giovedì 24 maggio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 138


ARTICOLO 138

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a «referendum» popolare quando entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a «referendum» non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a «referendum» se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

La nostra Costituzione è una Carta Rigida. La dottrina denomina in questo modo le Carte Fondamentali che non possono essere modificate dalle leggi ordinarie. Per cambiare la costituzione è necessario che le norme innovatrici siano approvate con uno speciale, e più complesso, procedimento rispetto a quello utilizzato per introdurre nuove norme ordinarie nel nostro ordinamento. Questo a difesa dei valori e dei principi fondanti della nostra Repubblica incisi nella Costituzione. I precedenti storici allarmarono i nostri costituenti. Lo Statuto Albertino non aveva strumenti di difesa per salvaguardare i diritti di libertà. Il fascismo ha potuto introdurre norme liberticide e istitutrici di una dittatura attraverso l’approvazione di norme dello stato. Per evitare che anche nella Repubblica possa avvenire una cosa del genere è stato scritto l’articolo 138 della Costituzione. Nessuna maggioranza parlamentare spuria o raffazzonata può modificare la nostra Carta Fondamentale. Le riforme costituzionali devono avvenire secondo un iter ben preciso. A norma del primo comma dell’articolo 138 le leggi di revisione costituzionale e le leggi costituzionali sono adottate con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Appare chiaro che la doppia lettura da parte di ciascuna Camera comporta un più profonda meditazione sul contenuto della riforma. Bisogna notare che mentre nel corso della prima lettura della legge costituzionale, basta il voto favorevole della maggioranza semplice per approvarla (per maggioranza semplice si intende la maggioranza dei presenti in aula durante la votazione), nella seconda lettura è necessaria la maggioranza degli aventi diritto al voto, cioè è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera. Le leggi che devono essere approvate con questa rigida procedura sono quelle Costituzionali, cioè quelle che modificano o abrogano alcuni articoli della Costituzione. Ci sono altre leggi, denominate anch’esse costituzionali, che non modificano il testo emanato nel 1948, ma che per la loro importanza urge che siano approvate con procedura aggravata. Sono: le leggi che conferiscono il potere di iniziativa legislativa ad altri organi od enti, oltre a quelli citati nell’articolo 71; le leggi con le quali sono adottati gli statuti regionali speciali; leggi che dispongano competenze legislative alle Regioni di diritto comune in materie di prerogativa statale. In tali casi le leggi costituzionali non modificano il testo Costituzionale, ma per la loro rilevanza debbono essere approvate con l’attenzione e la cura riservata agli atti che novellano la Costituzione. È d’obbligo sottolineare che non tutti gli articoli della Costituzione sono modificabili. Ciò che è espressamente immodificabile è la forma repubblicana del nostro stato, lo sancisce categoricamente l’articolo 139 della Costituzione. Ma ci sono anche altri principi da reputare immodificabili. Sono quelli che sanciscono i diritti e i doveri dei cittadini. La gamma dei diritti si può ampliare, non certo ridurre. I valori di eguaglianza, libertà e democrazia non sono oggetto di revisione costituzionale. La Corte Costituzionale più volte ha ribadito che la nostra costituzione è fondata su valori che non possono essere oggetto di mercanteggiamento. La solidarietà verso i più deboli, i disabili, coloro che vivono nell’indigenza, lo spirito di eguaglianza che spinge a lottare contro ogni discriminazione non può essere cancellato dal nostro ordinamento. Se questi valori non fossero più la repubblica morirebbe. È compito delle istituzioni difendere questi diritti. I comuni, le province, le regioni e lo stato devono far quadrato è difendere i principi fondanti della democrazia: devono difendere i diritti dei disabili, devono prendersi cura degli svantaggiati, devono garantire un’adeguata formazione e cultura ai bimbi e alle bimbe, devono difendere la famiglia. Ma la difesa di questi valori non spetta solo allo stato. È compito del cittadino, di ogni essere umano, farsi garante dei valori di umanità sanciti dalla Costituzione. Urge che in Italia sia bandito il pregiudizio, sia bandita ogni forma di violenza, la cultura della prevaricazione sul più debole deve essere superata. La Costituzione deve avere gambe su cui camminare verso il progresso della nazione. Davanti ai tanti disabili emarginati, davanti allo sfacelo sociale, ai migranti senza diritti, davanti alla disoccupazione dilagate, al diritto alla salute negato bisogna reagire con spirito di abnegazione. Bisogna dire “no” a chi discrimina e “si” a chi è discriminato. Questo è un principio costituzionale assoluto e immodificabile.

