ARTICOLO 138
“Le leggi di
revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da
ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di
tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono
sottoposte a «referendum» popolare quando entro tre
mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una
Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge
sottoposta a «referendum» non è promulgata, se non è approvata dalla
maggioranza dei voti validi.
Non si fa
luogo a «referendum» se la legge è stata approvata nella seconda votazione da
ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La nostra Costituzione è una Carta Rigida. La dottrina denomina in
questo modo le Carte Fondamentali che non possono essere modificate dalle leggi
ordinarie. Per cambiare la costituzione è necessario che le norme innovatrici
siano approvate con uno speciale, e più complesso, procedimento rispetto a
quello utilizzato per introdurre nuove norme ordinarie nel nostro ordinamento. Questo
a difesa dei valori e dei principi fondanti della nostra Repubblica incisi
nella Costituzione. I precedenti storici allarmarono i nostri costituenti. Lo
Statuto Albertino non aveva strumenti di difesa per salvaguardare i diritti di
libertà. Il fascismo ha potuto introdurre norme liberticide e istitutrici di
una dittatura attraverso l’approvazione di norme dello stato. Per evitare che
anche nella Repubblica possa avvenire una cosa del genere è stato scritto l’articolo
138 della Costituzione. Nessuna maggioranza parlamentare spuria o raffazzonata
può modificare la nostra Carta Fondamentale. Le riforme costituzionali devono
avvenire secondo un iter ben preciso. A norma del primo comma dell’articolo 138
le leggi di revisione costituzionale e le leggi costituzionali sono adottate
con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e
approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella
seconda votazione. Appare chiaro che la doppia lettura da parte di ciascuna
Camera comporta un più profonda meditazione sul contenuto della riforma.
Bisogna notare che mentre nel corso della prima lettura della legge
costituzionale, basta il voto favorevole della maggioranza semplice per
approvarla (per maggioranza semplice si intende la maggioranza dei presenti in
aula durante la votazione), nella seconda lettura è necessaria la maggioranza
degli aventi diritto al voto, cioè è necessaria la maggioranza assoluta dei
componenti di ciascuna camera. Le leggi che devono essere approvate con questa
rigida procedura sono quelle Costituzionali, cioè quelle che modificano o
abrogano alcuni articoli della Costituzione. Ci sono altre leggi, denominate
anch’esse costituzionali, che non modificano il testo emanato nel 1948, ma che
per la loro importanza urge che siano approvate con procedura aggravata. Sono:
le leggi che conferiscono il potere di iniziativa legislativa ad altri organi
od enti, oltre a quelli citati nell’articolo 71; le leggi con le quali sono
adottati gli statuti regionali speciali; leggi che dispongano competenze
legislative alle Regioni di diritto comune in materie di prerogativa statale.
In tali casi le leggi costituzionali non modificano il testo Costituzionale, ma
per la loro rilevanza debbono essere approvate con l’attenzione e la cura
riservata agli atti che novellano la Costituzione. È d’obbligo sottolineare che
non tutti gli articoli della Costituzione sono modificabili. Ciò che è
espressamente immodificabile è la forma repubblicana del nostro stato, lo
sancisce categoricamente l’articolo 139 della Costituzione. Ma ci sono anche
altri principi da reputare immodificabili. Sono quelli che sanciscono i diritti
e i doveri dei cittadini. La gamma dei diritti si può ampliare, non certo
ridurre. I valori di eguaglianza, libertà e democrazia non sono oggetto di
revisione costituzionale. La Corte Costituzionale più volte ha ribadito che la
nostra costituzione è fondata su valori che non possono essere oggetto di
mercanteggiamento. La solidarietà verso i più deboli, i disabili, coloro che
vivono nell’indigenza, lo spirito di eguaglianza che spinge a lottare contro
ogni discriminazione non può essere cancellato dal nostro ordinamento. Se
questi valori non fossero più la repubblica morirebbe. È compito delle
istituzioni difendere questi diritti. I comuni, le province, le regioni e lo
stato devono far quadrato è difendere i principi fondanti della democrazia:
devono difendere i diritti dei disabili, devono prendersi cura degli
svantaggiati, devono garantire un’adeguata formazione e cultura ai bimbi e alle
bimbe, devono difendere la famiglia. Ma la difesa di questi valori non spetta
solo allo stato. È compito del cittadino, di ogni essere umano, farsi garante
dei valori di umanità sanciti dalla Costituzione. Urge che in Italia sia
bandito il pregiudizio, sia bandita ogni forma di violenza, la cultura della
prevaricazione sul più debole deve essere superata. La Costituzione deve avere
gambe su cui camminare verso il progresso della nazione. Davanti ai tanti
disabili emarginati, davanti allo sfacelo sociale, ai migranti senza diritti,
davanti alla disoccupazione dilagate, al diritto alla salute negato bisogna
reagire con spirito di abnegazione. Bisogna dire “no” a chi discrimina e “si” a
chi è discriminato. Questo è un principio costituzionale assoluto e
immodificabile.
