domenica 6 maggio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 120



ARTICOLO 120

“La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libertà di circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di collaborazione”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

L’articolo 120 della Costituzione nel suo primo comma vieta nella maniera più assoluta che le regioni possano impedire le libera circolazione delle cose e delle persone.  Non vi possono essere dazi che gravino sulle transazioni commerciali tra soggetti situati in regioni diverse del nostro paese. Questo principio di unità commerciale ed economica è una conquista raggiunta fin dal 1861, con l’unità dell’Italia, la penisola ha raggiunto in quel tempo non solo l’integrità politica, ma anche l’unione economica. È bene che la costituzione, istituendo l’organo regionale, chiarisca che quella conquista rimane acquisita anche con la nascita di istituzioni locali di autogoverno. Chiunque ha diritto di spostarsi da una regione all’altra per lavorare, abitare e prosperare. Le limitazioni alla circolazione delle cose e delle merci sono èreviste in casi specifici, eccezionali, ed indicate dal codice penale per ostacolare e punire alcuni reati, ad esempio quello mafioso. Questi provvedimenti sono atti ad evitare che proventi illeciti siano utilizzati per inquinare l’economia nazionale, oppure sono atti ad imporre il soggiorno obbligatorio a criminali prezzolati. Limitazioni alla libera circolazione possono rendersi necessarie per ragioni di profilassi o di tutela della salute, in caso di epidemia. Bisogna notare che queste gravi decisioni sono demandate all’autorità giudiziaria o al governo nazionale, non sono competenza degli organi politici ed amministrativi locali. Tutto ciò che concerne la libera circolazione all’interno dell’intero territorio nazionale non è competenza delle autorità locali. I sindaci, in quanto pubblici ufficiali, hanno il compito di chiudere momentaneamente edifici pubblici o limitare la circolazione, quando particolari motivi di emergenza lo impongono. Ad esempio può succedere in caso di calamità naturali. La libera circolazione delle persone, delle merci e della forza lavoro non può essere limitata se non per gravissime e fondate ragioni come impone l’articolo 16 della costituzione che garantisce la libertà di soggiorno e circolazione.

Con l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea, attraverso tutte le tappe istituzionali che si sono succedute nei decenni, è sorto un nuovo soggetto politico e istituzionale che gestisce i traffici di cose e persone, appunto l’Unione Europea. La Costituzione scritta nel 1948 non contemplava questo livello istituzionale, la riforma del 2001 ha colmato una lacuna in questo campo. Le Regioni, le province, le città metropolitane e i comuni sono chiamati a rendere operativi i trattati e le normative europee negli ambiti di loro competenza. Se non lo fanno lo Stato, il Governo nazionale, deve sostituirsi a loro. Questo per garantire il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione che impone che la Repubblica rispetti i trattati internazionali in nome della pace e della fratellanza di tutti i popoli della terra. Insomma l’autorità statale può e deve intervenire per garantire il rispetto degli accordi internazionali e dei regolamenti europei messi in pericolo dall’inadempienza degli organi locali. Il principio di sostituzione vale anche se è messa in pericolo l’economia nazionale. Il governo può sostituirsi alle regioni in caso di dichiarata emergenza. Può gestire una crisi occupazionale ed ambientale, si fa l’esempio del plesso industriale siderurgico di Taranto, che è in profonda crisi. Per risolvere l’emergenza ambientale ed occupazionale è intervenuto il governo nazionale affiancando la Regione Puglia nella gestione dell’emergenza e al fine sostituendosi ad essa, nazionalizzando il caso.

