STORIA DI INDIFFERENZA
La tragica scelta di Francesca, brillante laureata in giurisprudenza all'università di Perugia, di togliersi la vita è emblematica. Si sa oggi in Italia chi consegue un titolo accademico deve comunque fare i conti con un futuro fatto di disoccupazione o di lavori precari. Un destino che accomuna tutti a prescindere dal percorso di formazione compiuto in gioventù. Francesca, quasi trentenne, aveva trovato un posto in un'azienda umbra. Non era stata assunta a tutti gli effetti, aveva un ruolo da "stagista", come ormai vengono eufemisticamente catalogati coloro che in realtà lavorano per un'azienda ma senza contratto, risultando una sorta di "studenti- apprendisti". L'episodio che ha purtroppo segnato l'esistenza di Francesca è avvenuto nel 2013, quattro anni fa. La giovane era stata bollata come incapace, inefficiente. I suoi superiori avevano notato un netto calo delle sue "performance". Ciò era dovuto a una banale influenza che non permetteva alla giovane di essere in piena forma. Comunque la donna non si faceva remore di andare ogni giorno sul posto di lavoro, Malgrado il suo sforzo è arrivato il benservito. Come un gioco delle parti la figura dello stagista risulta uno studente, quindi spesso viene malpagato o non pagato affatto quando fa bene il suo lavoro, invece viene cacciato, come un lavoratore a cottimo e senza tutele, quando le sue prestazioni professionali sono considerate insufficienti. Non è nostro obbiettivo capire se Francesca era più o meno brava sul posto di lavoro. Non è nostra premura capire se le "chiacchiere" dei colleghi sul suo lavoro poggiavano su un qualche elemento di verità o siano state soltanto maldicenze da comari o da ruffiani al bar. Quello che riteniamo giusto far notare è come l'indifferenza verso l'altrui destino, l'assoluta noncuranza dei limiti e delle capacità altrui hanno prodotto un tale stato d'animo della ragazza che l'ha precipitata verso il suicidio. Troppo spesso il contesto competitivo nell'ambito lavorativo fa dimenticare quell'umanità che dovrebbe essere componente fondamentale della vita in ogni contesto. Perché i datori di lavoro e i colleghi di Francesca si sono dimenticati di avere di fronte una giovane donna? Perché hanno dimenticato i più elementari valori di solidarietà umana? Certo in ogni contesto lavorativo avvengono queste cose. Spesse volte il soggetto più debole, quello che meno si sa districare nella rete di rapporti interpersonali, viene emarginato e viene deriso. Questi soggetti deboli da sempre sono i primi a pagare, se c'è da cacciare qualcuno. Quello che accomuna l'anima di queste persone, a mio parere, è la disperazione, il sentirsi soli. Certo questo stato d'animo non sempre produce la scelta tragica di Francesca. Questo, il fatto che molti di fronte al rifiuto da parte dei colleghi non scelgano il suicidio come soluzione, ma preferiscano navigare nel mare per loro procelloso e senza rotta della vita, è un dato comunque positivo. Ma rimane il fatto che questa società crea vittime e carnefici. Crea persone escluse, vittime, e persone che invece di essere solidali con i meno fortunati li spingono ancor più verso il baratro, come hanno fatto con Francesca i suoi colleghi. La crisi economica crea disoccupazione e povertà, certo, ma è l'isolamento che crea la disperazione. Bisogna cambiare, bisogna cambiare il nostro animo. Si deride perché è divertente vedere l'altro che soffre ferito metaforicamente dalle parole. Dovremmo raggiungere quella maturità intellettuale, o meglio quella sensibilità del cuore, che ci fa capire che quelle ferite provocano all'altro una tale sofferenza da poter condurre alla morte, come è successo alla trentenne Francesca, con un futuro che ormai non si potrà mai realizzare.
testo di Giovanni Falagario
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