ARTICOLO 67
“Ogni membro del Parlamento
rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Ogni Parlamentare rappresenta la Nazione. Stabilisce con
fermezza l’articolo 67 della Costituzione Italiana. Chi viene eletto a Senatore
o Deputato non rappresenta solo gli elettori che materialmente lo hanno portato
in Parlamento con i loro voti o la formazione politica di cui fa parte. Non vi
è mandato imperativo. Chi è eletto non deve, e aggiungiamo non può, fare gli
interessi solo della parte del corpo elettorale che lo ha votato, deve pensare
al bene comune dell’intera comunità nazionale. In virtù di questo principio l’eletto
non può ricevere dal partito di cui fa parte o dagli elettori disposizioni
vincolanti circa il modo in cui svolgere il suo mandato parlamentare. Il
partito che lo ha eletto, lo può espellere dalla propria formazione politica,
se non si adegua ai dettami indicati dalla dirigenza del gruppo, ma non può
intaccare le sue prerogative parlamentari. Insomma il parlamentare è lasciato
solo con la sua coscienza a decidere cosa sia il bene per l’intera
collettività. È una conquista fondamentale. La politica diviene l’esplicitazione
della personalità di ogni singolo uomo o donna che si confronta con le scelte difficili che
determineranno i destini dell’intera nazione. Chi siede sugli scranni del
parlamento ha un onere gravosissimo, deve agire secondo coscienza non facendosi
influenzare dai giochi di potere e dagli interessi personali. L’Italia è il
paese del “trasformismo”. Fin dall’Ottocento i parlamentari hanno cambiato “casacca”
a seconda delle convenienze. I Governi Giolitti e Crispi hanno visto il
formarsi di maggioranze parlamentari a loro vicine grazie a “trattative” in
parlamento poco trasparenti. Nel primo decennio del XXI secolo la colazione
composta da Forza Italia e Lega ha utilizzato la persuasione per far cadere il
secondo governo Prodi. Valter Lavitola, ex direttore del giornale l’Avanti, è
stato l’assoluto dominus dell’attività parlamentare della destra, è riuscito a
convincere diversi deputati e senatori che sedevano sui banchi della sinistra a
cambiare casacca, promettendo loro compensi di natura economica. È stato un
portento. Solo i magistrati, da sempre nemici giurati di lega e Forza Italia, l’hanno
fermato costringendolo prima alla latitanza e poi all’arresto. Certo che lo
spirito dell’articolo 67 non ci pare voglia autorizzare alla compravendita di
deputati e senatori. Non ci pare che sia un articolo che giustifichi la
politica di Lega e Forza Italia. L’articolo 67 non è nato per giustificare il
mercimonio dei voti. Anche se così dicendo sappiamo che ci scontriamo con i
milioni di cittadini che votano destra, siamo dell’idea che la libertà di
coscienza non si deve comprare staccando un assegno. Una cosa è cambiare idea a
causa delle mutate circostanze politiche nazionali, si può cambiare gruppo
parlamentare e partito in virtù di un sofferto conflitto interiore. Altro conto
è convincere i senatori e deputati ad assicurare il voto a Lega e Forza Italia promettendo
elargizioni economiche come faceva Lavitola per conto di Silvio Berlusconi. Insomma
essere senza vincolo di mandato, essere libero di scegliere la politica che si
vuol percorrere, è solo apparentemente un diritto, in realtà è un dovere. Il
dovere del parlamentare di agire secondo coscienza. Il dovere di essere libero
di dichiarare che un atto politico, una scelta, una posizione ideologica è
sbagliata e va combattuta. Essere liberi di criticare anche la propria parte,
il proprio partito, è un onere gravoso se lo si fa con onestà, non solo
intellettuale, e con senso di servizio per lo Stato e i Cittadini. Il Movimento
Cinque Stelle, la formazione politica che ha vinto le elezioni nel marzo 2018,
pochi giorni fa, vorrebbe introdurre il vincolo di mandati. Secondo il M5S l’unica
via per eliminare la corruzione dilagante è imporre a senatori e deputati il
dover rendere conto ai propri elettori quotidianamente del loro operato. Per il
M5S i parlamentari sono semplicemente dei portavoce della comunità. Le loro
azioni all’interno delle istituzioni devono essere frutto di scelte collettive
compiute dall’intera comunità italiana, o almeno dalla parte più consapevole e
politicamente attiva, attraverso la democrazia della rete. Internet deve
divenire, almeno secondo le idee del partito fondato da Beppe Grillo, lo
strumento per poter far decidere tutti i cittadini italiani delle sorti dello
stato. È la volontà di istaurare una forma di democrazia diretta. I cittadini,
attraverso la rete, propongono e votano proposte di legge le quali dovrebbero
essere portate e presentate in parlamento dai politici così come sono. Evidenti
sono i rischi di manipolazione. Chi gestisce la rete? Chi controlla la regolarità
del voto “online”? Chi decide il modo in cui vanno presentate le proposte
popolari di legge all’intero corpo di “internetnauti”? Sono domande che già si
poneva il giurista Stefano Rodotà, ancor prima che nascesse il cosiddetto
grillismo. La democrazia diretta, quella che supera i criteri di rappresentanza,
se mal gestita, potrebbe essere l’anticamera di dittature. Questo non vuol dire
screditare il Movimento Cinque Stelle. Va dato un plauso ai milioni di
cittadini italiani che cercano attivamente di migliorare il paese dando il loro
voto e il loro contributo di idee e di lavoro al m5s, plauso che va tributato,
ovviamente, anche agli attivisti degli altri partiti, di destra o di sinistra,
che si adoperano per il bene comune. Ce ne sono tanti e in tutti gli
schieramenti. Rimane il fatto che la democrazia parlamentare si fonda sul
principio di rappresentanza. Appare
impossibile pensare a un deputato un senatore o a chiunque altro svolga un’attività
istituzionale come mero portavoce, megafono, di un corpo collettivo. Chi siede
a palazzo Madama o a Montecitorio alla fine deve essere chiamato a scegliere
secondo coscienza, a prendere delle decisioni che trascendono la volontà
popolare, è nelle cose della storia. L’unico vero atto censorio che noi
cittadini possiamo compiere è non votare più quelle persone che, a nostro
giudizio, hanno compiuto scelte sbagliate. A questo punto vorrei fare un’osservazione.
Affinché una democrazia parlamentare funzioni deve esserci una valida legge
elettorale. Io cittadino devo sapere che il mio voto produce l’elezione di un
certo candidato. Non ci devono essere discrepanze fra il voto popolare e la
formazione dell’emiciclo parlamentare. Questo è per garantire al contempo l’assenza
di vincolo di mandato del parlamentare e la possibilità di punirlo, non
rieleggendolo, se l’elettorato ha giudicato il suo comportamento nella
legislatura precedente disdicevole. Alla luce di questo sarebbe bene evitare
liste bloccate, evitare che siano i partiti e non gli elettori a scegliere chi
occuperà il parlamento. Sono anni che autorevoli costituzionalisti e giuristi,
confortati anche dal buonsenso popolare, lo vanno predicando, rimanendo
inascoltati da una classe politica che preferisce tutelare gli interessi delle
segreterie di partito, che vorrebbero parlamentari da loro nominati, agli
interessi della nazione.
Scritto da Gianfranco Pellecchia
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