ARTICOLO 125
“Il controllo di
legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma
decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi
della Repubblica. La legge può in determinati casi ammettere il controllo di
merito, al solo effetti di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della
deliberazione da parte del Consiglio regionale. (questo comma è stato abrogato
dall’articolo 9 comma 2 della Legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n.3)
Nella Regione sono
istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento
stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede
diversa dal capoluogo di regione.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Prima della riforma del 2001 l’articolo 125, primo comma,
prevedeva l’istituzione di un organo dello stato, il commissario di governo,
che aveva il compito di controllare la legittimità degli atti amministrativi
regionali. Tale figura è stata cancellata dal nostro ordinamento giuridico. Le
regioni quali enti costituzionali e autonomi non hanno un controllore governativo
dei loro atti. Nella visione costituzionale, precedente alla riforma, vi doveva
essere una figura che doveva fungere da agente di coordinamento fra le attività
del governo nazionale e di quello regionale. Il compito del commissario di
governo era quello di esaminare gli atti regionali, non solo dal punto di vista
formale ma anche entrando nel merito dell’atto. E se costatava non solo vizi di
forma e di contenuti, ma anche che questi provvedimenti, pur giuridicamente
corretti, potessero ledere in qualche modo gli interessi nazionali, poteva fare
richiesta motivata all’ente che aveva emesso l’atto di modificarlo o di
sopprimerlo. Tale azione era di fatto un imperio. Non vi era un formale dialogo
fra le parti, ma un atto di censura unilaterale da parte del governo. Ancora
una volta le ragioni dell’esecutivo nazionale prevalevano sui bisogni locali.
La riforma avvenuta nel 2001 del Titolo V, la parte della Costituzione dedicata
alle autonomie locali, è finalizzata a garantire l’autonomia regionale. Lo
stato è pari ordinato alla regione. Un atto amministrativo considerato illecito
dal governo deve essere impugnato davanti al tribunale di giustizia
amministrativa e non può essere messo in discussione da un atto di imperio. Non
vi sono più atti preventivi di controllo sulle azioni amministrative delle
regioni. Il Commissario di governo è stato relegato al passato della storia
delle istituzioni italiane. Il raccordo fra stato e regioni, oggi, va cercato
nel dialogo fra i due enti. La ricerca di una soluzione politico istituzionale
è data al confronto dialettico fra i due enti pubblici. Non a caso assume
sempre più importanza la conferenza stato regioni,l’istituzione di cui fanno
parte i presidenti di ogni regione e i rappresentanti del governo, in cui ci si
confronta sulle politiche economiche, culturali, turistiche etc. che vedono
protagonisti sia gli enti nazionali che quelli locali. Se questo dialogo non approda a soluzioni, l’unica
via possibile per trovare una soluzione è il ricorso al tribunale
amministrativo e al limite alla Corte Costituzionale, chiamata a dipanare i
conflitti di attribuzione fra stato e regioni, in caso che uno dei due invada
le prerogative date all’altro/a dalla Costituzione. In un ottica di parità
istituzionale fra i due organi.
Il secondo comma dell’articolo 125 non è stato abrogato. È la
parte della norma costituzionale in questione tutt’oggi in vigore. I riformatori non l’hanno inteso toccare.
Appare lampante il motivo a una lettura veloce del suo contenuto, a parere di
chi scrive. L’articolo 125 secondo comma istituisce organi di giustizia
amministrativa decentrata in ogni regione. Insomma l’articolo 125 secondo comma
ha permesso l’istituzione del T.A.R., il Tribunale Amministrativo Regionale.
Parlando dell’articolo 103 della nostra legge fondamentale abbiamo visto che vi
sono organi che esercitano la giustizia amministrativa. Sono il Consiglio di
Stato, l’ente supremo di questa parte del potere giudiziario, e il T.A.R. che
come abbiamo visto sono manifestazione della magistratura amministrativa in
ogni regione. Tali organi hanno il compito di giudicare se un atto
amministrativo è viziato. L’abuso può essere causato da vizi di legittimità.
Ove essi siano emanati in modo non conforme alle previsioni normative che le riguardano.
L’abuso di legittimità si ripartisce in tre fattispecie. L incompetenza è l’agire
in una sfera di poteri e facoltà attribuiti ad altro ente, o comunque non
propri dell’ente che ha emanato l’atto amministrativo. La violazione di legge è
la non conformità dell’atto amministrativo alle norme di legge. L’abuso di
potere consiste nell’emanare una atto per una causa non prevista dalla legge,
per ottenere un obbiettivo che le norme dello stato considerano contrario ai
principi fondanti. Nomina di un amico a un incarico pubblico. Tali sono le
cause principali di annullabilità e di nullità di un atto pubblico. Il T.A.R.
ha il potere di fermare ogni abuso della Pubblica Amministrazione. Le sentenze
di tale corte possono essere impugnate presso il consiglio di stato. Bisogna
ricordare che durante il regno d’Italia la giustizia amministrativa non era
esercitata da un potere terzo, da un potere giurisdizionale. Tale potere era
esercitato dalle “giunte amministrative provinciali” che non erano enti neutri,
erano figure di pubblici amministratori direttamente al servizio del governo.
Insomma chi doveva giudicare un atto era sostanzialmente posto in una posizione
di soggezione gerarchica rispetto a chi lo emanava. La Costituzione Italiana ha
voluto cambiare questo stato di cose, istituendo un organo giudiziario speciale
e indipendente che ha la finalità di giudicare gli atti delle altre
istituzioni. È bene ricordare che vi sono altri organi di giustizia amministrativa
su base regionale oltre al TAR. Sono le commissioni tributarie e i tribunali
delle acque pubbliche. I primi hanno il compito di esaminare i contenziosi fra
stato e contribuente. Le seconde quello di vegliare affinché le acque pubbliche
siano aliene da ogni forma di abuso, di illecito impossessamento e di attacco
alla loro salubrità. Insomma due tribunali importantissimi che hanno come
giurisdizione la regione del capoluogo in cui risiedono. La giustizia
esercitata nella regione è un modo per far sentire il cittadino sicuro nelle
proprie prerogative e protetto dalla legge.
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