Compito dello stato è anche quello di sostituirsi alle regioni per mantenere l’unità giuridica del paese. In Italia si dovrebbe esserci un egual trattamento di tutti i cittadini, un egual tutela. La quotidianità ci dice che ciò non è vero. Chi è disabile, chi è anziano, chi è povero e vive nel Nord ha un livello di tutela superiore rispetto a colui che, in eguali condizioni, vive nel Sud. Nel nostro Meridione la crisi economica e il degrado sociale, la mancanza di valori etici e civili, ha portato ad avere scarsissima considerazione sociale dei disabili, dei meno fortunati. Addirittura è considerato giusto che non abbiano il lavoro. In alcune aziende in crisi la scelta su chi licenziare cade sul disabile. Lo stato dovrebbe intervenire per scongiurare questi atti di diseguaglianza. La Costituzione che impone la tutela dei più deboli dovrebbe essere rispettata. Quindi in questi casi è bene che avvenga che lo Stato si sostituisca agli organi locali per ristabilire i canoni di funzionamento dei servizi al cittadino atti a garantire i diritti civili e sociali di tutti. Ho parlato dei disabili, dei meno fortunati, dei disoccupati, coloro che sono colpiti dalla crisi. Certo lo Stato deve provvedere affinché le loro prerogative giuridiche e i loro diritto vengano rispettati, garantendo loro dignità, stabilità economica e sicurezza sociale. La Repubblica non si deve dimenticare anche delle famiglie numerose e bisognose. Deve provvedere alla loro vita, garantendo serenità ai genitori che non devono preoccuparsi dell’istruzione e della crescita della prole, perché il loro impegno arduo e bellissimo è supportato dagli organi istituzionali. Deve essere chiaro lo stato si può sostituire alle regioni quando queste non adempiono i loro doveri di supporto alle persone indigenti. Ma quello che dovrebbe essere la normalità istituzionale è il principio di sussidiarietà e di collaborazione fra enti pubblici. Sussidiarietà vuol dire che deve prendersi cura del cittadino l’organo pubblico più vicino alla gente. Il comune, la città metropolitana, la provincia e la regione in ordine decrescente hanno l’onere di far fronte alle esigenze quotidiane della cittadinanza. E’ l’ente più prossimo al cittadino che deve prendersi cura di lui. Ma lo Stato deve intervenire, come abbiamo detto, quando queste istituzioni locali latitato. Ma non solo! Interviene anche per interagire e collaborare con gli enti locali. Anche se il comune è attivo e presente nella vita della cittadinanza lo stato deve coordinarsi con lui per ottenere l’obbiettivo di una proficua interazione. Le “cabine di regia” sono una cosa importantissima. Esse sono la manifestazione della volontà politica delle istituzioni pubbliche di qualsiasi livello di parlarsi di collaborare per ottenere risultati utili. Questa collaborazione fra istituzioni è imposta dalla costituzione. L’articolo 120 la impone come modello da imitare in tutte le comunità locali. È un modo per imporre standard solidali in realtà, come alcune parti del Mezzogiorno, ma non solo, in cui l’esclusione dei più deboli e dei meno fortunati è la regola. Mi è capitato di sentire l’espressione: sono valori tuoi! Questa frase è stata detta a un disabile che rivendicava il diritto al lavoro, in un contesto in cui la discriminazione era regola. Ma veramente la Costituzione è latrice di principi valevoli per pochi. Veramente il principio di difesa del più debole è regola per i meno, mentre per i più vige il principio di  la prevaricazione? La risposta sembra “si”, in alcuni contesti sociali degradati. Però proviamo a cambiare la mentalità delle persone. Proviamo a portare la luce della legalità ove non c’è. Proviamo a costruire quella solidarietà che non è solo impegno dello stato, ma anche scelta del cittadino. Proviamo ad insegnare che l’aiuto al disabile, la sua integrazione sociale, il suo ingresso e tutela nel mondo del lavoro, sono strumenti per costruire una società migliore. Cambiare si può, per certi aspetti si deve, ci vorranno generazioni per costruire una società solidale. Ma arriverà il giorno in cui si dirà i valori di accoglienza, di impegno verso il più debole, di lotta alla discriminazione di genere, di lotta ai fenomeni di bullismo e di lotta contro le discriminazioni delle minoranze di ogni genere non sono “valori tuoi”(dei pochi che si impegnano), ma valori “nostri”, cioè di tutti. Noi ci crediamo. Noi crediamo che non ci saranno più barriere. Qualcuno mi disse, mentre rivendicavo ad alta voce diritti per tutti, “devi cambiare”, intendendo dire “che devi stare tranquillo, non parlare”, spero che un giorno cambi il nostro paese in base ai valori e alle norme della nostra Costituzione. L’articolo 120 è la lampante dimostrazione che la nostra Carta Fondamentale è strumento di cambiamento, è indicazione etica di un obbiettivo da raggiungere, il fine è costruire una società migliore e inclusiva. Appare significativo che l’articolo 120 parte dal divieto di barriere fisiche, impone l’assenza di dogane e confini fra regioni, e giunge a prospettare l’abbattimento di barriere culturali che impediscono la crescita morale della nazione.

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