MORTE DI UN GIUDICE
Il 23 maggio del 1992 moriva a Capaci (PA), assieme alla moglie e alla scorta, Giovanni Falcone. Simbolo di legalità e giustizia, il giudice ancor oggi rappresenta l'Italia che non si piega alla mafia e al malaffare. L'Italia della legalità, l'Italia della Costituzione, l'Italia che scende in piazza per dire "no" alla violenza mafiosa. L'Italia che ogni giorno si impegna e fa il suo dovere. sono passati 26 anni dalla sua morte e ancor oggi il cancro mafioso non è debellato. L'Impegno del giudice, però, non è stato vano. Il Maxiprocesso che ha condotto dal 1985 al fianco di altri valenti magistrati, fra cui Paolo Borsellino, ha messo in galera criminali sanguinari. Il lavoro di Falcone ha inchiodato alle loro responsabilità mafiosi come Totò Reina (che sarà arrestato molti anni dopo, ma che le sue responsabilità furono chiare già allora) e politici corrotti come Vito Cianciamino, il sindaco del sacco di Palermo. Falcone ha raccontato, con raffinata tecnica giuridica, la guerra di mafia che ha insanguinato l'intera Sicilia negli anni '70 e '80. Ha indicato nei "colletti bianchi", funzionari pubblici e privati che riciclavano il denaro sporco mafioso, il cancro di un intero paese che stava agonizzando a causa della corruzione. Falcone raccontava di sentirsi spesso isolato. La borghesia palermitana, di cui faceva parte, lo isolava e isolava tutti quei magistrati che con il loro lavoro intendevano rompere il muro di omertà. La mafia è sangue, la mafia sono i cadaveri per la strada, la mafia è Brusca, un capobastone, che scioglie nell'acido il figlio di pochi anni di un pentito.Per questa ragione è inaccettabile il silenzio complice. A capirlo fu l'intera Palermo, che quel 23 maggio pianse Falcone e gli uomini della scorta. Palermo si identificò nella moglie di Vito Schifani, membro della scorta di Falcone anche lui morto a Capaci.Quella donna, minuta e provata, gridò ai mafiosi: inginocchiatevi. Intendeva dire che la Repubblica, lo stato, la democrazia non accettava compromessi. I mafiosi dovevano non solo deporre le armi, ma anche essere sconfitti giudiziariamente, militarmente e moralmente.Purtroppo la storia non è andata così. Cesare Previti, braccio destro di Silvio Berlusconi nella creazione del Partito Forza Italia, è stato condannato dal tribunale di Palermo proprio perché aveva scelto di scendere a patti con la mafia e non di combatterla. ma sarebbe miope vedere solo le responsabilità penali dei politici di Lega e Forza Italia, le responsabilità sono anche a sinistra, basti pensare alle responsabilità politiche, anche se non penali, Nicola Mancino, anche lui indagato come Previti, ma assolto. E' tempo di cambiare. E' tempo di tributare ai servitori dello stato, come Falcone, il tributo meritato. Tale tributo può essere assolto solo scoprendo la verità e portando in carcere la cupola mafiosa e i loro complici, politici e affaristi. La seconda Repubblica è nata con la strage di Capaci. La classe politica fu condizionata da quell'evento. L'unico modo per chiudere i conti con quel terribile passato è scoprire la verità. Che ancora non si sia chiuso quel periodo storico è riscontrabile dal dato che ancor oggi, come allora, la prima colazione del paese è l'alleanza Lega - Forza Italia. Ma anche nel 1989 a crollare fu prima il partito più piccolo della prima Repubblica, il PSI, e poi crollò la Democrazia Cristiana. Nelle ultime elezioni è crollato il Partito Democratico, speriamo che sia il preludio del crollo del sistema di potere Forza - Leghista. In questi casi siamo tutti tifosi di Gian Battista Vico e dei suoi corsi e ricorsi storici.
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