L'INSEGNAMENTO DI PEPPINO
Sono passati quaranta anni dalla morte di Peppino Impastato. Mentre l'Italia intera trepidava per la sorte di Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse, a Cinisi, una cittadina in provincia di Palermo, veniva ritrovato il corpo, dilaniato da un esplosione, dell'attivista di Democrazia Proletaria. Ma chi era Peppino Impastato? Cosa è successo quel 9 maggio 1978? Perché è morto? Era un comunista, certo. Ma non era un terrorista, come le forze dell'ordine pensarono appena trovato il corpo. Era stato ritrovato vicino alle rotaie del treno, le forze dell'ordine dichiararono che era un attentato andato male, in cui l'attentatore è rimasto ucciso. Il pensiero era a Giangiacomo Feltrinelli, l'editore che si era ucciso nel 1972 a Segrate tentando di far saltare un traliccio della corrente elettrica, in preda a fervori rivoluzionari. Ma Peppino non era un terrorista. Non aveva nulla a che fare con i vili che in quelle stesse ore tenevano prigioniero Aldo Moro. Era un cittadino rigoroso, denunciava con forza l'ambiente mafioso che imperava nel suo paese, lo faceva da una radio libera, una delle tante che cominciavano a trasmettere buona musica e nuove idee. La stazione radiofonica, che cogestiva con il fratello e un gruppo di amici, si chiamava Radio out. Sulle onde medie della stazione radio trasmetteva la rubrica "Onda pazza a Mafiopoli", in cui denunciava l'attività illegale ed assassina del boss locale Gaetano Badalamenti. In quel tempo il capo bastone di Cinisi deteneva il controllo di tutta la droga che giungeva in Sicilia. Riusciva a farla arrivare all'aeroporto di Punta Raisi, Peppino lo raccontava senza timore, con il coraggio che lo contraddistingueva. Per questa sua caparbia volontà di combattere il male mafioso è stato ucciso. E' stato sparato e poi legato alle rotaie della ferrovia palermitana. Solo la polizia di allora non volle vedere l'evidenza, lo volle fare apparire terrorista. La popolazione locale intuì subito che la sua morte era un omicidio ed un omicidio di mafia. La reazione fu perentoria. A Cinisi ci fu la prima manifestazione antimafia in Sicilia. Per la prima volta, in ricordo di Peppino, la gente comune scese in piazza per denunciare la bestialità di "Toro seduto", così Peppino chiamava Tano Badalamenti nelle sue invettive radiofoniche. La cittadinanza il 14 maggio successivo alla sua morte votò per lui alle elezioni comunali dandogli 260 voti, un'enormità per un piccolo paese, anche se era morto, un modo per piangerlo e per dare uno schiaffo a chi l'aveva ucciso. Pur sapendo tutti che la mafia era il mandante, pur sapendo tutti che Impastato era morto per ciò che denunciava, la verità giudiziaria attese tanto ad arrivare. La Commissione Antimafia attese 22 anni, il 1990, per riconoscere che il caso Impastato era "un fatto di mafia". La sentenza che condannò in corte d'assise il mandante del delitto, Badalamenti, arrivò ancora più tardi nel 2002 e solo nel 2001 fu condannato Vito Palazzolo, il braccio destro di Badalamenti. Mentre nel 1998 la commissione parlamentare antimafia compilò un atto in cui si affermava che il maggiore Antonio Subranni e il maresciallo Alfonso Taviali, ambedue carabinieri, avevano compiuto opera di depistaggio, indicando quale terrorista dinamitardo Peppino Impastato. Peppino è l'esempio. il suo sacrificio , la sua dedizione, la sua passione politica e sociale hanno indicato una strada per alzare la testa, per dire "no" alla mafia. Come non poter paragonare Peppino a Roberto Saviano, ambedue convintamente difensori della verità. Roberto non è morto, grazie a Dio, proprio perché l'Italia ha cominciato a prendere coscienza e stare al fianco di chi denuncia, senza abbandonare chi esprime il senso civico che porta all'impegno sociale. Se oggi c'è qualcuno che alza la testa, lo dobbiamo all'imperituro esempio di Peppino che raccontava come a "cento passi" dalla propria casa c'era "Tano seduto" che smerciava droga, pallottole e morte.
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