ARTICOLO 85
“Il presidente della
Repubblica è eletto per sette anni.
Trenta giorni prima
che scada il termine il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta
comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente
della Repubblica.
Se le Camere sono
sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo
entro quindici giorni dopo la riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono
prorogati i poteri del Presidente in carica.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 85 della Costituzione Italiana, al primo comma, stabilisce
che la durata del mandato presidenziale è di sette anni. Il primo cittadino
dello stato è eletto dal Parlamento in seduta comune. La Carta Fondamentale non
dice nulla sulla possibilità che il primo cittadino dello stato venga rieletto
al termine del suo mandato. A tale silenzio si è dedotto che nulla osta alla
sua rielezione. L’unico precedente è la rielezione del Presidente uscente
Giorgio Napolitano avvenuta il 20 aprile 2013. Ricordiamo che la riconferma
dell’inquilino del Quirinale avvenne in un momento difficile della storia
repubblicana. Il Partito Democratico, partito di maggioranza relativa, non
aveva i numeri per formare un governo. La rielezione di Napolitano fu un gesto
di Silvio Berlusconi, capo della coalizione Lega – Forza Italia, volto a dare una mano a una sinistra
zoppicante. Fu un gesto di apertura e dialogo, che aprì la strada al governo
dell’onorevole Enrico Letta, frutto dell’accordo fra Forza Italia (la lega
rimase all’opposizione) e i partiti della sinistra. In precedenza la dottrina
era propensa a negare la possibilità della rielezione di un presidente. Già
sette anni sono un periodo lungo, si diceva. È meglio non prolungare oltre un
tale ufficio pubblico. Giorgio Napolitano, pur accettando con spirito di
servizio la rielezione, sposò questa tesi e scelse di dimettersi il 14 giugno
2015, quando il nuovo scenario politico e parlamentare aveva posto le basi per
la elezione di un nuovo presidente della repubblica, Giorgio Mattarella. Quale
errore! Mattarella è sempre stato considerato da coloro che votano Lega e Forza
Italia come il nemico. Da Presidente della Corte Costituzionale aveva censurato
le leggi che garantivano la Fininvest e Berlusconi. Il mondo di destra si adirò
contro tale provocazione, e votò “no” al referendum costituzionale voluto e
concordato dal Partito Democratico e da Forza Italia. Berlusconi fu chiaro, la
riforma del paese è possibile a patto che siano difesi gli interessi delle
aziende di sua proprietà. La scelta di Renzi di eleggere al Quirinale un nemico
della Fininvest determinò la fine delle riforme, naufragate il giorno del
referendum costituzionale. Oggi lo scenario è diverso. Il Partito Democratico è
minoranza nel paese. I nuovi soggetti politici sono più concilianti verso i
bisogni di Silvio Berlusconi. Non è un caso che a presiedere la seconda carica
dello stato, la presidenza del senato, sia l’avvocato Maria Elisabetta Alberti
Casellati, da sempre impegnata a difendere gli interessi di Silvio Berlusconi,
fin da quando ricopriva la carica di sottosegretario al ministero di giustizia.
È stata una scelta precisa di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, leader
rispettivamente di Lega e M5S, per garantire il cavaliere Silvio Berlusconi. Insomma
a un Quirinale ostile agli azionisti Fininvest, si contrappone Palazzo Madama
difensore dei dividendi delle aziende del Cavaliere.
Trenta giorni prima della scadenza del mandato
presidenziale, il presidente della Camera convoca il parlamento in seduta
comune. Questa assemblea, composta dai componenti della Camera dei deputati, del senato e i delegati regionali , è chiamata
ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica. A presiederla è, a norma
costituzionale, il presidente di Montecitorio, il presidente della camera dei
deputati. Il suo ruolo è importantissimo, è chiamato ad invitare tutti i grandi
elettori, oltre ai parlamentari anche i rappresentati delle regioni, a sedersi
in un unico emiciclo e a scegliere il futuro capo dello stato. La convocazione
del Parlamento deve avvenire prima che scada il mandato del Presidente della
Repubblica, per evitare un vuoto di potere. È d’obbligo sottolineare che il
Presidente del Senato svolge la carica di presidente della repubblica vicario,
in caso di morte o di assenza o di malattia del Presidente della Repubblica.
