ARTICOLO 65
“La legge determina i
casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato e
senatore.
Nessuno può
appartenere contemporaneamente alle due Camere”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La Costituzione ha voluto che alcune cariche ed alcuni
status giuridici fossero incompatibili con gli uffici di Senatore e Deputato.
Non si può contemporaneamente ricoprire alcune cariche ed essere parlamentari
della Repubblica. Non si può avere un determinato status giuridico e risiedere
in parlamento. Le ragioni di questa scelta sono dovute alla volontà di
garantire la libertà di voto e l’indipendenza degli eletti nell’esercizio del
loro mandato. Il ricoprire alcune cariche pubbliche potrebbe influenzare l’esito
elettorale. Il candidato che aspira a ricoprire il ruolo di membro del
parlamento, potrebbe sfruttare la sua posizione per influenzare gli elettori. D’altro
canto la consapevolezza di ricoprire una certa carica quasi certamente
influenzerebbe l’agire della persona diventato onorevole. Le persone che non
possono essere elette sono coloro che ricoprono determinati uffici: i
consiglieri regionali, i sindaci, il capo e il vicecapo della polizia, i
prefetti, i viceprefetti, i funzionari di Polizia di Stato, gli ufficiali
generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle forze armate dello
stato, limitatamente alla circoscrizione del loro comando territoriale, questo
ultimo caso si definisce “illegittimità relativa”. Sono ineleggibili coloro che
sono dipendenti di governi esteri, questo per evitare possibili interferenze da
parte di autorità straniere nello svolgimento delle elezioni. Sono
ineleggibili, o dovrebbero esserlo a norma della Costituzione, coloro che hanno
particolari rapporti economici con lo stato, ad esempio i titolari di pubbliche
concessioni, quali sono quelle a trasmettere programmi attraverso i segnali
radiofonici e televisivi. È sotto gli occhi di tutti che per vent’anni questo
principio è stato ignorato. Silvio Berlusconi ha tranquillamente fatto politica
e ricoperto cariche pubbliche senza che il conflitto d’interessi sia stato mai
sanato. Una nuova causa di ineleggibilità è stata introdotta nel nostro
ordinamento nel 2012 con la legge Severino, il nome del guardasigilli che l’ha
voluta. Chi ha subito una condanna penale definitiva non può accedere alla
carica di senatore e deputato, è ineleggibile. Nel caso ricopra già una di
queste cariche decade con voto dell’assemblea di cui fa parte, come è successo
al senatore Silvio Berlusconi. L’incompatibilità fra pena subita e cariche
pubbliche dura 6 anni. In realtà questa legge non vale solo per i membri del
parlamento, anche coloro che ricoprono cariche pubbliche elettive o meno a
livello locale decadono se condannati in primo grado per reati legati alla
concussione e alla corruzione. Ora questa legge ha suscitato tantissime
polemiche. Sono molti coloro che hanno subito il carcere a causa di questa
legge. Ricordiamo l’onorevole Cesare Previti, membro di Forza Italia,
condannato per mafia ha dovuto subire l’onta del carcere proprio a causa della
legge Severino che lo faceva decadere dalla carica si Senatore e gli toglieva l’immunità.
Ricordiamo il caso di Giancarlo Galan, più volte presidente della regione
Veneto, approdato al senato proprio per non subire il carcere a seguito d’inchieste
giudiziarie e invece finito agli arresti proprio perché decaduto dalla carica.
I cittadini del Veneto, Lombardia e Piemonte nelle ultime elezioni hanno votato
compattamente destra per loro. Per ribadire il principio che nessun deputato o
senatore deve subire l’onta del carcere. Forti di questo consenso Matteo Salvini
e Silvio Berlusconi stanno portando le loro istanze al tribunale dei diritti
dell’Uomo. Lo scontro è fra lo stato italiano, o meglio la sinistra, che
considera il decoro della carica pubblica prevalente sugli interessi del
singolo. E invece la destra che sostiene il diritto dell’imputato e del
condannato di diventare parlamentare per difendersi da condanne e pene. Si
ragiona: il diritto di difesa è sacro, l’essere membro di Palazzo Madama o di
Montecitorio è uno strumento indispensabile per evitare l’esecuzione di una
condanna penale, quindi va contro i principi fondamentali dell’uomo una legge,
quale la Severino, che fa decadere dalla carica di parlamentare. Staremo a
vedere come si pronuncerà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Quello che è
certo è che così la pensano i cittadini del Nord Italia, che per premiare la
battaglia contro la Legge Severino hanno votato in massa Lega e Forza Italia.