Il secondo comma dell’articolo 138 della costituzione determina i
modi e i tempi di esecuzione del referendum confermativo di una legge
costituzionale. Bisogna dire subito che in questi casi il popolo è direttamente
una fonte del diritto. Cioè partecipa direttamente alla formazione della legge
costituzionale. Il referendum costituzionale non è abrogativo. Non cancella una
legge che già c’è. È un atto istitutivo. Prima di tale consultazione popolare
la legge costituzionale non entra in vigore. Il ruolo del popolo è necessario
al pari di quello delle due camere. Bisogna pur dire che il referendum è
comunque eventuale. Cioè può anche non esserci una consultazione popolare. A
richiederlo devono essere o un quinto dei membri di una delle Camere o cinquecentomila
elettori o cinque consigli regionali. La dottrina è concorde. In caso in cui
nessuna di queste parti chieda il ricorso alla consultazione dei cittadini si
intende che tacitamente l’intera popolazione italiana è concorde con la
valutazione delle camere. Non c’è bisogno di referendum, perché nemmeno un’esigua
minoranza, quale oggettivamente è una componente di popolazione di cinquecentomila
persone rispetto ad oltre 60 milioni di Italiani, si presa la briga di chiedere
il referendum. Difficile valutare la giustezza di tale interpretazione. Sarebbe
meglio che una qualsiasi legge di revisione costituzionale sia sempre oggetto
di consultazione popolare. Il motivo di tale osservazione è che una modifica
Costituzionale cambia il patto sociale fra stato e cittadini, di conseguenza
sarebbe opportuna una consultazione popolare che sottoscrivesse tale nuovo
contratto. Bisogna notare che il referendum costituzionale non necessità di
quorum. Mentre il referendum abrogativo di leggi ordinarie necessita, per
essere valido, della partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto al voto,
il referendum costituzionale non ha quorum. Per essere approvata una riforma
basta che abbia la maggioranza del “si” a suo favore. Perché tale scelta? Prima
di tutto la legge costituzionale è un atto innovativo, mentre con il referendum
abrogativo gli italiani sono chiamati a scegliere fra cancellare una norma o
lasciarla, nei casi di riforma costituzionale
sono chiamati non a censurare un atto del parlamento ma a contribuire al
compimento di una norma costituzionale. Alla luce di questo non è ammissibile
considerare come rilevante l’astensione. Si può scegliere di votare “si” a
favore della riforma e “no” se si è contro, se si rimane a casa se ci si
astiene semplicemente si tace, non si esprime la propria idea. Il popolo attore
protagonista della riforma costituzionale non può rimanere a casa, se lo fa
merita che il suo atto sia considerato irrilevante. Per questo motivo si tiene
conto dei soli voti validi per determinare se una riforma costituzionale è
stata approvata o bocciata dalla cittadinanza.
L’ultimo comma dell’articolo 138 della Costituzione prevede che,
se nella seconda votazione la riforma è stata votata favorevolmente dai due
terzi di ciascuna delle camere, non sia necessario indire un referendum
confermativo. Si dà per scontato che una così ampia maggioranza parlamentare
coincida con un altrettanto ampio consenso popolare. Se il parlamento si è
espresso così compattamente per l’approvazione della riforma è apparso
superfluo che si pronunci anche il popolo. A dire il vero negli anni ’90 e agli
albori del XXI secolo le proposte di riforma costituzionali che si sono susseguite
hanno previsto comunque l’obbligo di consultazione popolare anche in caso di
approvazione in larga maggioranza della riforma. Ad esempio lo prevedeva
espressamente la legge costituzionale che istituiva nel 1997 la commissione
bicamerale per le riforme, presieduta dall’onorevole Massimo D’Alema. Insomma
spesse volte è apparso lampante ai riformatori che fosse necessario un
pronunciamento del popolo anche in caso di ampia convergenza parlamentare sulle
riforme. La legge Costituzionale che istituì la detta bicamerale prevedeva che
la commissione delle due camere redigesse il testo di riforma, poi tale
elaborato sarebbe stato approvato dalle due camere in due letture, secondo lo
schema dell’articolo 138, e al fine approvato dagli elettori con referendum. La
strada delle riforme della Costituzione è lastricata di sconfitte. Il testo
elaborato dalla commissione D’Alema si perse, non fu approvato dal parlamento.
Stessa sorte hanno subito le riforme che si sono susseguite nei primi due decenni
del XXI secolo, due riforme, una voluta dalla destra e l’altra dalla sinistra,
bocciate dal popolo attraverso il referendum. Insomma la Costituzione, forse,
ha bisogno di una revisione. Alcune procedure istituzionali vanno adattate alla
modernità. Non si riesce, però, a trovare il consenso generale indispensabile
per riformare la nostra Repubblica. La colpa è, a nostro parere, di una
mancanza di adesione profonda a quei principi fondanti del nostro stato. Sia la
classe politica che i cittadini, noi tutti, stiamo perdendo quel senso di adesione ai
valori di solidarietà, democrazia, libertà e uguaglianza. Questo stato di cose
porta a produrre un dibattito costituzionale asfittico, senza quell’afflato
necessario a rinnovare il paese. Il problema non è solo politico. Il problema è
anche della cittadinanza che ha perso quel senso di fratellanza e sorellanza
necessario. Bisogna ripartire dal piccolo, dai comuni e dalle associazioni, è lì che deve assurgere
una tensione costituzionale che dice “no” a chi discrimina, a chi
emargina. Un “no” che deve diventare un “si”
verso i meno fortunati. Un “no” che include, non esclude. Un “no” che dice: se
cambi idea, se fai propri i valori costituzionali, tornerai a far parte della
comunità.
Nessun commento:
Posta un commento