ARTICOLO 136
“Quando la Corte
dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente
forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione.
La decisione della
Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali
interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme
costituzionali”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 136 della Costituzione italiana detta quali siano
gli effetti di una sentenza della Corte Costituzionale. Se la Consulta dichiara
che una norma o un atto avente forza di legge è contraria ai valori
costituzionali e/o non rispetta le procedure formali e la sostanza della
normativa costituzionale essa perde efficacia il giorno successivo alla
pubblicazione della decisione. Insomma la legge “incriminata” è espulsa dall’ordinamento
giuridico italiano. Dal giorno della pubblicazione della sentenza i cittadini
italiani e le istituzioni devono considerarla inesistente. Insomma la legge è
sottomessa a quelli che sono i principi generali dello stato sanciti dalla
Costituzione. Non ci può essere norma che li trasgredisca. La Corte
Costituzionale è l’organo giurisdizionale chiamato a vegliare che ciò non
avvenga. Bisogna dire che una sentenza della Corte Costituzionale rende
inefficaci tutti gli effetti giuridici prodotti dalla norma, tranne quelli che
hanno definitivamente espletato i loro effetti, cioè quelli cessati
definitivamente per esaurimento dell’attività regolamentata dalla norma incostituzionale.
Insomma la sentenza della Corte Costituzionale non si applica solo nei casi di
rapporti giuridici regolamentati in via definitiva dalla legge incostituzionale,
o nei casi in cui siano già decorsi i termini di prescrizione. Negli altri casi
il rapporto giuridico esistente in forza della norma deve essere rimodulato in
base alla sentenza della Corte Costituzionale. Insomma le parti devono
riadattare il loro negozio in base alla sentenza della Corte Costituzionale. In
caso di incostituzionalità di norme penali vale il principio del favor reo,
anche se una legge è incostituzionale se ha prodotto attraverso la sua
applicazione uno sconto di pena o l’assoluzione dell’imputato, non perde
efficacia per le sentenze già pronunciate. Ovviamente non è più applicabile per
quelle future. Mentre se la sentenza della Consulta produce una situazione
favorevole al reo, essa ha effetti positivi sulla pena, cioè un giudice sarà
chiamato a rimodulare la condanna in base alla sentenza della corte sempre e
comunque a vantaggio del condannato, anche se questi ha subito una sentenza
definitiva. Il giudice delle Libertà, insomma, sarà chiamato a costatare il
cambiamento dell’ordinamento giuridico e di conseguenza a imporre una
riapertura del processo.
Insomma la sentenza della Corte Costituzionale espelle dall’ordinamento
giuridico la norma incostituzionale. La legge in questione è come se non fosse
mai esistita, tranne nei casi limite sopra indicati. La Consulta ha l’obbligo
di vegliare affinché non siano violati i principi fondanti del nostro stato. La
sua decisione è inappellabile. Ci può essere una sentenza di incostituzionalità
parziale della norma. Una legge può essere non interamente incostituzionale, ma
inammissibile solo in alcune sue parti. In tal caso la sentenza non cassa
interamente la norma, ma solo alcune parti di essa. Ci può essere anche una
incostituzionalità per omissione. Cioè la legge è incostituzionale perché non
ha previsto, nel regolare una determinata fattispecie giuridica, l’esercizio da
parte dei cittadini dei diritti fondamentali. Un esempio. Se una norma non garantisse a
tutti, giovani o anziani, malati e sani, l’accesso a un determinato diritto
violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, che impone l’uguaglianza non solo
formale ma anche sostanziale fra persone. Insomma tale legge sarebbe incostituzionale
perché non ha detto.. Ci può essere un giudizio di incostituzionalità per
violazione del principio di parità fra generi. Le leggi di famiglia furono
seriamente oggetto di censura della corte costituzionale, perché prima della
riforma del diritto di famiglia, siamo negli anni 70 del secolo scorso,
mettevano di fatto in uno stato di sottomissione giuridica la moglie al marito.
Insomma la sentenza della Corte Costituzionale deve rimettere a posto una
situazione giuridica che è stata sovvertita da un’improvvida decisione del potere
legislativo che ha, in buona fede o in mala fede, intaccato i valori
costituzionali. Ci può essere una sentenza interpretativa della norma. Cioè la
legge in questione è costituzionale sono se applicata in una maniera
espressamente indicata dalla consulta. L’esempio è la legge sul legittimo
impedimento. La norma del 2010 intendeva impedire che l’allora Presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi fosse interrogato dai magistrati. La legge era
semplice, se Berlusconi non intendeva presenziare ai processi in cui era
imputato bastava dicesse che era impegnato dalle sue attività di governo, e di
conseguenza sarebbero state rinviate le udienze e si sarebbe avvicinata la
prescrizione dei reati. La Corte Costituzionale interpretò tale legge indicando
che fosse necessario il riscontro oggettivo di un impegno della Presidenza del
Consiglio per rinviare i processi, e quindi dette una sentenza interpretativa
sulla norma. Oggi sembra la sentenza un reperto archeologico, “giustizia è
fatta” ha detto Matteo Salvini, qualche giorno fa, quando ha saputo della piena
estinzione della pena di Silvio Berlusconi. Certo che in nome dell’uguaglianza,
in nome del principio che tutti gli imputati sono uguali, la Corte
Costituzionale in quel lontano 2010 ha fatto un torto a tutti gli elettori di
Lega e Forza Italia, che allora si chiamavano PDL, che votavano e votano per
salvaguardare gli interessi di Silvio Berlusconi.
Il secondo comma dell’articolo 136 indica che la sentenza
della corte costituzionale deve essere pubblicata sul suo bollettino ufficiale,
su quello degli atti dello stato e sulla gazzetta ufficiale della Repubblica. Questo per rendere notorio all’intera
popolazione la sua decisone. La pubblicità, la notorietà, della sentenza è
decisiva per garantire il principio di legalità. Tutti devono sapere che la
legge è stata interamente, parzialmente cassata, oppure, in caso contrario, che
la corte non ha visto motivi di illegittimità. Cioè la legge è conforme all’ordinamento.
La Corte deve mandare atto di notifica all’organo che ha emanato la legge, o
che comunque è chiamato a colmare il vuoto giuridico prodotto dall’annullamento.
Manda, di conseguenza, comunicazione al Parlamento, alle due camere, e al
Consiglio Regionale, se si tratta di formazione regionale. Il fine è che gli
organi legislativi mettano immediatamente in moto le procedure necessarie per
emanare leggi che siano, conformi alla costituzione, e riempiano il vuoto normativo
creato dalla cessazione della norma incostituzionale. Bisogna dire che una
sentenza di incostituzionalità, pur essendo un atto giuridico una sentenza e
quindi neutrale dal punto di vista politico, è di fatto una censura alla
politica della maggioranza parlamentare che ha votato la legge. Il Parlamento
non può non costatare che, detta in maniera semplicistica, ha sbagliato. Non
può costatare che il suo operare è andato contro quelle regole che sono la loro
bussola nel quotidiano lavoro parlamentare. In questi anni non si è fatto i
conti con questo dato di fatto. Troppo spesso autori di leggi incostituzionali,
penso a Calderoli autore della legge elettorale denominata “Porcellum”, sia
ancora in attività, anzi molti lo vorrebbero, paradosso dei paradossi, ministro
del nuovo governo Lega – Movimento Cinque Stelle. Sbagliare è umano.
Perseverare è diabolico. Appare necessario invece che la politica nella sua
interezza faccia proprie le indicazioni della Corte Costituzionale e operi
affinché sempre meno sia costretta a censurare l’opera del parlamento.
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