Il secondo comma dell’articolo 138 della costituzione determina i modi e i tempi di esecuzione del referendum confermativo di una legge costituzionale. Bisogna dire subito che in questi casi il popolo è direttamente una fonte del diritto. Cioè partecipa direttamente alla formazione della legge costituzionale. Il referendum costituzionale non è abrogativo. Non cancella una legge che già c’è. È un atto istitutivo. Prima di tale consultazione popolare la legge costituzionale non entra in vigore. Il ruolo del popolo è necessario al pari di quello delle due camere. Bisogna pur dire che il referendum è comunque eventuale. Cioè può anche non esserci una consultazione popolare. A richiederlo devono essere o un quinto dei membri di una delle Camere o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La dottrina è concorde. In caso in cui nessuna di queste parti chieda il ricorso alla consultazione dei cittadini si intende che tacitamente l’intera popolazione italiana è concorde con la valutazione delle camere. Non c’è bisogno di referendum, perché nemmeno un’esigua minoranza, quale oggettivamente è una componente di popolazione di cinquecentomila persone rispetto ad oltre 60 milioni di Italiani, si presa la briga di chiedere il referendum. Difficile valutare la giustezza di tale interpretazione. Sarebbe meglio che una qualsiasi legge di revisione costituzionale sia sempre oggetto di consultazione popolare. Il motivo di tale osservazione è che una modifica Costituzionale cambia il patto sociale fra stato e cittadini, di conseguenza sarebbe opportuna una consultazione popolare che sottoscrivesse tale nuovo contratto. Bisogna notare che il referendum costituzionale non necessità di quorum. Mentre il referendum abrogativo di leggi ordinarie necessita, per essere valido, della partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto al voto, il referendum costituzionale non ha quorum. Per essere approvata una riforma basta che abbia la maggioranza del “si” a suo favore. Perché tale scelta? Prima di tutto la legge costituzionale è un atto innovativo, mentre con il referendum abrogativo gli italiani sono chiamati a scegliere fra cancellare una norma o lasciarla, nei casi di riforma costituzionale  sono chiamati non a censurare un atto del parlamento ma a contribuire al compimento di una norma costituzionale. Alla luce di questo non è ammissibile considerare come rilevante l’astensione. Si può scegliere di votare “si” a favore della riforma e “no” se si è contro, se si rimane a casa se ci si astiene semplicemente si tace, non si esprime la propria idea. Il popolo attore protagonista della riforma costituzionale non può rimanere a casa, se lo fa merita che il suo atto sia considerato irrilevante. Per questo motivo si tiene conto dei soli voti validi per determinare se una riforma costituzionale è stata approvata o bocciata dalla cittadinanza.

L’ultimo comma dell’articolo 138 della Costituzione prevede che, se nella seconda votazione la riforma è stata votata favorevolmente dai due terzi di ciascuna delle camere, non sia necessario indire un referendum confermativo. Si dà per scontato che una così ampia maggioranza parlamentare coincida con un altrettanto ampio consenso popolare. Se il parlamento si è espresso così compattamente per l’approvazione della riforma è apparso superfluo che si pronunci anche il popolo. A dire il vero negli anni ’90 e agli albori del XXI secolo le proposte di riforma costituzionali che si sono susseguite hanno previsto comunque l’obbligo di consultazione popolare anche in caso di approvazione in larga maggioranza della riforma. Ad esempio lo prevedeva espressamente la legge costituzionale che istituiva nel 1997 la commissione bicamerale per le riforme, presieduta dall’onorevole Massimo D’Alema. Insomma spesse volte è apparso lampante ai riformatori che fosse necessario un pronunciamento del popolo anche in caso di ampia convergenza parlamentare sulle riforme. La legge Costituzionale che istituì la detta bicamerale prevedeva che la commissione delle due camere redigesse il testo di riforma, poi tale elaborato sarebbe stato approvato dalle due camere in due letture, secondo lo schema dell’articolo 138, e al fine approvato dagli elettori con referendum. La strada delle riforme della Costituzione è lastricata di sconfitte. Il testo elaborato dalla commissione D’Alema si perse, non fu approvato dal parlamento. Stessa sorte hanno subito le riforme che si sono susseguite nei primi due decenni del XXI secolo, due riforme, una voluta dalla destra e l’altra dalla sinistra, bocciate dal popolo attraverso il referendum. Insomma la Costituzione, forse, ha bisogno di una revisione. Alcune procedure istituzionali vanno adattate alla modernità. Non si riesce, però, a trovare il consenso generale indispensabile per riformare la nostra Repubblica. La colpa è, a nostro parere, di una mancanza di adesione profonda a quei principi fondanti del nostro stato. Sia la classe politica che i cittadini, noi tutti,  stiamo perdendo quel senso di adesione ai valori di solidarietà, democrazia, libertà e uguaglianza. Questo stato di cose porta a produrre un dibattito costituzionale asfittico, senza quell’afflato necessario a rinnovare il paese. Il problema non è solo politico. Il problema è anche della cittadinanza che ha perso quel senso di fratellanza e sorellanza necessario. Bisogna ripartire dal piccolo, dai comuni e  dalle associazioni, è lì che deve assurgere una tensione costituzionale che dice “no” a chi discrimina, a chi emargina.  Un “no” che deve diventare un “si” verso i meno fortunati. Un “no” che include, non esclude. Un “no” che dice: se cambi idea, se fai propri i valori costituzionali, tornerai a far parte della comunità.

Nessun commento:

Posta un commento