PRIMA DISPOSIZIONE
TRANSITORIA E FINALE
“Con l’entrata in
vigore della Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le
attribuzioni di Presidente della Repubblica e ne assume il titolo”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Prima di addentrarci nel commentare il contenuto della prima
disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana, è bene spendere
alcune parole sull’intero gruppo di articoli che sono denominati con tale
dicitura. Le “disposizioni transitorie e finali” sono diciotto. Sono numerate
in cifre romane. Sono state approvate dall’assemblea costituente il 22 dicembre
1947 e promulgate il 1 gennaio 1948, assieme all’intera Costituzione Italiana,
il 1 gennaio 1948. Servono a traghettare l’intero paese verso la Repubblica,
dopo decenni di monarchia. Contengono alcune disposizioni che il tempo ha reso
inefficaci, come la prima che regolamentava lo status e il ruolo di Enrico De
Nicola, prima capo provvisorio dello stato, eletto dall’assemblea costituente
il ventotto giugno del millenovecentoquarantotto, e che poi assunse il ruolo di
primo presidente della repubblica
italiana, il 1 gennaio
millenovecentoquarantotto, proprio in forza del primo articolo delle
disposizioni transitorie e finali. Appare chiaro che tale disposizione è ormai
un monumento storico, serve a ricordare quali siano stati i passaggi
istituzionali in quel travagliato periodo, segnato dalla guerra e dai primi passi
verso la rinascita del paese. In seguito si utilizzo il procedimento indicato
dall’articolo 83 della Costituzione per eleggere I presidenti della Repubblica,
fra i quali è bene ricordare il secondo Luigi Einaudi, illustre economista. Le diposizioni
però contengono delle norme che sono valide ancor oggi, come quella contenuta
nella quattordicesima che afferma che i titoli nobiliari non hanno alcun
riconoscimento giuridico nella Repubblica democratica e ugualitaria che stava
nascendo. Oppure disposizioni che ancor oggi accendono gli animi, come la XII
che vieta la ricostituzione del partito fascista. Questa norma divide. Da un
lato ci sono coloro che vorrebbero che nel nostro paese non ci siano più
partiti che si prefiggono di creare dittature e che hanno al loro interno
organizzazioni paramilitari. Dall’altra ci sono esponenti politici che
rimpiangono quei tempi. Ricordiamo le esternazioni di tanti esponenti di Lega,
Forza Italia e Fratelli d’Italia in favore del regime fascista. Recentemente
Giorgia Meloni, esponente di Fratelli d’Italia, ha elogiato la legge Acerbo, la
legge elettorale voluta durante il regime fascista che dava un premio di
maggioranza alla lista che otteneva il miglior risultato . Abbiamo vinto, ha
dichiarato, pensando alla propria coalizione elettorale. Facendo riferimento al
dato che se si fosse votato con la legge Acerbo, lega, Forza Italia e Fratelli
d’Italia con il loro 35% dei consensi avrebbero avuto la maggioranza assoluta
in Parlamento. Ricordiamo che la legge elettorale voluta da Calderoli, ex
ministro leghista, era simile alla legge Acerbo. Non è un caso che molti
elettori di destra lo vorrebbero ministro delle riforme costituzionali, per
cancellare ciò che è di antifascista nel nostro stato. Le vicissitudini della
legge elettorale Calderoli sono note. Approvata nel 2005, dava un premio di
maggioranza alla coalizione o al partito che avesse avuto la maggioranza dei
voti relativi, cioè non avesse raggiunto
il 50 + 1 dei consensi. Come abbiamo
detto quella legge si ispirava a quella voluta da Benito Mussolini nel 1923. La
Corte Costituzionale, forse anche per questo motivo la bocciò, pensando che una
repubblica democratica non potesse permettere che vi fosse un così spropositato
divario fra consenso e potere parlamentare. Non era ammissibile che un gruppo
di pochi ed eletto da pochi, governasse il paese. Forse le disposizioni transitorie
e finali sono il passato. Forse siamo di fronte a un’Italia ben diversa da
quella d’allora, che voleva uscire dalle brutture della guerra e del potere
dispotico. Forse stiamo tornando al passato. Forse non sono obsolete solo le
norme di transizione, come la prima, ma anche quelle che designano un paese
democratico e che rifiuta la violenza come strumento della politica, come la
XII e tante altre. Staremo a vedere. Intanto Enrico De Nicola, primo presidente
della Repubblica Italiana, è lì a ricordarci che la democrazia non è un
elemento dato per sempre, è una strada che si percorre alla ricerca continua e
imperitura della libertà e della pace. Spetta a noi sottolineare e censurare
alcuni atteggiamenti non coerenti a questi propositi, per superarli e
continuare nel cammino comune di prosperità.
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