Alla luce di questo dato si è preferito dare al presidente della camera l’onere
di presiedere il parlamento in seduta comune che eleggerà il nuovo capo dello
stato. Appare chiaro che durante le votazioni, la seconda carica dello stato
potrebbe essere impegnata nell’annoso e delicatissimo compito di sostituire il
Presidente della Repubblica, per questo motivo la Costituzione ha preferito
dare al Presidente delle Camere il compito di presiedere l’assemblea
scrutinante.
Se la legislatura corrente è al termine. Se la scadenza del
mandato presidenziale coincide con la scadenza della legislatura. Si preferisce
sciogliere le Camere, prorogare di qualche mese il mandato presidenziale e far eleggere il nuovo presidente dal
Parlamento rinnovato dalle elezioni. Questa è una deroga al “semestre bianco”,
il periodo di sei mesi coincidenti con la fine del mandato presidenziale, in
cui il primo cittadino dello stato non può sciogliere le camere. La dottrina e
la prassi dello stato è concorde, il Presidente della Repubblica può sciogliere
le Camere e indire nuove elezioni anche in prossimità della scadenza del suo
mandato, se tale evento coincide con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Tale prassi è stata incisa nella Costituzione, dando la potestà al Presidente
di sciogliere le camere, con la legge costituzionale del 4 novembre 1991, che
la riformato l’articolo 88 della nostra Carta Fondamentale. Il secondo comma di
tale articolo recita: (il presidente) non può esercitare tale facoltà
(sciogliere le camere) negli ultimi mesi del suo mandato, salvo che essi
coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Insomma è meglio che si rinnovi prima il parlamento, attraverso la
consultazione di tutto l’elettorato italiano, e poi il Parlamento, rinfrancato
dal consenso popolare, elegga il nuovo Presidente della Repubblica. Il semestre
bianco, il periodo di sei mesi in cui il Presidente della Repubblica non può
sciogliere le camere e indire nuove elezioni, è importantissimo. È volto ad
evitare eventuali ricatti del Quirinale verso il potere legislativo. Non mi
rieleggi, ti sciolgo e faccio eleggere un’assemblea a me più amica! Questo
potrebbe essere il pensiero dell’inquilino del Colle. Ma se l’elezione delle
nuove camere avviene per il naturale concludersi dei cinque anni di
legislatura, appare chiaro che un eventuale ritardo nello scioglimento del
Parlamento sarebbe ingiustificato. La riforma dell’articolo 88 quindi è stato
un mettere ordine a una prassi costituzionale che già riteneva incongruo che
non vi potessero essere elezioni parlamentari durante gli ultimi sei mesi di
Presidenza. Un appunto. La scelta di far durare la carica del Presidente della
Repubblica sette anni è anche volta a slegare la sua elezione dai destini della
legislatura che lo ha eletto. Il Presidente non è espressione della maggioranza
parlamentare che lo ha eletto. Non rappresenta gli interessi di parte. La sua
funzione travalica i destini dei parlamentari che lo hanno votato. Il
Presidente della Repubblica è chiamato a rappresentare e garantire l’intera
nazione. Deve essere il sommo difensore del diritto e della Costituzione. Si
deve far protettore dei cittadini. Ecco perché il suo mandato è di sette anni,
proprio per sottolineare che il suo ruolo è altro rispetto agli interessi, pur
legittimi, della classe politica che lo ha eletto. Il suo ufficio è volto a
servire la Patria, non gli interessi di parte.
Scritto da Gianfranco Pellecchia