Oggettivamente una parte significativa del popolo italiano è contro un
principio costituzionale che vorrebbe che in Parlamento non ci fossero
conflitti di interesse. Forse è il caso di cancellare l’articolo 65 della
Costituzione? Io penso di no. Penso che sbaglino coloro che votano Lega e Forza
Italia. La legalità e la trasparenza sono principi importanti. Capisco la stima
e il rispetto verso Cesare Previti e tutti gli altri condannati che muove l’elettorato
di destra. Ma chi svolge cariche pubbliche lo deve fare con disciplina ed
onore, non deve utilizzare il proprio status per evitare processi. È giusto che
la carica di Senatore e di Deputato sia incompatibile con determinati carichi
penali pendenti. Sarebbe meglio che gli elettori non votassero più partiti che
spudoratamente difendono indagati e condannati. Gli elettori di destra
dovrebbero prendere esempio dagli altri cittadini, che puniscono i partiti rei
di corruzione. Fa impressione che il Partito Democratico perda voti ad ogni
scandalo che subisce, lo stesso vale per il Movimento Cinque Stelle, mentre
Lega e Forza Italia non subiscono scosse quando i loro membri sono indagati.
Bisogna che gli elettori di destra riacquistino senso di moralità e spirito
civico.
Il secondo comma dell’articolo 65 costituzionalizza uno dei
casi di incompatibilità. Mentre gli altri sono definiti per legge ordinaria, l’incompatibilità
fra membro del Senato e membro della Camera è scritto nella nostra carta
fondamentale. Una scelta chiara. I due rami del parlamento sono il cardine del
nostro stato. La loro attività separata e parallela rende possibile il felice
funzionamento dello stato. È bene che non vi possa essere nessuno che risieda
in ambedue le camere. È bene che non vi sia un duplice ruolo. Insomma la
Costituzione ha voluto che vi sia separatezza fra le due Camere e al contempo sinergia.
I membri dei due rami del parlamento sono persone distinte, ma animate dal
comune bisogno di servire la nazione. Il bicameralismo perfetto impone la
separatezza dei ruoli e l’incompatibilità fra le cariche. In ultimo faccio
notare che la legge attualmente rende incompatibili l’essere consigliere
regionale e l’essere parlamentare. La legge di revisione costituzionale a firma
Maria Elena Boschi invece trasformava il senato in camera delle Regioni. I
senatori erano membri dei consigli regionali e venivano designati dalle
assemblee locali per ricoprire la carica a Palazzo Madama. In realtà, secondo
il disegno di riforma bocciato con referendum dagli italiani, i senatori
rimanevano membri dell’istituzione regionale e al contempo assumevano funzione
di membro dell’assemblea nazionale. Era un modo per introdurre una camera delle
regioni, secondo il modello della Repubblica Federale Tedesca. Secondo la
Riforma il senato doveva occuparsi solo di alcune materie, compartecipando all’attività
normativa della camera. Queste materie erano: Revisione Costituzionale, leggi
di accoglimento nel nostro ordinamento di normative europee, leggi elettorali e
poco altro. Per le altre materie la Camera dei Deputati era la sola competente
ad approvare leggi e normative. La camera del Senato doveva essere composta da
membri che la componevano a titolo gratuito. I senatori dovevano “accontentarsi”
dello stipendio regionale. Questa riforma è stata bocciata, rimane ancora incompatibilità
fra membro delle Camere e Consigliere Regionale, se un soggetto ricopre le due
cariche deve scegliere a quale rinunciare. Se non lo fa in forma scritta,
presentando le dimissioni al presidente del collegio a cui intende rinunciare,
si presume che rinunci all’incarico di consigliere regionale.
Testo Di Gianfranco Pellecchia
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