ARTICOLO 129
“Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.
Le circoscrizioni possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento” (articolo abrogato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n.3)
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Questo articolo è stato abrogato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001. La volontà del Costituente era dare allo stato la possibilità di delegare alcune delle sue funzioni agli enti locali. Il potere centrale poteva decentrare alcune sue prerogative. La riforma del titolo V, la parte della costituzione dedicata alle autonomie locali, del 2001 ha cambiato radicalmente i rapporti fra l’autorità centrale e quelle locali. Ha dato maggiore autonomia e forza a queste ultime. Alla luce di questo l’articolo 129 appare superato e per questo abrogato. L’azione degli enti locali non ha più bisogno dell’input statale per operare amministrativamente. È la costituzione stessa che dà poteri d’azione a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni senza che queste abbiano bisogno di deleghe statali. L’ordinamento prevede un confronto franco e costruttivo fra il governo nazionale e le autorità locali. Non vi è più imposizione dall’alto, ma una fruttuosa collaborazione.
L’articolo 129 designava le Province e i comuni come circoscrizioni di decentramento. Tale definizione poneva tali organi come meri strumenti amministrativi per gestire servizi. Insomma il servizio pubblico era di competenza dello stato il quale disponeva, con legge, di delegare tale funzione all’ente locale. La riforma non ha cancellato questa forma di delega, anzi l’ha rafforzata, indicando che deve essere principio generale che l’organo locale debba assumere le funzioni amministrative essenziali per la cittadinanza. Questo è detto principio di sussidiarietà. Quello che cambia è il rapporto fra organi dello stato. Non più un rapporto gerarchico e verticale, lo stato comanda e l’ente locale esegue, per intenderci. Ma un rapporto sinergico, frutto di un continuo e fruttuoso confronto dialettico fra le istituzioni. Niente più deve essere definito dall’alto, ogni forma di decentramento deve essere pensata dai rappresentanti pubblici nazionali e locali, tenendo conto della volontà della cittadinanza. La partecipazione attiva del cittadino è essenziale. L’idea che la cittadinanza possa essere protagonista attiva della vita istituzionale era già nella mente dei padri costituenti del 1947. Quello che è cambiato, con la riforma del 2001, è il metodo. Prima vi era lo stato centrale che dialogava con le società intermedie, cioè con i sindacati e le associazioni popolari, per poter costruire una democrazia partecipata. Oggi gli enti locali sono protagonisti di questo dialogo istituzionale. Sono loro che si approcciano alla popolazione. Insomma si tenta di costruire un rapporto plurale, infraistituzionale. L’obbiettivo è costruire una società partecipata in cui le funzioni amministrative siano non solo svolte con diligenza e decoro, ma siano anche strumento di dialogo fra la pubblica amministrazione e la cittadinanza. Ecco il motivo per cui è stato abrogato l’articolo 129. Non vi è più un rapporto meramente burocratico, ma un costruttivo afflusso di energie da parte delle realtà sociali verso gli enti istituzionali. C’è un rovesciamento. Non c’è più una visione piramidale. Le funzioni amministrative non sono delegate dall’alto come in una sorta di movimento a cascata. Le funzioni amministrative sono frutto di accordi e dialoghi non solo fra apparati dello stato, ma anche fra le associazioni di volontariato. Pensiamo il prezioso apporto di quest’ultime nel supporto al welfare. Soprattutto in regioni ove, per motivi culturali ed economici, chi soffre, chi è disabile, l’anziano solo vive in uno stato di abbandono. In regioni ove vi è uno stato di esclusione. Pensiamo ai tanti disabili che nel sud sono non solo esclusi ed emarginati dalle attività sociali ed economiche, vivono in uno stato di frustrazione profonda, non solo a causa dello stato fisico, ma delle continue angherie che subisce. In questi contesti l’interazione fra istituzioni pubbliche e volontariato potrebbe non solo offrire una speranza a chi vive nel disagio, ma potrebbe diventare il motore di un cambiamento culturale, basta con le discriminazioni, basta con le derisioni, la società e le istituzioni possono diventare il motore di cambiamento sociale necessario per far diventare la nostra società inclusiva. Le associazioni di volontariato e le istituzioni devono farsi latrici di un principio di solidarietà ed accoglienza che si deve diffondere nel cuore della cittadinanza. Lo stato non deve essere sordo ai bisogni, ma si deve ergere a risolutore di questi e anche divulgatore di una cultura del bene comune.
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