Anche perché quando si prova a parlare di fratellanza fra le persone la risposta è spesso di chiusura, di non ascolto. Perché farsi carico del Disabile, perché farsi carico della persona che si deride, che si umilia, a cui non si riconosce la dignità umana? Per rispondere a tale domanda non basta dire: perché lo dice la Costituzione, nel sud, soprattutto, ma in tutto il paese c’è gente a cui la costituzione non importa nulla, tanto meno i valori di cui è latrice. Questo è dovuto anche al senso di illegalità diffusa nel paese. Quanto lavoro nero, quanta evasione fiscale, quanta incuria delle norme del diritto, tutti questi fattori portano a un disfacimento morale. Ma siamo positivi. Davanti a una maggioranza indifferente e cinica, che rimane impassibile verso le questioni di rilevanza sociale, ci sono gruppi di persone che fanno dell’impegno verso l’altro la loro ragione di vita. Sono gli impegnati nel mondo del volontariato, gli uomini di volontà, che dovrebbero essere il cancro che distrugge questa società egoista, un melanoma buono che dovrebbe far fuori la cultura brutta ed egoista, per far nascere una cultura solidale. Questi oggi sembrano una malattia agli occhi di coloro che vorrebbero che nulla cambiasse, per questo li abbiamo chiamati “cancro”. Ma in realtà sono speranza per il futuro, speranza di costruire una società in cui il senso di comunanza non sia sentire da pochi, ma da molti, se non da tutti. Un senso che ci fa sentire fratelli e sorelle. Un senso che ci spinge ad aiutare chi è in difficoltà, non a deriderlo. Un senso che ci spinge a cercare di superare le debolezze nostre e degli altri, che non ci fa utilizzarle per raggirare il prossimo, ma ci spinge a sorreggerlo mentre sta cadendo. Cambiare è possibile. Bisogna farlo mettendo in pratica quello che la costituzione chiama la sussidiarietà orizzontale. Cioè l’utilizzo dell’energia vitale dell’uomo per aiutare, fare da sussidio, al proprio prossimo. La ricchezza umana e l’abnegazione delle associazioni di volontariato debbono essere da esempio e da sprone. L’economia e lo sviluppo sociale devono ripartire dall’apporto delle istituzioni pubbliche, private, fondazioni ed associazioni. Si riparte dalla solidarietà e dallo stare insieme. Nessuno deve rimanere più da solo. Nessuno deve essere lasciato a se stesso nelle difficoltà della vita. Se uno cade deve essere aiutato a rialzarsi. Deve essere messo in grado di rimettere in moto le sue capacità e le sue competenze per costruire un futuro migliore per sé, per la sua famiglia, per il cerchio sociale di cui fa parte e per l’intera società.

L’ultimo comma dell’articolo 119 stabilisce che Comuni, Province, Città metropolitane e regioni hanno un loro patrimonio. Questo è dato dalla legge dello stato e dalla costituzione. Cioè gli enti locali possono acquisire beni materiali e immateriale solo se una legge acconsente l’ente locale ad operare in quel dato settore economico. I beni di questi enti sono sottoposti al diritto pubblico, cioè rientrano nella legislazione che regolamenta il funzionamento dello stato e delle istituzioni. Fanno parte della ricchezza della nazione e di conseguenza debbono essere utilizzati con oculatezza. I comuni possono operare in ambito economico costituendo imprese di cui detengono il controllo, ad esempio in ambito del servizio di trasporto urbano. Tale possibilità la ha anche la provincia, la Città metropolitana e la Regione. Possono avere un loro patrimonio immobiliari. Ci sono case comunali, ad esempio, date in affitto a privati o utilizzate come uffici pubblici. Il patrimonio dello stato è rilevante, ammonta a diversi svariati miliardi di euro. Questo patrimonio è in buona parte gestito dalle istituzioni locali, che formalmente e sostanzialmente ne sono titolari giuridici. Possono vendere, comprare, privatizzare enti pubblici, sempre secondo le norme dello stato. Questo patrimonio è prezioso per i cittadini, grazie a lui si può l’ente può erogare servizi. È bene che non venga disperso con atti avventati. Per questo motivo la Costituzione impone un rigoroso utilizzo del bilancio non solo corrente (le spese e le entrate), ma anche consolidato (comprendente anche il patrimonio dell’ente locale). È tempo di parsimonia. Lo stato deve utilizzare le risorse per il cittadino, non per i tornaconti personali di pochi. Gli enti locali che operano una gestione economica sbagliata rischiano il dissesto finanziario, con gravissimo nocumento per l’intera collettività. Insomma l’articolo 119 della costituzione si occupa della finanza degli enti locali. Disciplina le norme generali sulle entrate e le uscite. Indica quale debba essere una giusta legge che regolamenti la finanza pubblica e come questa debba regolamentare la vita delle istituzioni locali. Allo stesso tempo, però, va oltre la mera contabilità. Propone un modello di sviluppo a misura d’uomo. Indica una vera economia politica, una politica dell’economia, che dovrebbe mettere al centro i bisogni dell’uomo e soprattutto dei più deboli. Indica quali debbano essere le priorità dello stato. Garantire la salute del cittadino, garantire dignità e lavoro devono essere obbiettivi primari. Forse seguire le indicazioni costituzionali potrebbe essere un modo per uscire dalla crisi, senza lasciare indietro, senza escludere, quelle fasce sociali più deboli di cui la nostra Carta Fondamentale ha a cuore le sorti. Partire da qui, partire dalla solidarietà, per far rinascere il paese, questo è il nostro obbiettivo. Per ottenerlo bisogna certo rendere le istituzioni più efficienti, migliori, ma bisogna cambiare i cuori di chi non crede nell’impegno solidale, un’Italia più bella si può avere non lasciando indietro nessuno.

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